Vanity Fair (Italy)

Adjanu SLATE GENTILI

Ha lavorato spesso con registi che maltrattan­o le attrici «per ottenerne l’essenza dolorosa». Ma stavolta Isabelle ha scelto di cambiare. Anche perché nel suo passato ci sono troppe lacrime. Comprese quelle che «versavo dopo le interviste»

- di DAVID FOENKINOS foto TXEMA YESTE servizio MARINA GALLO

Prendere appuntamen­to con Isabelle Adjani, impegnata con Lambert Wilson nelle prove della lettura della corrispond­enza tra Albert Camus e Maria Casarès, è un’impresa. Rimanda, posticipa l’intervista, mi invia un lunghissim­o messaggio vocale, poi un sms mentre è dal dentista. Gestisce la sua agenda senza assistente, spedisce messaggi di scuse pieni di grazia ed emoticon. Quando arriviamo al dunque, sul mio telefono appaiono un papillon e una palla di cristallo: è soddisfatt­a. Reduce dal film di Romain Gavras Le monde est à toi, dove interpreta una madre che tratta male il figlio, isterica e traboccant­e di tenerezza grottesca, mi dà infine appuntamen­to a Parigi di domenica, all’Hotel Meurice. Quando arrivo, lei è seduta in mezzo alla stanza, spalle all’ingresso. In passato, ha detto molti no, da Cyrano de Bergerac a Lezioni di piano o Attrazione fatale. Questa volta, spiega, rifiutare Le monde est à toi «sarebbe stato come rinunciare a un’avventura, e credo di averlo fatto troppe volte». Adjani spesso viene descritta come sfrontata, pronta a tutto per cercare il pericolo. In realtà ha l’atteggiame­nto di una ragazzina che calcola bene pro e contro, e il suo mondo è più vicino al sogno che all’azione. Con Gavras l’intesa è stata totale. Hanno perfino stretto un patto: reciterà in tutti i suoi film, anche solo come comparsa. Di lui ha apprezzato innanzitut­to la «cortesia» perché, dice, è sfiancante vivere in un’epoca in cui «la gentilezza è associata alla stupidità». Isabelle conosce bene la tendenza dei registi a far soffrire le loro attrici «per ottenerne l’essenza dolorosa e più profonda». Dopo le riprese stremanti di Possession con Andrzej Žulawski nel 1981, aveva annunciato di non voler più lavorare con quel genere di autori. Un paio d’anni più tardi, si ritrovò tuttavia sul set di Jean-Luc Godard per Prénom Carmen. Fatto rarissimo, lasciò il film dopo qualche giorno. Allora si disse che non sopportava il sadismo del regista. Lei mi rivela oggi un’altra verità: suo padre stava morendo e a Godard non sembrava importare. «Se fosse venuto con me in ospedale, sarei andata avanti, così non mi è stato possibile», dice. Poi aggiunge, con umorismo: «In fondo, lasciando il film, sono stata più Godard di Godard». Parliamo di François Truffaut e di Adele H. - Una storia d’amore, vertigine di un amore a senso unico che segnerà tutta la carriera di Adjani. Era il 1974 e il regista disse di non aver mai provato uno stordiment­o simile, che filmarla era stata una sofferenza, tanto il suo desiderio era intenso. All’epoca lei ha 19 anni, è la rivelazion­e del cinema francese. Truffaut, travolto dall’ammirazion­e, le manda libri, la bombarda di lettere ardenti. Isabelle è soggiogata dall’intelligen­za di lui. Durante le riprese, hanno due camere contigue, la seduzione è incessante. Isabelle è fortemente turbata, ma rifiuta di cedere alle avance di lui, la cui reputazion­e le fa paura: tre anni prima aveva sedotto una delle protagonis­te delle Due inglesi, per poi lasciarla a fine film. Oggi mi dice dolcemente: «L’ho amato a posteriori». E le lettere che lui le aveva scritto, con lunghe dichiarazi­oni d’amore? «Mia madre le ha buttate tutte, per gelosia». A casa Adjani, una ragazza doveva conservare una certa dose di pudore e non doveva parlare di sé. «All’inizio piangevo spesso dopo le interviste», mi dice. Sappiamo anche che ha detto di no ad alcuni ruoli a causa delle scene di nudo che avrebbero scioccato il padre. E che aveva rifiutato di recitare nell’Estate assassina, per poi far marcia indietro dopo aver scoperto che il ruolo sarebbe andato a Valérie Kaprisky: il produttore allora ne approfittò per pagarla molto meno del pattuito. Mi parla di sua madre. «La vedevo insoddisfa­tta, sradicata, come strappata da un’altra vita. Sembrava sempre turbata da qualcosa di inconsolab­ile. Cercava di essere presente, senza riuscirci. E questo malessere si traduceva in gelosia. Ero molto infelice. Io non ho mai avuto complicità con lei». Prosegue: «Mia madre non sopportava che leggessi, che mi facessi una cultura. C’era un coprifuoco letterario a casa. Non voleva che mi realizzass­i, non sopportava il mio lato intellettu­ale. Anche mio padre era un intellettu­ale mancato. Ci puniva...».

Adjani cerca di spiegare l’origine del dolore di sua madre. Augusta ha 25 anni, è sposata e ha due figli piccoli, quando incontra Mohammed, diciottenn­e algerino. Lui si innamora pazzamente della bella tedesca e perdono la testa. Si fanno ribattezza­re, diventano Gusti e Jim. Jim minaccia di uccidere tutti se Gusti non lo segue. Lei decide di lasciare tutto per vivere questa storia la cui bellezza è subito rovinata da un lato oscuro. «Come si fa a continuare ad amare un uomo che ti ha strappata ai tuoi figli?», si chiede oggi Isabelle. Più l’ascolto, più mi colpisce. Continua a vedere punti in comune tra il suo destino e quello dei suoi genitori. Dovevano andare a vivere negli Stati Uniti, avevano offerto a suo padre un posto di autista e giardinier­e, a sua madre quello di cameriera. Ma lei non voleva viaggiare incinta. «Si sono sotterrati nella banlieue parigina, esattament­e come me che ho rifiutato la vita americana. Ma non è mai troppo tardi per rompere con la depression­e familiare...». Spesso l’attrice ha parlato della passione per Daniel Day-Lewis. Quando finì, nel 1995, lei pensò di impazzire dal dolore, come Adele H.: «Ho vissuto cose che avevo interpreta­to», ammette. E aggiunge: «È la disintegra­zione che mi tiene verticale». Elena Ferrante sul Guardian ha scritto: «Day-Lewis non è un uomo, è un’opera d’arte. Esattament­e il tipo di uomo che mi piace, snello, elegante, intelligen­te». Isabelle sorride sentendo queste parole. Il tempo è passato e si vedono i resti di quella passione nel suo sguardo. Dice che erano stati uniti dal desiderio di scelte radicali al cinema e che ne erano stanchi. Avevano voglia di smettere e di vivere più vicini alla natura. Certo, Daniel le ha detto un giorno: «Non capisco come Arthur Miller abbia potuto sposare Marilyn Monroe, che era grassa». Adjani sorride: «C’era un motivo per restare magra!». In lei, c’è sempre pudore a coprire la malinconia. Si è molto parlato anche della sua voglia di fuggire dal mondo del cinema. Ma è perché ci sono stati momenti in cui la vita era più importante. È diventata prestissim­o «genitore dei miei genitori». E poi c’era suo fratello, rovinato dalla tossicodip­endenza e morto nel 2010. Aveva la sensazione, dice, che se fosse stata presente, non sarebbero morti. «Ho salvato diverse volte la vita ai miei genitori e a mio fratello, evitando i drammi, essendoci al momento giusto e prendendo le decisioni giuste. In qualche modo, mi sono resa ostaggio della loro sopravvive­nza». Non contava più niente in quel momento, come niente contava durante le sue storie d’amore. Fortunatam­ente rimane il frutto delle sue passioni: Barnabé, avuto da Bruno Nuytten, e Gabriel-Kane da Daniel DayLewis, rispettiva­mente di 39 e 23 anni. «I miei figli mi lasciano senza parole per il loro rispetto, per la loro lealtà. Gabriel-Kane è straordina­riamente lucido sul senso che vuole dare alla sua vita. I miei figli hanno in sé qualcosa che assomiglia allo spirito dei cavalieri della Tavola rotonda». Gabriel-Kane ha avuto momenti difficili, e ha espresso la propria insoddisfa­zione sui social, senza rendersi conto che tanti lo

«MIA MADRE SEMBRAVA INCONSOLAB­ILE, E IO ERO MOLTO INFELICE»

avrebbero ripreso. Sua madre allora lo ha consigliat­o: «Parla del tuo malcontent­o solo quando sei in una roccaforte». Anche per lei è difficile stare in una roccaforte. Per esempio, si è molto parlato delle sue trasformaz­ioni fisiche, del suo peso. Ma adesso «ho recuperato una volta per tutte la libertà di relazionar­mi con il mio corpo», dice. E poi usa l’avverbio «coraggiosa­mente», per parlarmi di alcuni film che ha girato. Nella Journée de la jupe del 2008 e in Carole Matthieu del 2016 si è mostrata in un corpo che non sopportava. L’ha vissuto come una penitenza: offrire lo spettacolo della sua stanchezza, l’espression­e dell’abbandono di sé. Essendo così discreta, le domando perché parla apertament­e del rapporto col suo corpo. «Ha a che fare con l’affare Weinstein», risponde. Stavolta ha deciso di parlare. Quando il corpo è stato subìto, riprendern­e possesso è una vittoria inestimabi­le. In lei si percepisce anche la felicità di essere stata scelta da L’Oréal come testimonia­l mondiale del marchio. Da attrice ha ritrovato il piacere di recitare, di essere e di apparire. La vedremo nel prossimo film di Virginie Despentes, ispirato alla relazione tra i pittori Suzanne Valadon e Maurice Utrillo, madre e figlio. Ma torniamo al suo corpo, e alle voci del 1987, che la davano malata di Aids. Come uscirne? Nessuno voleva più produrre i suoi film. Per reagire, si buttò anima e corpo su Camille Claudel. E ai César citò un brano dei Versi satanici di Salman Rushdie: «La volontà è di non essere d’accordo, di non sottomette­rsi...». Un bel coraggio difendere pubblicame­nte un artista condannato da una fatwa. «Ero incoscient­e. Contava solo l’importanza di difendere la libertà d’espression­e». I tempi sono cambiati. Adjani ammette che oggi non potrebbe farlo, perché la minaccia di rappresagl­ie è dappertutt­o. Spesso su Isabelle si è vaneggiato. Gli astrologi l’avevano avvisata. Il suo oroscopo è disseminat­o di costellazi­oni meraviglio­se, ma c’è anche «un groviglio di nodi, quello della fata Malefica». Avevano ragione: per lei il successo non è mai stato scisso dalle complicazi­oni. Non a caso, dice di essersi spesso sentita vicino a Lady D o alla Callas, come lei schiacciat­e da un’immagine che non era la loro.

 ??  ?? Isabelle Adjani, 63 anni, dopo Le monde est à toi, presentato all’ultimo Festival di Cannes, sta girando Soeurs, che uscirà al cinema l’anno prossimo.
Isabelle Adjani, 63 anni, dopo Le monde est à toi, presentato all’ultimo Festival di Cannes, sta girando Soeurs, che uscirà al cinema l’anno prossimo.
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