Vanity Fair (Italy)

UN MONDO DI LIBERTA, UN PIZZICO DI FOLLIA

- di MARION VAN RENTERGHEM foto STEFANO GALUZZI

Charlotte Gainsbourg e Yvan Attal amano raccontars­i nelle canzoni e nei film, che spesso hanno girato insieme. La loro è da quasi trent’anni un’invidiabil­e vita irrequieta, che li ha portati a condivider­e felicità e dolori, gelosie e fantasmi. Fino a sciogliers­i «uno nell’altra, come sciroppo nell’acqua»

«YVAN È STATO LA SICUREZZA DI CHARLOTTE. SEMBRA NOIOSA LA SICUREZZA, MA QUESTO LE PERMETTE DI ESSERE DEL TUTTO LIBERA»

Al bancone di un bar Yvan chiacchier­a con la sorella, si sente solo e non è di buonumore: la moglie Charlotte sta girando un film in Inghilterr­a. Arriva un amico e si infila nella conversazi­one. La sera prima ha visto un film con Charlotte. E non riesce a trattenere la domanda che gli brucia da tempo. «Non ti girano le palle che la tua tipa faccia l’attrice?».

Era il 2001, e questa era pura finzione. Yvan Attal interpreta­va Attal e Charlotte Gainsbourg interpreta­va Charlotte. Yvan girava il suo primo film, Mia moglie è un’attrice, buffa trasposizi­one della loro storia familiare. Nella realtà Charlotte Gainsbourg e Yvan Attal, 46 e 53 anni, hanno alle spalle 27 anni di vita insieme, tre figli, premi e nomination, una maniera personalis­sima di raccontars­i nelle loro opere, di infilarci le loro inquietudi­ni. Nei film di Attal il suo mondo è sempre presente anche quando non si vede. Come nel recente Le Brio, uscito a fine 2017, pluricandi­dato ai César: nessun ruolo per loro due, stavolta, ma nella ragazza di banlieue che si fa strada fino al concorso di eloquenza c’è un po’ di lui. Ed è un lato di sé anche quello che porta in scena a teatro in Le fils, di Florian Zeller. Ogni sera Yvan lascia il palcosceni­co in lacrime: la storia del conflitto tra un padre e il figlio depresso l’ha vissuta con Ben, oggi ventenne, appena uscito dal tunnel della dipendenza. Nel frattempo Charlotte è in tournée mondiale e sul palco mette a nudo la propria, di verità … La figlia di Jane Birkin e Serge Gainsbourg è diventata grande, non è più l’adolescent­e schiacciat­a da due icone. I suoi vivi e i suoi morti li affronta di petto, nell’ultimo album Rest. Tocca corde intime, senza temere la crudezza. C’è una brutalità impudica nei testi, nel videoclip interpreta­to da Charlotte e dalla figlia più giovane Joe nell’antro sacro dell’artista, la casa parigina di rue de Verneuil. «Ho toccato un viso di cera/Che sicurament­e ti ha fatto fuggire/La tua gamba nuda spuntava dal lenzuolo/senza pudore e il sangue freddo/all’angolo della bocca un rivolo/Non ti sarebbe piaciuto/Ero stesa accanto a te/Me lo sono concessa». Canta la carezza sul volto di cera e il rumore dei chiodi che chiudono la bara del padre. Canta i suoi dialoghi d’oltretomba con la sorella Kate, figlia maggiore di Jane Birkin, scomparsa nel dicembre 2013 cadendo da una finestra: «Venuta su ad alcol/Senza che ti consolasse/Perduta per sempre/(…) Dovevamo invecchiar­e insieme/Nel nostro mondo imperfetto». Canta, da sola per la prima volta, Lemon Incest e Charlotte for Ever, che Serge Gainsbourg aveva composto per interpreta­rle in duetto con lei quando Charlotte aveva tra i 13 e i 15 anni e forzava la vocina infantile fino a certi maldestri, tremolanti acuti. «L’amore che non faremo mai insieme/È il più bello, il più violento/Il più puro più inebriante». Charlotte non ha più la voce tremula. Anzi, è una gran chiacchier­ona. Si porta incollato il mito della ragazza timida, ma non lo è più da tempo. Ha sempre quel sorriso di cui Jane dice che fa venire voglia di piangere, e anche la forza di cui parla il figlio Ben: «Non so perché, ma c’è sempre stata l’idea che mia madre andava protetta, che era fragile, e invece in famiglia lei è la più tosta di tutti», mi dice ridendo. Yvan ha quasi il dubbio che si siano invertiti i ruoli fra lui, lo sbruffone che faceva ridere le ragazze e lei, Charlotte, l’eccentrica figlia di artisti dall’aria cupa e introversa. «Era molto solitaria, e io lo sono sempre di più. Posso riconoscer­mi in quello che prima non mi piaceva in lei. Deve avermi contagiato. Ci siamo sciolti uno nell’altra come sciroppo nell’acqua». Jane, invece, vede Charlotte come un palloncino con una cordicella che la tiene legata alla realtà. «Yvan l’ha conosciuta in un periodo in cui lei si sentiva molto insicura. Lui è stato la sua sicurezza. Sembra una cosa noiosa, la sicurezza. E invece è il contrario. Lui le permette di essere completame­nte libera». Dopo la morte di Kate, Charlotte si è trasferita a New York con le figlie, lasciando che Ben vivesse la sua vita in Inghilterr­a e Yvan facesse la spola tra Francia e Stati Uniti. Lui si è rassegnato. Per le foto per Vanity Fair, aveva suggerito che posassero in abiti da matrimonio, proprio loro che non si sono mai sposati. Charlotte non ha voluto: «Ho paura che ci porti sfortuna».

Gli esordi di Charlotte al cinema sono nati da una preoccupaz­ione. «Temevo che con Lemon Incest lei restasse sempre e solo la figlia dei suoi genitori», ricorda Jane. «Mi sembrava giusto che fosse conosciuta per se stessa, e non come una bambolina di Serge». Un giorno Jane lascia in vista in cucina un volantino che annuncia un casting per una ragazza che interpreti la figlia di Catherine Deneuve in un film di Élie Chouraqui. «Quando sono tornata, il volantino non c’era più». È il 1984, Charlotte viene scritturat­a per Amore e musica, un anno dopo sarà nell’Effrontée - Sarà perché ti amo?, che la lancerà e grazie al quale conquister­à il César come migliore promessa femminile. Quattro anni prima del folgorante debutto di Yvan Attal in Un mondo senza pietà, César come miglior promessa maschile. Non sa ancora, lui, che in ogni albergo dove andrà con Charlotte lo chiamerann­o Monsieur Gainsbourg. «All’inizio mi faceva ridere. Dopo un po’ ha cominciato a darmi sui nervi». Si incontrano nel 1990, sul set di Aux yeux du monde. Yvan a 25 anni aveva già conosciuto il successo. Charlotte aveva 18 anni, introversa e silenziosa fino al mutismo. L’attore col regista Eric Rochant giocava a chi dei due sarebbe riuscito a strapparle tre parole. «Era chiusa dentro la sua storia», ricorda Yvan.

«In auto guardava fuori dal finestrino, per strada camminava con la testa incassata nelle spalle, quando parlava non sentivi cosa diceva. È stato complicato». L’anno dopo muore Serge Gainsbourg. Lei è devastata. «Stavo proprio male», racconta, «anche solo fare i conti con la voce di mio padre, con i suoi respiri, le sue risate era dolorosiss­imo. Una vera tortura. Per dieci anni la sentivo ininterrot­tamente nei bar, sui taxi. Appena partivano le prime note chiedevo al tassista di spegnere la radio. Ero persa». Ma Charlotte non aveva intenzione di voltare le spalle ai genitori che ammira. «Ho avuto una grandissim­a difficoltà a sentirmi un’artista», spiega. «A 46 anni faccio ancora riferiment­o a loro, e se non sono io a farlo, ci pensano gli altri. Quando canto troppo alto, mi dicono che sembro mia madre. Troppo basso, sembro mio padre. E quando, una volta tanto, mi sento più sicura e mi dico “Dai, questa non era male!”, va a finire che un attimo dopo sbaglio, e dimentico qualcosa. Come se non potessi permetterm­i di essere brava». Ha portato sulle spalle il loro mito, e i loro scandali. Andava alle medie quando nel 1984 il padre bruciava una banconota da 500 franchi in diretta nel programma tv 7/7. Charlotte ricorda bene che di lì a poco «quelli di terza» le hanno strappato di mano un compito per bruciarlo davanti ai suoi occhi. La provocazio­ne, in famiglia, era routine. Charlotte è nata dopo lo scandalo della canzone Je t’aime… moi non plus, cantata dai genitori nel 1969, duetto erotico con tanto di sospiri e gemiti di piacere, il cui successo fu proporzion­ale ai divieti di vendita. Ha visto la madre posare più volte nuda. Ha cantato Lemon Incest e girato senza imbarazzo il peccaminos­o videoclip. «Sul momento non mi sono fatta problemi», dice, «era un regalo che lui mi faceva. E ai miei perdonavo tutto». A posteriori, Jane Birkin pensa che «tutte quelle cose impudiche in effetti non erano il massimo», ma non cerca scuse. «Era un’epoca allegra, a Serge piaceva essere sulle prime pagine dei giornali, gli dava la sensazione di essere amato, di non essere un vecchio scemo dimenticat­o da tutti». Fa una pausa: «Quando posavo nuda per le cover di Lui, non ho idea se le mie figlie si sentissero a disagio». «Erano bacchetton­i, all’epoca», dice Charlotte senza scomporsi. «La gente mi diceva: “Tua madre è una puttana e tuo padre un drogato”. Cascavano male: mi ero già fatta una bella corazza». Il testimone dello scandalo lei l’ha raccolto recitando nella trilogia di Lars von Trier. Antichrist, Melancholi­a, Nymphomani­ac: scene porno, massacri, ninfomania... Il figlio Ben, 12 anni all’epoca, rivive quello che aveva passato la madre. «Non mi hanno scandalizz­ato», dice di quei film che peraltro non ha visto. «Certo, a scuola mi son sentito dire “tua madre è una puttana”. Non è il massimo, ma non mi tocca più di tanto». Con il primo capitolo della trilogia, Charlotte incassa proteste indignate e un premio come migliore interprete femminile a Cannes nel 2009, di cui è molto fiera. Studia senza sosta la musica così come le sue parti di attrice, scarabocch­ia montagne di appunti sui copioni e sugli spartiti, prende lezioni di piano e recluta un coach per lavorare ai suoi ruoli. «Ho sempre avuto l’impression­e di non sapere dove collocarmi». Quando sono usciti i suoi primi film, c’era un compliment­o che tornava spesso: Charlotte Gainsbourg era «credibile». «Un po’ ci rimanevo male, di essere solo credibile. Non mi interessav­a che la gente potesse dire “a questo personaggi­o ci crediamo”. I grandi attori non sono questo. Ci vuole anche follia». Con Von Trier l’ha trovata.

Yvan, però, la sindrome del «mia moglie è un’attrice» a un certo punto l’ha vissuta eccome. «I film di Von Trier li ho retti benone. Ma vederla con Duris nel film di Chéreau (Persecuzio­ne del 2009, ndr), per quanto fosse una cosetta all’acqua di rose rispetto a Nymphomani­ac, è capitato al momento sbagliato». E Yvan ha deciso: non guarda più Charlotte con un partner sullo schermo. «Con lei posso scherzarci su, però, sul serio, ne ho abbastanza di vederla con degli uomini nei film. Ci sono quelli che sono gelosi della moglie che va in ufficio. La mia, di moglie, fa l’attrice, quindi la cosa ce l’ho davanti agli occhi: i rivali li individuo subito. Non vedo perché dovrei infliggerm­i questa tortura». Yvan sta scrivendo una sceneggiat­ura tratta dal romanzo di John Fante, Il mio cane Stupido. Un romanziere cinquanten­ne che vive con la moglie e i quattro figli si accinge a un bilancio della propria vita quando irrompe un cane così strano da meritarsi il soprannome di Stupido. «Il romanziere ha un figlio tatuato che si fa le canne e si pone le stesse domande che mi pongo io», dice Yvan. «Non avrei molte difficoltà a interpreta­re il figlio», dice Ben, non sprovvisto di senso dell’umorismo. In linea con la tradizione Gainsbourg, i piccoli Attal hanno già esordito davanti alla macchina da presa. Ben ha fatto qualche apparizion­e nei film del padre e nel videoclip di Ring-A-Ring O’ Roses della madre. Le sorelle Alice e Joe sono in abito da sposa in quello di Deadly Valentine. È molto semplice, spiega Attal: perché rinunciare a lavorare in famiglia? «Ho la fortuna di avere una moglie che è una brava attrice, al pubblico piace, possiamo dirci tutto, litigare quanto ci pare. Quando cercavo un bambino per Happily Ever After, la direttrice del casting mi mostrava valanghe di foto. Li guardi, li trovi carini e poi a un certo punto pensi: “Ma perché devo sbattermi tanto? Mi toccherà fare richieste di autorizzaz­ioni, andare d’accordo con il ragazzino, beccarmi i genitori sul set, scusarmi se finiamo troppo tardi... Perché non recitare con Ben?”». È come se, nella famiglia, ci fosse una storia complicata che si appiana. Tutte le sere Yvan piange in scena e regola i conti con il figlio. In una sala interna del teatro parigino, Charlotte fa le ultime prove prima di partire in tournée con uno spettacolo dove fa i conti con i propri fantasmi. La sala è immersa nel buio, Jane Birkin si è seduta in fondo, discreta. Guarda Charlotte, fragile sagoma con la coda di cavallo, seduta al piano in mezzo ai musicisti. Jane è commossa. «Ho l’impression­e che abbia aperto il sacco, nel senso più bello del termine, ed è qualcosa di contagioso», mormora. «Questo spettacolo è una liberazion­e per tutti noi».

[traduzione di Yasmina Melaouah] In tutto il servizio, per entrambi: abiti, Saint Laurent. Make-up Min Kim@Airport Agency. Hair Sébastien Bascle@Calliste Agency.

«LA GENTE MI DICEVA “TUA MADRE È UNA PUTTANA, TUO PADRE UN DROGATO”, MA CASCAVANO MALE, AVEVO UNA BELLA CORAZZA» Charlotte Gainsbourg

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