CHI TROVA UN SET
TROVA UN AMICO
L’attrice di La La Land torna alle origini e alla tv, con la serie Maniac che affronta problemi mentali e cure farmaceutiche. Dove si scopre però che la vera medicina nella vita sono i rapporti umani perché «aiutarsi è la cosa che ci fa stare meglio in assoluto»
Giusto un paio di giorni prima di incontrare Emma Stone per il lancio della serie Maniac, a cercare il suo nome in Rete venivano fuori per lo più commenti e previsioni sul presunto nuovo amore del suo ex, Andrew Garfield, paparazzato a Malibu in compagnia dell’attrice Susie Abromeit. Il che spiega, forse, l’insistenza con la quale mi viene più volte ribadito che durante l’intervista non sono assolutamente ammesse domande personali. Eppure, quando entro nella stanza, la trovo da sola. A differenza di quanto succede con molte sue colleghe, non c’è nessuno – assistente, ufficio stampa, pierre – seduto nei dintorni ad ascoltare e a bloccare possibili domande inopportune. Stone indossa un sobrio completo piedde-poule dal taglio maschile, i capelli lisci terminano in un ricciolo che le lambisce le spalle. Il resto è come te lo aspetti: le labbra rosso fuoco, gli occhi immensi. Ma a colpirmi più di tutto sono le mani. Minuscole. Da bambina: «Spaventose, vero? Non hanno senso, sono del tutto sproporzionate rispetto al resto del corpo (è alta quasi un metro e settanta, ndr)». Per la felicità dei binge watcher, il 21 settembre su Netflix passeranno tutti gli 8 episodi di Maniac. Per lei, una sorta di nuovo debutto. L’attrice premio Oscar per La La Land, la più pagata al mondo nel 2017, in tv era apparsa solo a inizio carriera: piccoli ruoli conquistati a fatica dopo il trasferimento a Hollywood, a 15 anni con la madre, «perché un giorno, a scuola, durante l’ora di Storia ho avuto come un’illuminazione, ho sentito che dovevo assolutamente andare a Los Angeles e fare l’attrice». Al centro di Maniac, ci sono due personaggi alle prese con grossi problemi di stabilità mentale. Annie, interpretata dalla Stone, è ossessionata dal suo rapporto con la madre e la sorella, mentre Owen, l’attore Jonah Hill, deve vedersela con una diagnosi di schizofrenia, un fratello pervertito e due genitori ostili. Entrambi accettano di fare da cavie per la sperimentazione di un farmaco che promette di curare tutti ma proprio tutti i disturbi psicologici. Succede che, inspiegabilmente, si ritrovino insieme in una serie di sogni-allucinazioni, in ognuno dei quali appaiono nelle vesti di personaggi diversi. Quando le chiedo quale sia stato più divertente da interpretare, mi aspetto che scelga uno dei più avventurosi – una ladra, una killer professionista, un elfo – ma lei mi spiazza e sceglie «Linda, l’infermiera di Long Island del primo episodio, quella del lemure. Mi piace la sua personalità, quel suo masticare continuamente chewinggum e il rapporto di complicità che ha con il marito».
Annie e Owen cercano di risolvere i problemi con un farmaco ma scoprono che sono i rapporti umani, l’amore, l’amicizia, a contare davvero. «Vorrebbero sentirsi meglio e ci provano per conto proprio, isolandosi. Ho pensato che rispecchiasse il modo in cui funziona il mondo di oggi. Più siamo interconnessi e più ci allontaniamo l’uno dall’altro. Non importa se si ritrovano insieme per via di un errore che si è verificato durante il test o perché era destino che diventassero amici: qualunque sia la ragione, lo trovo molto bello. E molto vero. Abbiamo bisogno gli uni degli altri, aiutarsi è la cosa che ci fa stare meglio in assoluto». Di recente lei e Ryan Gosling avete parlato della profonda amicizia che vi lega dopo tre film insieme. Un’eccezione nel mondo del cinema? «Girare un film o una serie tv è un po’ come partecipare a un campo estivo. Per un periodo che può andare dai tre ai sei mesi, ti ritrovi con un gruppo di persone che non hai mai visto prima e che man mano impari a conoscere. Non ho mai lasciato un set senza essermi fatta un nuovo, vero amico. Mi considero fortunata». Anche Jonah Hill è un amico? «Lo è. Ci conosciamo da dodici anni, dai tempi di Suxbad - Tre menti sopra il pelo, mio primo film e mio primo provino importante. È stato interessante scoprire come ognuno di noi è cresciuto, cambiato o non cambiato affatto nel modo di rapportarsi al lavoro». Mi sembra di intuire che non crede di essere cambiata molto. «Spero di no. Adoro il mio lavoro come allora e non ho smesso di arrivare in orario sul set». Che cosa ci rende più noi stessi: le debolezze, i limiti o i punti di forza? «Prego che siano i punti di forza, la capacità di superare le difficoltà. Più grandi sono le sfide, maggiori le opportunità di crescere». Lei si è definita molto sensibile, anche troppo. «A lungo l’ho considerato destabilizzante. Pensavo fosse un intralcio, persino una crudeltà provare emozioni tanto intense, fino a quando non sono riuscita a considerare questo mio modo di essere da un’altra prospettiva. Non che mi riesca sempre: ieri notte, mentre non riuscivo a dormire per colpa del jet lag, ho passato tre ore a sgridarmi: smettila di pensare a tutto! Ma se da bambina pensavo che fosse uno schifo (Stone ha sofferto di attacchi di panico, ndr), che la vita offrisse troppe emozioni, oggi non potrei immaginarmi diversa da quello che sono. Quando hai una sensibilità come la mia la vita non è sempre facile, ma i momenti di gioia sono immensi». A novembre compirà trent’anni. Una svolta importante? «Sì. Ho sempre desiderato invecchiare, non tornerei mai indietro a quando ero più giovane». Sul serio? «Mia madre è entusiasta degli anni che passano. Significano più esperienze, più punti di vista. Non vedo l’ora».
«SE HAI UNA SENSIBILITÀ COME LA MIA LA VITA NON È SEMPRE FACILE, MA I MOMENTI DI GIOIA SONO IMMENSI»