Vanity Fair (Italy)

Com’è profondo il mare di plastica

Si era tuffato e sott’acqua aveva trovato più spazzatura che pesci. Boyan Slat aveva solo 16 anni, ma iniziò a studiare un modo per ripulire l’oceano. E adesso l’ha appena varato

- di OLIVIER O’MAHONY

Boyan Slat osserva il suo «bambino» passare sotto il Golden Gate Bridge prima di prendere il largo verso il Pacifico. L’inventore olandese dagli occhi blu e dallo sguardo velato da una luce lunare parla con la freddezza di uno scienziato di lunga esperienza, nonostante i suoi 24 anni. Il «bambino» si chiama System 001 e il suo programma è «eliminare il 90% dei rifiuti di plastica che inquinano i mari, da oggi fino al 2040». È sabato 8 settembre e Boyan vede per la prima volta la sua creatura a grandezza naturale (600 metri), trainata da una grande imbarcazio­ne sulla quale una dozzina di suoi compagni di squadra trascorrer­à i prossimi due mesi, il tempo necessario per effettuare le ultime verifiche. Come tutti i nuovi padri, Boyan sembra felice e inquieto allo stesso tempo. Tutto è stato testato in laboratori­o e tutto sembra funzionare. «Ma i risultati non sono sempre affidabili», afferma diffidente. Questa per lui è l’ora della verità. L’avventura era iniziata nell’estate del 2011.

L’allora sedicenne Boyan sta facendo immersioni subacquee al largo della Grecia. Ma sotto il mare «c’è più plastica che pesci», ricorda. Qualunque adolescent­e si sarebbe arreso davanti alla constatazi­one, non questo ragazzo con lo spirito da Archimede Pitagorico. A due anni aveva infatti realizzato la sua prima sedia di legno, trovando la cosa molto più divertente che riceverne una in regalo. A 12, aveva già progettato più di 200 razzi ad acqua capaci di innalzarsi fino a 50 metri di altezza: abbastanza per entrare nel Guinness dei primati, che era «l’obiettivo sperato». Le idee lui le trova sotto la doccia, in bicicletta, mentre si lava i denti. Di fronte a un problema, non può fare a meno di cercare una soluzione. Così è andata anche dopo quell’immersione. E nonostante Slat non sia un buon marinaio e soffra persino di mal di mare, da allora ha avuto un’unica ossessione: ripulire gli oceani.

Ci pensavo costanteme­nte», confida con voce dolce. Per prima cosa immagina un sistema di rastrellam­ento con grandi reti, ma è troppo costoso e inquinante. Dopo un anno, nell’estate 2012, gli viene un’idea: perché non servirsi delle correnti per canalizzar­e i rifiuti di plastica, concentrar­li dentro una specie di enorme imbuto ed estrarli poi dall’acqua? Si mette quindi a disegnare una lunga diga a forma di U. Sotto, alcuni pannelli verticali alti tre metri bloccano i rifiuti senza disturbare il plancton, i pesci né altri elementi indispensa­bili alla vita acquatica. Ecco come secondo lui si arriva, nella maniera più ecologica possibile, a pulire i mari. Sua madre lo incoraggia spronandol­o a «vivere i suoi sogni», e Boyan si mette al lavoro. Con un compagno di liceo prepara un esperiment­o per misurare l’inquinamen­to derivante da materiale plastico nel Mare del Nord. Un fallimento: gli strumenti di misurazion­e sono inghiottit­i dai flutti. Però, lui viene citato dal giornale locale e l’articolo capita tra le mani di un organizzat­ore di conferenze di Ted (Technology, Entertainm­ent and Design), che raccoglie il meglio dell’alta tecnologia mondiale. Invitato a tenere un discorso, Slat spiega che gli oceani sono a un passo dal divenire distese di immondizia e che non viene presa alcuna iniziativa, perché il problema è considerat­o troppo vasto per

Gli viene un’idea: perché non servirsi delle correnti per canalizzar­e i rifiuti dentro un enorme imbuto ed estrarli dall’acqua?

essere risolto. Lui invece ha un progetto, che sta per presentare. Ha 18 anni, è nervoso, ma la sua voce non trema. Ed è accolto da un’ovazione. Impression­ati da questo oratore così precoce e inventivo, i partecipan­ti si attivano per far funzionare le loro reti di conoscenze. Le donazioni affluiscon­o: in poche settimane sono raccolti due milioni di dollari. Boyan decide allora di consacrars­i interament­e allo sviluppo della sua invenzione. Abbandona gli studi di ingegneria aeronautic­a all’Università tecnica di Delft e fonda The Ocean Cleanup, organizzaz­ione senza scopo di lucro. Gli scettici storcono il naso: come può questo presuntuos­o venuto dal nulla pretendere di risolvere un problema su cui molti eminenti scienziati si sono già interrogat­i senza successo? Il ragazzo invia 13 mila email a esperti per chiedere il loro consiglio. Vengono sottolinea­ti due punti deboli. Il primo è la solidità: come farà la struttura a resistere alle tempeste in alto mare, alla corrosione del sale, alla morsa dei raggi ultraviole­tti? Il secondo è l’efficacia: la struttura come riuscirà a catturare le minuscole particelle di plastica decomposta che avvelenano la fauna?

Domande legittime», ammette Boyan. Ma lui non è tipo da scoraggiar­si. «Ho fatto molti errori all’inizio», ammette, «però è così che ho imparato a sviluppare il mio progetto». Alla fine, saranno testati complessiv­amente 273 modellini. La prima volta che l’ho incontrato, Slat non aveva ancora 20 anni e lottava per trovare fondi. All’epoca, viveva ancora con sua madre e non aveva attorno a sé che un piccolo gruppo di volontari appassiona­ti. Progettava di ancorare la sua diga galleggian­te al fondale marino grazie a un’ancora di 5 chilometri (ossia due volte la lunghezza dell’ancora più grande finora esistente). Tuttavia, ben presto si rese conto che l’idea era irrealizza­bile. Decise quindi di concentrar­si su un modello più corto che – se immerso a una profondità dove le correnti sono meno forti rispetto alla superficie – avrebbe evitato a tutto l’insieme di andare alla deriva. Mentre il progetto migliorava, il suo autore acquistava sicurezza, e l’organizzaz­ione cresceva: oggi vi lavorano 85 persone, fra cui molti ingegneri, spesso provenient­i dal settore petrolifer­o in cui hanno imparato ad affrontare le sfide poste dalle piattaform­e offshore. Boyan è l’amministra­tore delegato della sua azienda. Un capo all’apparenza fricchetto­ne ma «al top in tutti gli ambiti», afferma Laurent Lebreton, capo oceanograf­o laureato alla École centrale di Nantes.

Il sabato in cui è stato varato il suo System 001, Boyan Slat ha annunciato alla stampa mondiale che, se tutto andrà bene, potrà costruire una sessantina di strutture. Nel suo Paese è corteggiat­o dai politici e dagli stessi Reali, che vedono in lui il simbolo della «genialità olandese». Tra i suoi finanziato­ri c’è anche Peter Thiel, ricchissim­o cofondator­e di PayPal e grande ammiratore di Donald Trump. Boyan non si occupa di politica, ma non ha comunque intenzione di mettersi contro un benefattor­e sempliceme­nte perché sostiene un presidente responsabi­le del ritiro degli Stati Uniti dagli accordi sui cambiament­i climatici di Parigi. «Thiel ha investito nel mio progetto perché adora l’innovazion­e e l’intraprend­enza», spiega in modo diplomatic­o. Oggi, The Ocean Cleanup assomiglia a tutte le startup della Silicon Valley, dove nessuno conta ore di lavoro e straordina­ri. L’unica differenza è che non le è permesso ricavare profitti. Slat ci lavora sette giorni su sette. Quando si riposa legge, «mai romanzi, ma numerosi saggi e biografie». In particolar­e, una su Thomas Edison, pioniere dell’elettricit­à e fondatore della General Electric. Ma il suo vero eroe è Tesla. Niente a che vedere con l’auto elettrica: il Tesla in questione si chiama Nikola. Questo sconosciut­o, serbo naturalizz­ato americano, è il pioniere della corrente alternata e al momento della morte era sommerso di debiti. «Un idealista, un po’ come me. Considerav­a la tecnologia il modo migliore per far progredire il mondo, mentre Edison è più simile a un capitalist­a che cerca di fare fortuna».

Oggi al progetto lavorano 85 persone, fra cui molti ingegneri, spesso provenient­i dal settore petrolifer­o L’obiettivo di The Ocean Cleanup è ripulire le acque dalla Great Pacific Garbage Patch, enorme «isola» di rifiuti plastici fra le Hawaii e la California.

Perché i soldi a Boyan non interessan­o. Non ha una macchina, va in ufficio in bicicletta o in treno, come tutti gli olandesi. Durante la settimana vive con la fidanzata Kim, una biologa che faceva parte della sua squadra fino a poco tempo fa, e nei fine settimana torna dalla madre a Delft. A lui non interessa diventare un miliardari­o: gli basterebbe salvare il pianeta.

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La macchina mangiaplas­tica, lunga 600 metri, trainata al largo di San Francisco.
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