NON HO L’ETÀ PER AMARE
Diplomato odontotecnico ma anche istruttore di windsurf. Poi la folgorazione in un pub australiano, a Milano. Guido Caprino ha sviluppato un curioso percorso nello spettacolo che in realtà non tiene neppure a far conoscere tanto. Lui detesta la mondanità
Una volta ho conosciuto un tale che abita a Lourdes. Faceva l’idraulico. E la cosa mi ha fatto molto ridere». Guido Caprino me l’ha raccontato così, quasi senza intonazione, come un inciso, mentre parlavamo di miracoli e luoghi miracolosi famosi nel mondo. Non saprei dire se questa battuta (ghiacciata, geniale) se la fosse preparata o se gli sia venuta fuori così, per caso. E il mistero resterà, credo. Nonostante la popolarità arrivata dal Commissario Manara, I Medici, In Treatment e le due serie 1992 e 1993, Guido Caprino è raramente intervistato, vive lontano da Roma (in Sicilia, dove è nato), si domanda «ma a che servono gli uffici stampa?», non ha profili social, del suo privato si sa poco o nulla, nemmeno un pettegolezzo innocuo. Caprino ha un sex appeal animalesco indiscutibile, fisico imponente e allenato dalle arti marziali, soprattutto karate, ma le sue povere fan sono costrette a fare come nel secolo scorso: spedire lettere d’amore all’agenzia che lo rappresenta. Oggi gli tocca farsi intervistare (attività che definisce «una sofferenza») per parlare del Miracolo, nuova serie di Sky firmata dallo scrittore Niccolò Ammaniti, dove interpreta il presidente del Consiglio di un’Italia alle soglie di un referendum in cui si deciderà se uscire o no dall’Unione europea. L’uomo si trova improvvisamente alle prese con un problema scatenato dal
ritrovamento casuale, in un’operazione di polizia, di una statuina della Vergine che lacrima sangue, molto lontanamente ispirata a quella di Civitavecchia che, nel 1995, avrebbe per 14 volte stillato lacrime di sangue. Parafrasando Carmelo Bene, l’alter ego di Caprino è apparso alla Madonna e la gestione filosofica, teologica, pratica dell’evento diventa, nel Miracolo, anche un problema politico. Lei è religioso? «Credo nella natura, in un’energia superiore che qualcuno deve pure aver creato. L’anno scorso recitavo una tragedia (Le Fenicie di Euripide, ndr) al teatro greco di Siracusa, c’era una scena in cui dovevo pregare gli Dei di darmi la forza per uccidere mio fratello. Guardavo quel cielo blu, che qualcosa di divino lo è davvero e, in quel momento, mi è sembrato bello credere. Poi magari, alla fine, io diventerò una formica. Non penso ci sia nulla di male nella vita delle formiche, intendiamoci». Ma che educazione ha ricevuto? «Cristiana, come la maggior parte degli italiani. Con mia madre, quando ero ragazzino, andammo alla Madonna di Belpasso, dove si diceva che c’erano state delle apparizioni. Mia madre è religiosa, ma anche molto curiosa, ci portò anche per fare una gita. In quel momento rimasi molto suggestionato dall’idea di miracolo. Oggi, normalmente, quando entro in una chiesa provo grande rispetto per chi è credente e, a volte, ci entro anche solo per pensare, per trovare quel silenzio che non si trova altrove». Ha studiato per diventare odontotecnico: come è finito a fare l’attore? «Questa domanda me la fanno tutti, non so perché». Forse perché l’ortodonzia c’entra poco con il palcoscenico? «Era un diploma, non una vocazione. Mi sono iscritto prima al classico, poi ragioneria, poi agraria, infine ce l’ho fatta da odontotecnico». Era ribelle? Non aveva voglia di studiare? «Ero molto volubile». Un passaggio nei villaggi turistici, giusto? «Sì, come istruttore di windsurf alla Valtur di Capo Rizzuto, in Calabria. Certo non come animatore, ero troppo antipatico, mi volevano cacciare ogni giorno, odiavo la vita e le regole del villaggio». Primo lavoro come attore? «In un pub australiano in zona Garibaldi, a Milano, avevo una battuta. Di giorno facevo il modello e studiavo recitazione. La gente mi diceva di andare a Roma perché a Milano non sarebbe mai successo niente e io così ho fatto. Un anno di disoccupazione, giusto due provini. Poi, a un certo punto, qualcosa si è sbloccato e ho iniziato». Con Marco Bellocchio, nel Regista di matrimoni. E non si è fermato più. Una carriera molto ben strutturata: il cinema d’autore, le serie tv, senza mai sbracare. Bravo. «Grazie. Ma non è difficile. Bisogna dire molti no. Non avere l’ansia di lavorare per forza». Quando non lavora sta in Sicilia. «Sì, anche se adesso mi trasferisco per un periodo in Toscana, ci ho portato il mio cavallo, Nestore». Che cosa c’è di speciale nell’andare a cavallo? «È uno sport che ti dà un grande senso di libertà ma, al tempo stesso, è molto pericoloso. Sono molto volatile con il pensiero, stare in sella mi serve a essere presente a me stesso. Alcuni hanno un rapporto con il cavallo come se fosse una motocicletta, per me è come un amico». La Sicilia, il cavallo. Scelte di vita anti mondane. «A me la mondanità pare una palla micidiale». Mai andato in crisi? «Al mio primo impegno in tv: due giorni sul set della fiction Vento di ponente. Ero arrivato pensando a questo lavoro con in testa i miti dell’Actors Studio, mi ispiravo a Marlon Brando e mi sento urlare: “avanti, dille ’ste due battute”. Fu un trauma. Uscii da quel set completamente bloccato, terrorizzato. Poi, ho lavorato un po’ su me stesso e due anni dopo ho ricominciato». Mi sta dicendo che è andato in analisi? «Due o tre sedute mi sono bastate. Non era la persona né il metodo giusto per me. Mi ha anche chiesto 120 euro ogni volta, in nero. Non ci si può fidare, capisce? Meglio il karate». Ha una relazione, una compagna, vuole mettere su famiglia? «Non ancora, sono troppo giovane». Non così giovane, su. Ha 45 anni. «Per questi aspetti sono giovanissimo. Il cammino verso l’amore vero è lungo, bisogna essere maturi».
«DUE O TRE SEDUTE DI ANALISI MI SONO BASTATE: MEGLIO IL KARATE»