SELVAGGIA E SENTIMENTALE
Con Filippo Timi, accanto a lei al cinema, Lucia Mascino condivide l’«ipercosa», parole senza sosta, comportamenti ai limiti dell’eccesso, il rischio di trasformare «ogni scelta in un incubo». Per questo il suo obiettivo è perdere il controllo
Per capire le persone, in fondo, basta vedere come ordinano al ristorante. Ci sono quelli che scelgono un piatto e via, e quelli che fanno un sacco di domande e chiedono almeno una variazione. Lucia Mascino appartiene alla seconda categoria. Come Claudia, il personaggio di Amori che non sanno stare al mondo di Francesca Comencini, con cui ha vinto quello che lei chiama il «premio candidatura» ai Nastri d’argento (la premiazione sarà il 30 giugno), e probabilmente anche Mrs Emerald di Favola, la casalinga inappuntabile che s’innamora dell’amica trans, ovvero un Filippo Timi in gonnellone fiorato e sottostante pene. «Sì, quella di Claudia è la mia modalità. Ma Mrs Emerald non mi somiglia, lei è la signora alla quale giocavo quando ero bambina». E proprio dai ricordi di quando era piccola è nata buona parte del testo scritto dallo stesso Timi. Spettacolo teatrale prima, ora film che arriva nelle sale come evento il 25, 26 e 27 giugno dopo il passaggio in apertura del MIX di Milano (21-24 giugno), festival dedicato al cinema gay, lesbico e queer. «Venivano fuori per caso e lui: “Ah, zitta, che questa me la segno”. Mi appartiene, per esempio, la paura della nostalgia del mio personaggio. A sei anni piangevo guardando le foto dove ne avevo cinque. Non sopportavo l’idea che tutto cambiasse». Parla senza sosta Lucia Mascino. «È uno stato confusionale di assestamento quando non conosco il mio interlocutore. Nel giro di qualche ora mi passerebbe e lei sarebbe sfinita». In realtà, quando la conversazione si sposta sulla sua famiglia, le parole si fanno più rarefatte. «Sono l’ultima di quattro figli: Giuseppe, Paolo, Anna e Lucia. Anche mia sorella ha fatto l’attrice, ma non come lavoro, semmai come passione, scoperta di sé. I miei fratelli invece sono stati campioni italiani di vela. Siamo legati un po’ a due a due, ma tutti vicini». La sua infanzia ad Ancona, dove è nata 41 anni fa, è stata molto poco convenzionale. «A sei anni già andavamo a scuola da soli. Eravamo, come dire, poco seguiti». Suo padre «spumeggiante, pieno di ideologie» è morto una ventina di anni fa, sessantenne. La madre, che oggi ha 78 anni, a vedere i suoi spettacoli va di quando in quando. «Crescere senza controllo ti rende più selvatico – devi trovare la forza in te stesso – ma ti porti addosso qualche sgraffiatura in più. Oggi penso che per chi fa un lavoro come il mio avere un sostegno sia importante». Il mestiere dell’attrice e l’amicizia con Filippo Timi sono nati insieme. «Ci siamo incontrati il 9 maggio 1997 a Bologna, al laboratorio teatrale di Giorgio Barberio Corsetti. Lui faceva le ruote senza mani e anch’io, lui è settimino e io pure. Abbiamo
lo stesso tipo di metabolismo: in tour io aprivo la porta della stanza in hotel nell’esatto momento in cui lo faceva lui. E abbiamo entrambi quella cosa che chiamiamo l’ipercosa, anche banalmente definita come “è troppo”. Per esempio, tocco troppo le persone, anche quelle che non conosco. E quando devo prendere una decisione divento un incubo. Ho dieci, quindici persone alle quali non mi limito a chiedere consiglio: le richiamo, ci ripenso, le sfinisco. Così, quella scelta che doveva essere il 5 per cento della mia vita acquista un’esistenza propria fino a occuparne il 70 per cento. Della mia e di quelle degli altri. Per decidere devo perdere il controllo». Proprio sbottando è diventata attrice, e ha lasciato gli studi di Biologia. «Mia zia, la cugina di secondo grado di papà, era Virna Lisi e mi aveva in qualche modo acceso la curiosità nei confronti del cinema, ma da bambina non avevo mai pensato di fare l’attrice. Io, per capire se ci posso stare dentro o no, una situazione la devo toccare con mano. La mia prima volta su un set è stata nel film Tartarughe sul dorso, avevo 28 anni. Tre giorni diversi, bellissimi. Alla fine già fantasticavo di lavorare con Almodóvar». Non è (ancora) accaduto. Però, a partire dal successo nel 2013 di Una mamma imperfetta, nata come webserie e poi approdata in tv («Un progetto bello che ha “viaggiato” anche, un aquilone»), sono accadute molte altre cose. Fino al «premio candidatura» a Favola, film al quale tiene tantissimo. «In casa mi sono messa la locandina, un metro per un metro e mezzo». Insomma, sono finiti i tempi in cui si chiedeva: «Di questo mestiere posso vivere?». E anche l’intervista. Ma noi rimaniamo qui a fare decompressione. Due palombari seduti a un tavolino.