Vanity Fair (Italy)

DARE CORPO ALL’ARTE E AI DIRITTI «NERI»

- di SIMONA SIRI

Quando stava in Africa ed era avvocato, difendeva donne e bambini. Adesso che vive negli Stati Uniti ed è un maestro di body painting (che ha stregato anche Beyoncé) continua a occuparsi di temi sociali. E con le sue opere «viventi» combatte il razzismo

Scusi, ma l’intervista dobbiamo farla così, non posso fermarmi proprio adesso». Laolu Senbanjo mi invita a sedermi accanto a lui, per terra, mentre con un pennarello bianco sta disegnando la gamba della ragazza che è in piedi davanti a noi, in costume da bagno. Le mani e metà faccia della modella sono già completame­nte occupate tra tattoo bianchi e argento, con qualche punto dorato qua e là. Con fare delicato ma fermo, tenendo la punta del pennarello sempre a contatto della pelle, Laolu sta disegnando dei cerchi concentric­i sulla coscia sinistra della ragazza. Solo quando finisce mi rendo conto che è il disegno di una faccia stilizzata. «Ogni tratto ha un significat­o», dice, sempre senza staccare mai gli occhi dalla sua modella. «E quello che disegno viene anche influenzat­o dalla persona la cui pelle sto disegnando. Quello che si instaura tra me e le mie muse è un rapporto molto stretto, quasi intimo. Uno scambio spirituale e di energia». Qualche ora dopo, con il corpo completame­nte disegnato, vedrò la stessa ragazza sfilare con altre all’interno del Whitney Museum di New York, in un evento organizzat­o da Belvedere Vodka per il lancio della bottiglia in edizione limitata personaliz­zata da Laolu in supporto di (Red), l’associazio­ne creata da Bono e Bobby Shriver nel 2006 con lo scopo di mobilitare milioni di persone nella lotta all’Aids in Africa. Alla sfilata, ospite d’onore, partecipa anche la top model Helena Christense­n, che chiude lo show in tuta nera e con la parte destra del volto completame­nte dipinta. Borse, scarpe, abiti, cappotti, tele, pareti, chitarre, frigorifer­i: non c’è oggetto che Senbanjo non possa o non voglia dipingere. La sua superficie preferita e quella per cui è famoso rimane però la pelle. Il suo body painting è quello che ha stregato anche Beyoncé ed è presente nei video del suo concept album Lemonade. Un riconoscim­ento che ha reso l’artista africano il nome nuovo sulla bocca di tutti, adorato dal mondo fashion, rispettato da quello dell’arte. Nato in Nigeria da padre avvocato e da madre infermiera, laureatosi in Giurisprud­enza nel 2005, Laolu ha un passato come avvocato per i diritti civili e ha lavorato anche per la Human Rights Commission delle Nazioni Unite, dove si è occupato di diritti delle donne e dei bambini. Nel 2013 lascia il suo Paese e si trasferisc­e a New York per fare l’artista a tempo pieno. «In realtà lo sono sempre stato», dice. A Brooklyn, dove vive e lavora, incomincia con allestimen­ti che sono pezzi di performanc­e art, con lui che dipinge le sue modelle dal vivo. Il resto è storia e dopo le collaboraz­ioni con Beyoncé, Alicia Keys, Belvedere Vodka, Tony Allen e Alek Wek tutte le porte sono aperte. «Gran parte del mio lavoro è fortemente influenzat­a dal retaggio della cultura Yoruba. È la lente attraverso cui interpreto il mondo. Come custode della cultura Yoruba, cerco di attingere alle forme distinte che compongono antichi simboli e modelli nigeriani. I triangoli che dipingo e che compongono questi disegni sono il simbolo di una triade religiosa: padre, figlio e Spirito Santo, e l’idea di stabilità tra bellezza e passione. Nelle mie mani questi simboli creano disegni complessi e ricchi di storie ed è con loro che sono in grado di creare un dipinto da qualsiasi cosa. Posso raccontare la mia storia con l’aiuto della persona che sto dipingendo». È anche per questo che il suo motto è «everything is canvas»: ogni cosa può diventare una tavola espressiva, un credo ma anche una necessità. «Quando sono arrivato a New York, ho capito subito che qui come artista o ti evolvi o muori». La lotta per sfondare nella scena delle gallerie d’arte della città lo ha portato ad abbracciar­e l’idea che tutto può essere una tela, dai murales agli abiti, agli oggetti. Oggi che i brand fanno a gara per averlo e che la sua fama di artista si sta allargando a dismisura, Laolu non dimentica però che l’impegno di un artista, o almeno del tipo di artista che vuole essere lui, è anche sociale. «Quando sono arrivato qui, gli Stati Uniti erano un Paese diverso. Cambiando il clima politico, è naturale che sia cambiata anche la mia arte. Ho deciso di diventare un artista a tempo pieno perché sono convinto che l’arte possa arrivare a un numero infinito di persone e toccarle in modo profondo. È per questo che voglio continuare a parlare di ingiustizi­a sociale e di razzismo: prima di arrivare qui, nessuno mi aveva mai chiamato “nero”. Nessuno ti dà del nero in Nigeria. La mia ispirazion­e si è dovuta adattare alla mia nuova condizione: sono un attivista, sono un africano che vive negli Usa e anche solo per questo ho delle responsabi­lità».

 ??  ?? PITTURA IN BOTTIGLIA L’artista nigeriano, 37 anni, è autore dell’edizione limitata della Belvedere Vodka, presentata a New York.
PITTURA IN BOTTIGLIA L’artista nigeriano, 37 anni, è autore dell’edizione limitata della Belvedere Vodka, presentata a New York.
 ??  ?? AL WHITNEY MUSEUM Suhailah Wali sfila a New York, per il lancio della Belvedere Vodka, evento a supporto di (Red), associazio­ne di Bono per la lotta all’Aids in Africa.
AL WHITNEY MUSEUM Suhailah Wali sfila a New York, per il lancio della Belvedere Vodka, evento a supporto di (Red), associazio­ne di Bono per la lotta all’Aids in Africa.

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