MIDTERM, UNA TIMIDA SPERANZA
Laltra sera ero a cena al Tower Bar di West Hollywood con una consulente cinquantenne che ha curato le relazioni pubbliche di Bill Clinton, Ralph Lauren e della Civil Aviation Authority, e insieme a noi c’erano un avvocato dello spettacolo – nero, gay, anche lui sulla cinquantina – che conosco da trent’anni, e due democratici americani depressi per le imminenti elezioni di metà mandato, a cui mancano pochi giorni. Solo qualche settimana prima, i democratici parevano avere ottime chance alla Camera dei rappresentanti e, forse ma forse, con un po’ di fortuna, anche al Senato, mentre al momento della nostra cena le cose apparivano diverse: sarebbe addirittura costato fatica controllare anche solo la Camera, risultato che i due amici progressisti ritenevano comunque improbabile. A mandare in frantumi il sogno, riconoscevano entrambi, non era stato il boom economico, né la disoccupazione al 3,7 per cento (record degli ultimi cinquant’anni), né la fuga delle minoranze dal Partito democratico o il fallimento di una qualche «resistenza interna», né tantomeno la sfiducia endemica di una stampa nazionale impegnata quotidianamente a tentare di distruggere Trump o il suo 50 per cento (in crescita) dei consensi. No, a sbriciolare le speranze della favoleggiata onda blu che avrebbe investito il Paese prendendosi la Camera e forse anche il Senato erano state, lo scorso settembre, le udienze di Brett Kavanaugh. Sembrava tutto a favore dei democratici, finché loro stessi non hanno creato l’occasione che li avrebbe distrutti. Sperando di far saltare la nomina di Brett Kavanaugh alla Corte suprema, nel corso delle udienze di conferma i democratici hanno imbastito un racconto nel quale lui risultava essere uno studentello maschilista alcolizzato, nonché un predatore sessuale coinvolto in tentativi di aggressione sessuale e stupro di gruppo. C’era però un problema: l’assenza di qualsiasi prova al riguardo. Si era fatta avanti una donna, dicendo che a una festa di liceali 36 anni prima, quando lei ne aveva 15 e Kavanaugh 17, quest’ultimo, ubriaco, aveva tentato di fare sesso con lei in una camera da letto al piano di sopra. Ma non ricordava di chi fosse la casa, né la data, né com’era arrivata alla festa o chi altro ci fosse. Tra i due non c’erano stati rapporti sessuali, anche se lei dice che a un certo punto Kavanaugh l’aveva spinta sul letto e le aveva strusciato addosso l’inguine, ma che era talmente ubriaco da non essere riuscito a spogliarla, e che quando lui era caduto dal letto lei era scappata. Kavanaugh ha dichiarato che non era vero niente: che erano bugie. Il Paese, nel frattempo, ascoltava nauseato, spaccandosi e polarizzandosi per diverse ragioni: che si era trattato di una festa alcolica di 36 anni prima, quando nessuno dei due era ancora maggiorenne; che i democratici – come ormai tristemente ovvio – si sarebbero abbassati a tutto pur di far saltare una carriera, compreso infangare una persona con false accuse di stupro, e che intendevano strumentalizzare politicamente il #MeToo trasformandolo in un’arma lesiva del suo stesso significato. I due democratici con cui ho cenato dicevano che le Midterm erano state perse durante quelle udienze, e in un momento di rara sincerità ammettevano di essere arrivati a provare entrambi un po’ di pena per Kavanaugh, che pure non trovavano gradevole. Come loro si è sentita un’ampia parte del Paese, disgustata dalla bassezza raggiunta dai democratici. A me, nonostante tutto, la Camera continua a sembrare un’impresa fattibile, a loro no. Ma una speranza forse c’è. La sera dopo ho cenato con un gruppo assai diverso, due giornalisti di Breitbart (sito web con idee radicali di destra, ndr) e l’editorialista conservatrice Ann Coulter. Ebbene, i tre repubblicani in questione sono assolutamente convinti che i democratici avranno la maggioranza alla Camera, e non capiscono lo sconforto dei miei amici progressisti. Ecco l’incertezza che, nel 2018, regna sul mondo capovolto della politica.