Io, giurato tra i Leoni
Ascoltare i pareri di tutti, discutere di film ed estetica. Ma anche scegliere dove mangiare il pesce oppure giocare a funny or not funny. Ecco che cosa succedeva nella giuria di Venezia. Nel racconto esclusivo di un perfetto (e conosciuto) insider
PROLOGO
Emozionante. Tra i mille aggettivi, questo il più giusto per descrivere la mia esperienza da giurato del Concorso ufficiale alla 75esima Mostra del Cinema di Venezia. Che poi è esattamente quello che tutti vorremmo dalla visione di un film: emozioni. Sono stati giorni convulsi e confusi, giorni di sonni agitati e taccuini riempiti di note e suggestioni. Ora che l’avventura è conclusa, i bagagli riempiti e soltanto in attesa di essere imbarcati, provo a mettere in ordine le idee. Il verdetto è noto, il dietro le quinte molto meno.
PRELIMINARI
Come è iniziata? Sono stato contattato in maniera curiosa. Non conoscevo personalmente il direttore della Mostra, stavo girando sul set e sul telefono vedo apparire una chiamata da un numero ignoto. Non rispondo. Poi, a stretto giro, il suo nome: «Ciao, sono Alberto Barbera, quando puoi richiamami». Il pensiero è andato subito al Concorso, ma ho cercato di tenerlo a freno. Ci sono mille ragioni per ricevere la telefonata di un direttore e mille occasioni – lo so bene per aver accettato altri inviti in passato – di essere presente a Venezia, uno dei festival più importanti del mondo, per una masterclass o per partecipare a un dibattito. Quando l’ho chiamato e ho ascoltato quel «Ti vorrei in giuria» direttamente dalla sua voce ho pensato che io e gli altri, in quell’istante, più che essere chiamati a decidere sui premi, un premio lo stavamo ricevendo.
PRONTI, PARTENZA, VIA
Alla prima occasione di incontro, appena arrivato in Laguna, sono scivolato subito. Ero stato invitato al party di Variety e vedo avvicinarsi una teenager bionda che mi porge la mano con un amichevole «Ciao Paolo». Non la riconosco, le do la mano con sguardo dubitativo e lei mi dice: «Sono Naomi Watts, siamo in giuria insieme». Vestita in maniera semplice, era irriconoscibile. Quando mi sono riavuto dalla figuraccia ho riflettuto su quanto quell’incontro fosse sintomatico della serietà con cui tutti avevano preso l’impegno di essere in giuria. Io e Naomi non ci conoscevamo, ma lei aveva comunque voluto studiare volti e biografie dei suoi compagni di cordata. Era più preparata di me.
LA PRIMA RIUNIONE
È vero che con Perfetti sconosciuti e con The Place ho viaggiato molto e ho incontrato mondi e sensibilità diverse da quella italiana con cui confrontare le differenti visioni del cinema e della vita. Ma è altrettanto vero che quando mi sono seduto per la prima volta al tavolo della riunione plenaria della giuria con Guillermo del Toro, Christoph Waltz, Naomi e gli altri, tutti insieme, la visione è stata a 360 gradi, colorata, caleidoscopica. Una panoramica su ciò che conta per ogni giurato in un film, su quali devono essere le suggestioni e le emozioni da veicolare, sul senso della narrazione e della drammaturgia che ogni storia dovrebbe avere. Sensibilità diverse, ma in fondo tutte con un filo rosso, le emozioni appunto.
LE SENSIBILITÀ DIVERSE
Anche se il cinema è un lavoro di gruppo, il regista è spesso chiamato a decidere in solitudine. In una giuria, succede il contrario, ascoltare i pareri di tutti, difendere il proprio punto di vista ma essere pronti a cambiarlo se le motivazioni degli altri ti convincono. Interessanti sono state le discussioni sull’estetica dei film, sul senso dell’innovazione, sull’uso del bianco e nero, sul tono recitativo e via dicendo. Tanti i criteri decisionali ma su una considerazione siamo stati tutti d’accordo: un premio in un festival come Venezia può cambiare la vita di un artista. Noi potevamo contribuire a cambiare il destino di qualcuno, e questo ti responsabilizza fortemente, stimolando la massima attenzione nella valutazione.
IL CLIMA AMICHEVOLE
Sono state giornate piene di impegni. Dalla mattina alla sera, tra una proiezione e un’altra, non abbiamo avuto un momento per respirare. La sera, allo sciogliete le righe, sulla carta eravamo tutti liberi. In un festival è facile disperdersi. Eppure, nonostante le feste, la tentazione di riposare e di staccare per qualche ora, abbiamo avuto voglia di continuare a stare insieme. E per scelta volontaria, nove sere su dieci, siamo andati tutti a cena fuori. Come una scolaresca. Come un gruppo affiatato. Al di là di ogni impegno ufficiale.
GUILLERMO DEL TORO, IL CAPOCLASSE
È stato bravissimo. Ha saputo toccare le corde giuste. Un bambinone intelligente, spiritoso e simpatico che si è comportato come un capoclasse. Aveva inventato un gioco: funny or not funny. Ovvero decidere se i personaggi famosi avessero una natura ironica, divertente oppure no. E così la giuria, oltre al Leone d’oro, ha anche stabilito che Michelangelo Antonioni era funny, e che
«Una teenager bionda mi porge la mano: “Ciao Paolo”. Non la riconosco. “Sono Naomi Watts, in giuria con te”» La regista e attrice francese Nicole Garcia, 72 anni, insieme con l’attrice australiana Naomi Watts, 49.
lo erano pure Che Guevara, Federico Fellini, Snoopy, Meryl Streep e tanti altri. Ovviamente non dirò mai quelli considerati not funny. Ci ha avvicinato anche la tavola. Una piccola parte della riunione era dedicata a dove avremmo mangiato la sera. Il compito era mio. Si sentiva il vocione di Del Toro: «Paolo, where we go tonight?». Dove si mangia? In una giuria di persone pazze per il pesce, essendo a Venezia, il compito si è rivelato meno improbo del previsto.
L’ITALIANO E IL SUO DIARIO
Senza ridicoli sciovinismi, posso dire di aver avvertito l’impegno a cui ero stato chiamato quasi con sacralità. L’unico giurato italiano! Certamente il mio punto di vista nelle discussioni, ma comunque quello di un italiano. Ho preso appunti su ognuno dei 21 film del Concorso per timore di dimenticare qualche cosa e ho riempito pagine e pagine con le mie osservazioni. Le riunioni si svolgevano in inglese ed esprimersi in una lingua che non è la tua cercando di spiegare a fondo il tuo punto di vista non è stato facile. In qualche modo è stato come tornare a scuola, sui banchi, in attesa di un’interrogazione.
LA SEGRETEZZA
La giuria è chiamata a una totale riservatezza. Con gli estranei al nostro ristrettissimo gruppo non puoi tradire neanche da uno sguardo il tuo giudizio su un film. La paranoia ha assunto aspetti inquietanti, così balbettavo e riflettevo se potevo rispondere anche se mi chiedevano: «Dove sei stato a cena?». Essere in giuria riscrive per una settimana i rapporti che hai con le persone. Ho incontrato Mario Martone in ascensore, ci conosciamo da anni. Ci osservavamo e poi uno dei due ha detto: «Ma ci possiamo abbracciare o no?», «Penso di sì». Siamo scoppiati a ridere e oltre all’abbraccio ci è scappato anche un in bocca al lupo.
«Le sopracciglia non te le tocco perché so che per voi attori lo sguardo è molto importante» In alto, le donne della giuria: Malgorzata Szumowska, 45; Trine Dyrholm, 46; Nicole Garcia; Sylvia Chang, 65; Naomi Watts. Qui sopra, Paolo Genovese.
IL TRUCCO E LE SOPRACCIGLIA
Ignoravo che per i giurati fosse prevista una liturgia di vestizione, di trucco e di parrucco. Mi sono fatto accorciare i capelli il primo giorno e il parrucchiere mi ha detto: «Le sopracciglia non te le tocco perché so che per voi attori lo sguardo è molto importante». Stavo per spiegare, poi sono stato zitto. In fondo, lo sguardo è importante anche per noi registi.
L’EMOZIONE PIÙ GRANDE
Non è stata tanto vedere i film in sala, seduto in prima fila, con gli invitati in smoking di ogni delegazione, quanto piuttosto passare alle quattro del pomeriggio, con il sole a picco, davanti alla Sala Grande e vedere centinaia di ragazzi in fila con gli ombrelli aperti per ripararsi dal caldo, aspettare l’inizio del film con la speranza di potersi accaparrare un buon posto. Chiacchierano, scherzano, discutono di cinema, forse tra un parere e l’altro nasce anche un amore. Mi sono avvicinato, abbiamo parlato, li ho osservati con i loro zaini sulle spalle, i volti entusiasti, i cataloghi in mano e un grande amore per il cinema. È l’immagine che mi porterò dietro di questo festival.
I GIURATI: UN AGGETTIVO PER LA MEMORIA
Umanamente mi resterà qualcosa di ognuno di loro. La simpatia contagiosa di Guillermo del Toro, la disarmante semplicità di Naomi Watts, la pungente ironia di Chistoph Waltz, la lucida follia di Malgorzata Szumowska, il sorriso luminoso di Trine Dyrholm, lo sguardo curioso di Sylvia Chang, l’adorabile timidezza di Nicole Garcia e l’inesauribile energia di Taika Waititi. Da Venezia è tutto. È stato bellissimo.