DARE CORPO ALL’ARTE E AI DIRITTI «NERI»
Quando stava in Africa ed era avvocato, difendeva donne e bambini. Adesso che vive negli Stati Uniti ed è un maestro di body painting (che ha stregato anche Beyoncé) continua a occuparsi di temi sociali. E con le sue opere «viventi» combatte il razzismo
Scusi, ma l’intervista dobbiamo farla così, non posso fermarmi proprio adesso». Laolu Senbanjo mi invita a sedermi accanto a lui, per terra, mentre con un pennarello bianco sta disegnando la gamba della ragazza che è in piedi davanti a noi, in costume da bagno. Le mani e metà faccia della modella sono già completamente occupate tra tattoo bianchi e argento, con qualche punto dorato qua e là. Con fare delicato ma fermo, tenendo la punta del pennarello sempre a contatto della pelle, Laolu sta disegnando dei cerchi concentrici sulla coscia sinistra della ragazza. Solo quando finisce mi rendo conto che è il disegno di una faccia stilizzata. «Ogni tratto ha un significato», dice, sempre senza staccare mai gli occhi dalla sua modella. «E quello che disegno viene anche influenzato dalla persona la cui pelle sto disegnando. Quello che si instaura tra me e le mie muse è un rapporto molto stretto, quasi intimo. Uno scambio spirituale e di energia». Qualche ora dopo, con il corpo completamente disegnato, vedrò la stessa ragazza sfilare con altre all’interno del Whitney Museum di New York, in un evento organizzato da Belvedere Vodka per il lancio della bottiglia in edizione limitata personalizzata da Laolu in supporto di (Red), l’associazione creata da Bono e Bobby Shriver nel 2006 con lo scopo di mobilitare milioni di persone nella lotta all’Aids in Africa. Alla sfilata, ospite d’onore, partecipa anche la top model Helena Christensen, che chiude lo show in tuta nera e con la parte destra del volto completamente dipinta. Borse, scarpe, abiti, cappotti, tele, pareti, chitarre, frigoriferi: non c’è oggetto che Senbanjo non possa o non voglia dipingere. La sua superficie preferita e quella per cui è famoso rimane però la pelle. Il suo body painting è quello che ha stregato anche Beyoncé ed è presente nei video del suo concept album Lemonade. Un riconoscimento che ha reso l’artista africano il nome nuovo sulla bocca di tutti, adorato dal mondo fashion, rispettato da quello dell’arte. Nato in Nigeria da padre avvocato e da madre infermiera, laureatosi in Giurisprudenza nel 2005, Laolu ha un passato come avvocato per i diritti civili e ha lavorato anche per la Human Rights Commission delle Nazioni Unite, dove si è occupato di diritti delle donne e dei bambini. Nel 2013 lascia il suo Paese e si trasferisce a New York per fare l’artista a tempo pieno. «In realtà lo sono sempre stato», dice. A Brooklyn, dove vive e lavora, incomincia con allestimenti che sono pezzi di performance art, con lui che dipinge le sue modelle dal vivo. Il resto è storia e dopo le collaborazioni con Beyoncé, Alicia Keys, Belvedere Vodka, Tony Allen e Alek Wek tutte le porte sono aperte. «Gran parte del mio lavoro è fortemente influenzata dal retaggio della cultura Yoruba. È la lente attraverso cui interpreto il mondo. Come custode della cultura Yoruba, cerco di attingere alle forme distinte che compongono antichi simboli e modelli nigeriani. I triangoli che dipingo e che compongono questi disegni sono il simbolo di una triade religiosa: padre, figlio e Spirito Santo, e l’idea di stabilità tra bellezza e passione. Nelle mie mani questi simboli creano disegni complessi e ricchi di storie ed è con loro che sono in grado di creare un dipinto da qualsiasi cosa. Posso raccontare la mia storia con l’aiuto della persona che sto dipingendo». È anche per questo che il suo motto è «everything is canvas»: ogni cosa può diventare una tavola espressiva, un credo ma anche una necessità. «Quando sono arrivato a New York, ho capito subito che qui come artista o ti evolvi o muori». La lotta per sfondare nella scena delle gallerie d’arte della città lo ha portato ad abbracciare l’idea che tutto può essere una tela, dai murales agli abiti, agli oggetti. Oggi che i brand fanno a gara per averlo e che la sua fama di artista si sta allargando a dismisura, Laolu non dimentica però che l’impegno di un artista, o almeno del tipo di artista che vuole essere lui, è anche sociale. «Quando sono arrivato qui, gli Stati Uniti erano un Paese diverso. Cambiando il clima politico, è naturale che sia cambiata anche la mia arte. Ho deciso di diventare un artista a tempo pieno perché sono convinto che l’arte possa arrivare a un numero infinito di persone e toccarle in modo profondo. È per questo che voglio continuare a parlare di ingiustizia sociale e di razzismo: prima di arrivare qui, nessuno mi aveva mai chiamato “nero”. Nessuno ti dà del nero in Nigeria. La mia ispirazione si è dovuta adattare alla mia nuova condizione: sono un attivista, sono un africano che vive negli Usa e anche solo per questo ho delle responsabilità».