IN FAMIGLIA CON LE AMICHE DEL CUORE
Caro Massimo,
chi ti scrive è una mamma e una nonna triste. Ho 75 anni, sono rimasta vedova quando ne avevo 40 e ho cresciuto i miei figli, due maschi, da sola, lavorando molto e cercando di non fare loro mancare niente. Il maggiore ora vive all’estero, lo vedo una volta l’anno e mi chiama raramente: è stato completamente assorbito dalla famiglia della moglie. L’altro vive nella mia stessa città, ma comunque lo vedo poco, con la scusa del lavoro e dei figli da seguire. In tutto ho quattro nipoti, che quasi non conosco: guardo tutti i giorni le loro fotografie, vivendo, per un attimo, l’illusione di averli accanto. E pensare che prima di sposarsi i miei figli erano tanto affettuosi, poi nel tempo si sono allontanati. Da sei mesi sono malata, e temo che non potrò più vivere da sola. Ho sempre pensato, con grande tristezza, a quegli anziani parcheggiati nelle case di riposo in attesa di morire. Sarà anche la mia sorte? Con tutto l’amore che ho dato e che ancora vorrei dare, penso di vivere nel più ingiusto dei mondi. Perché i vecchi vengono lasciati soli e dimenticati? Io, dentro di me, mi sento una ventenne, ma sono prigioniera del tempo. — E.
Non sono cambiati i figli, ma la società. Nell’Italia contadina si cresceva sparpagliati nella stessa casa patriarcale – nonni, figli, nipoti, zii celibi e zie zitelle. Vigeva la regola del mutuo controllo e della mutua assistenza. Nessuno era mai libero e nessuno era mai solo. Non è che allora i figli dedicassero chissà quali energie alla cura dei genitori anziani. Ma li incontravano ogni sera a cena: era tutto più facile, più naturale. E i bambini crescevano con i nonni, non con le tate. Certo, oggi abbiamo la tecnologia e nessuno vieta a un figlio di videotelefonare ogni sera a sua madre, esattamente come videotelefona al figlio adolescente in vacanza con gli amici. Ne dovremmo dedurre che i genitori amino i figli più di quanto i figli amino i genitori? Generalizzare è stupido perché al mondo esiste di tutto, madri degeneri e figli devoti compresi. Però ci sta che un figlio maschio venga assorbito dalla famiglia della moglie e tolga intensità al rapporto con quella di origine. Salvo poi pentirsene fuori tempo massimo, rimpiangendo le occasioni perdute. Spesso – è successo a me con mio padre – ci si lascia senza un effettivo passaggio di consegne. Conoscere le storie dei propri avi è privilegio dei nobili e dei ricchissimi, che pagano chi gliele scrive. Invece io non so nulla dei miei bisnonni romagnoli, per dire, e a questo punto della vita un po’ mi dispiace. Se avessi passato qualche ora in più con mio padre a parlare della sua infanzia, conoscerei mondi e sentimenti che mi sarebbero di stimolo sia come persona sia come narratore. Invece la vita ti travolge con le sue finte priorità che sembrano vere, e mentre le affronti forse lo sono davvero. Solo dopo ti accorgi che esistevano cose più importanti a cui non hai dedicato che briciole di attenzione. Ma queste sono riflessioni che potrei condividere con i tuoi figli. Tu hai un altro problema. Quello di accettare l’idea che si possa invecchiare sostituendo ai propri consanguinei, distratti o lontani, una nuova famiglia di elezione. Di solito questa famiglia sono le amiche del cuore. Ci si fa visita l’un l’altra, si parla di acciacchi e medicine, di figli che non chiamano mai (i quali così si rendono finalmente utili, offrendo alle madri un argomento di conversazione) e si commentano le ultime notizie del telegiornale fingendo di credere che il mondo sia molto peggiorato rispetto ai tempi della propria giovinezza. A ben pensarci, sono argomenti di conversazione a cui figli e nipoti porterebbero un contributo limitato e comunque solo in veste di ascoltatori insofferenti. Le solidarietà generazionali sono più forti di quelle ideologiche e persino di quelle di sangue. Se io parlo della voce irripetibile di Peter Gabriel – cantante dei Genesis – con un ottantenne o con un ventenne, riceverò, se va bene, uno sguardo di educato interesse. Se lo faccio con un cinquantenne, lo vedrò commuoversi con me. Cara E., non intendo sminuire l’importanza della famiglia. Però nemmeno attribuirle un significato esagerato ed esasperato. C’è un tempo per tutto, nella vita. E la vecchiaia, come l’adolescenza, è un tempo dove gli amici tornano in primo piano, diventando per certi versi più familiari dei parenti.