Vanity Fair (Italy)

KILLA Revolution­s

È diventato prudente, protettivo e si sente connesso con l’universo: ma quanto è cambiato Emis Killa da quando è nata la figlia Perla Blue

- di LAVINIA FARNESE foto ARIANNA AIROLDI

Le apparenze, prima che superficia­li, sono misteriose. E vanno studiate perché non c’ingannino. Emiliano Giambelli, già dal nome d’arte che ha desiderato per sé – Emis Killa, dove Emis è «un diminutivo seguito dalla S, la lettera più bella dell’alfabeto» e Killa «darsi del killer in slang americano, perché uccidevo tutti nei concorsi di freestyle» –, è anche pace, e non solo guerra. Come adesso che aspetta questo nostro incontro al tavolo di un ristorante di provincia, appena fuori la statale che porta via da Milano verso la Brianza, non lontano dal centro della sua Vimercate: gambe larghe, strette in jeans strappati; occhiali da sole aggressivi; una cascata di crocefissi d’oro al collo e una maglia spaccona («Tu mi conosci, io no») a coprire solo in parte quell’abuso di tatuaggi che è il suo corpo di bombe a mano, pistole, banconote, guantoni, fulmini sulla pelle, e scritte tra l’avvertimen­to («Come un pitbull») e la verità («L’invidia fa male solo agli invidiosi»). Fuoco e benzina, insomma, che è anche il primo titolo del suo ultimo album, Supereroe: uno dagli occhi diretti, non disposti a scendere a compromess­i, ma in fondo languidi, buoni. Proprio come i suoi. Di cosa parla Fuoco e benzina? «Di vita vissuta, romanzata. Degli adolescent­i esplosivi che siamo stati, alla Bonnie e Clyde. Di quando tornavo in motorino con la ragazza dietro e la droga nel sotto-sella, e si confondeva­no amore e rischi, e c’erano le coltellate da evitare, le esistenze da far svoltare. La volevano al Festival di Sanremo, questa canzone. Ma per l’Ariston era troppo hard. Mi hanno chiesto modifiche al testo. No, signori, non si cambia un acca. E me la sono ripresa». E Supereroe perché? «Ognuno ha il proprio, in me lo sono stati Bassi Maestro, pioniere della mia generazion­e – sua è la prima canzone che ascoltai – Club Dogo, Jake La Furia da copiare, e ognuno di noi lo è. Io almeno voglio esserlo, per i ragazzi. Ispirarli. Saper rispondere loro, pure quando mi scrivono “Sono stato lasciato, tu che faresti?”, con un rap mai politicame­nte corretto». Qual è il rap politicame­nte corretto? «Quello che evita di dire cose scomode, dunque fondamenta­lmente ben voluto da tutti. Ghemon, per esempio: più pacato, meno spocchioso. Mi piace e lo stimo perché non ha bisogno di ghingheri, né di atteggiars­i a playboy per comunicare i suoi messaggi, ma è altro da me, che faccio rimanere male le persone vicine, però dico sempre e solo quel che è in modo dritto, sincero, profondo, fedele. Mai una cazzata, un ammorbidim­ento. Mi rispettano, per questo». Nel suo ritorno c’è anche il tema dell’«amore maturo». Com’è? «Meno annebbiato di quello adolescenz­iale in cui se prendi una batosta stai in paranoia per una settimana, non mangi e ti convinci che non passerà più. Vive di altre sfumature: la comprensio­ne, un affetto diverso, una convivenza non solo nella stessa casa ma in tutti i sensi, nel levigarsi i difetti. Tiffany (Fortini, imprenditr­ice e designer d’interni di origini francesi, ndr) sono 8 anni che sopporta i miei». Come vi siete conosciuti? «Ho 16 anni, sono su MySpace, e vedo apparire sul profilo questa ragazza vestita da ballerina di burlesque, non porca, ma provocante, con l’aria peperina. “Quindi quando ci sposiamo?”, le scrivo. Risponde con una faccina sorridente, non dandomi corda. Passa qualche anno, mi aggiunge su Facebook: sta cercando casa per un cane, abbiamo degli amici in comune, è una causa che ha a cuore. A me interessa lei. Lei che re-incontro a un concerto. Non mi fila ancora, ma poi iniziamo a frequentar­ci. Qualche settimana, e mi manda a quel paese, nota che dalla mia bacheca faccio il cretino con altre: “Ascolta, non mi va di passare per scema”». Come l’ha convinta, alla fine? «Mesi dopo, al termine di un concerto. Ho insistito per dormire da lei perché ero ubriaco; ha ceduto, e da allora non è esistito giorno in cui non sia stato con lei pensando a quanto mi fa morire di risate, a come vorrei invecchiar­ci insieme». Avete appena avuto una figlia, Perla Blue. Pochissimi sapevano. «In sala parto stavo per svenire, la dottoressa ha dovuto badare più

«NON VOGLIAMO DIVENTARE UNA FAMIGLIA BRUTTA COL BAMBINO ANTIPATICO»

a me che al resto. Perché mentre è nella pancia e sta arrivando, sì, sei un po’ teso, ma finché non esce mica capisci». Desiderata? «E venuta dopo tre mesi che provavamo. Ma la pensavamo da tanto, e l’abbiamo voluta fortemente. Solo ho dovuto sistemarmi un po’ prima di farla». Perché Perla Blue? «Mi piacciono i nomi composti e insoliti, e Perla Blue è unico e raro. L’alternativ­a era Menta. La prendi in braccio e non capisci: “Che cos’è, l’ho fatta io?”. È vita, ma con la stessa forza della morte. Mi ero sempre chiesto dove andassimo a finire, ma mai bene da dove venissimo. La guardo e ha del miracolo, mi connette al Dio in cui non credo, al divino, all’universo. È tanto assurda quanto la fine ma è principio, e la proteggo». Da cosa, in particolar­e? «Dalle energie negative della gente. Che si concentra sulle stronzate: m’invidiano la Porsche a specchi, mica la salute. In Supereroe lo canto: “Essere amati anche dopo il successo/a quelli come me no, non è mai stato concesso./E non so se chiamarlo paradosso o compromess­o/il fatto che ho salvato tutti tranne che me stesso”». Dov’è il problema, secondo lei? «Il potere non te lo perdonano. Così, lo denigrano. Insultando­ti. Come quando sui social donne orrende scrivono “sei un cesso” a Belén o uomini persi “sei un fallito” a Gianluca Vacchi. Se accendono una luce su di te, è cattiva. Io poi ci credo». Al malocchio? «Il cuore ha un campo magnetico di circa due metri, e non è un segreto che il cervello emetta frequenze. Quando esco con lei, con Perla Blue, non voglio che me la guardino, per esempio. Giro il passeggino. Per la prima volta mi sento responsabi­le di qualcosa, e questo cambia tutto: non sto più al cellulare mentre guido, non attacco più briga in discoteca. Subito il pensiero mi va al fatto che non posso rincasare con un occhio nero, o nel peggiore dei casi rischiare di non farlo proprio, sbattuto in carcere o morto». Saprebbe individuar­e il perché di tanta impulsivit­à? «Sono cresciuto a zonzo, in piazza, tamarro tra i tamarri. Quando non si hanno i soldi è difficile volersi bene, non diventare litigiosi: si è arrabbiati, così ci si prende a botte alle giostre, ci si fanno le canne nei parcheggi e anche se si resta bravi ragazzi dentro, la legge del branco domina perché è grazie a lei che sei sopravviss­uto. Funziona anche in difesa: se qualcuno ti fa volare via il cappello, reagisci perché devi prevalere tu sull’altro, e l’umiliazion­e non può esistere. Ma ci siamo promessi che non farò più cose che possano compromett­ere mia figlia. Questo non significa che metterò via la moto, o che con Tiffany non viaggeremo, che non andremo più a cena fuori, perché non vogliamo diventare come quelle famiglie brutte con il bambino antipatico, la mamma trascurata, il marito con le balle piene». Che altro vi siete promessi? «Che non butteremo via il livello diverso da cui Perla Blue parte. Che non è il mio, con le case popolari, la mamma operaia la cui fatica non è mai abbastanza e il papà bipolare (il musicista Sergio Giambelli, morto nel 2009, ndr). Con tutto il bene che gli ho voluto e che mi ha voluto, vorrei essere per lei un padre più facile con cui convivere di quello che ho avuto, che entrava e usciva dagli ospedali. Lei è nata in una bella villa, nel privilegio, dove voglio che diventi grande in libertà senza essere altezzosa e col rispetto verso chi ha meno». Il fatto che crescerà in questa Italia la spaventa? «Con Matteo Salvini che fa il pazzo e i Cinque Stelle che sono la voce del popolo? Io non voto, e curo il mio, perché credo che la democrazia sia un modello ingiusto dove la preferenza di un ignorante quale sono non possa valere quanto quella di uno che ne sa. Scelgo almeno di non sentirmi in colpa per avere contribuit­o allo sfacelo». Quando si ricorda veramente felice? «Una mattina di Natale, da piccolo, i miei non ancora separati, il camper delle Micro Machines sotto l’albero acceso. Poi con papà prendiamo la nostra Citroën squalo e sgasiamo insieme, nei campi, giù fino al fiume: lo attraversi­amo da riva a riva, avanti e indietro, fottendo le sospension­i. E ci sembra di volare».

«QUANDO NON SI HANNO I SOLDI, È DIFFICILE VOLERSI BENE»

 ??  ?? EMIS «IL KILLER» Emis Killa (Emiliano Giambelli), 28 anni. Il 12 ottobre esce il nuovo album Supereroe.
EMIS «IL KILLER» Emis Killa (Emiliano Giambelli), 28 anni. Il 12 ottobre esce il nuovo album Supereroe.
 ??  ?? VOGLIA DI GIOCAREEmi­s Killa e la designer d’interni Tiffany Fortini, 33 anni. Stanno insieme da 8 anni e il 17 agosto è nata la loro bambina, Perla Blue.
VOGLIA DI GIOCAREEmi­s Killa e la designer d’interni Tiffany Fortini, 33 anni. Stanno insieme da 8 anni e il 17 agosto è nata la loro bambina, Perla Blue.
 ??  ?? SUCCESSO CERTIFICAT­OEmis Killa è disco di platino digitale con Rollercoas­ter. Il suo tour è già sold out nelle date di apertura a Milano (12 ottobre) e Roma (13).
SUCCESSO CERTIFICAT­OEmis Killa è disco di platino digitale con Rollercoas­ter. Il suo tour è già sold out nelle date di apertura a Milano (12 ottobre) e Roma (13).
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