EUGENIA, PRESIDE SALVA STUDENTI
Quando hanno visto su Rai3 la puntata di Domenico Iannacone dedicata a quel che Eugenia Carfora ha fatto e continua a fare per la scuola, i suoi figli le hanno telefonato per dirle che la perdonavano per tutte le volte che non c’era stata. D’altronde, se di figli ne hai migliaia ci sta che qualche volta non gli prepari la cena o la colazione, ed Eugenia Carfora gli studenti li vede tutti come figli suoi. Anche perché Carfora fa la preside in un posto dove la priorità non sono i metodi scolastici o le lavagne elettroniche, ma che i ragazzi a scuola ci entrino fisicamente. Attorno al Morano – istituto tecnico con classi di agraria, meccanica e alberghiero – c’è Caivano, nuova Scampia di 37 mila abitanti al confine nord di Napoli, famosa per il «Parco Verde», centro di spaccio e ghetto criminale senza legge. È per questo che è così importante che i ragazzi non restino in strada. La preside lo sa tanto bene che va letteralmente in strada e nei bar, a cercarli per convincerli a entrare in classe. «Non solo a studiare ma anche a dormire, rilassarsi, pensare, a evitare che si perdano là fuori», dice. «E poi una volta che sono qui al sicuro cerco di fargli capire l’importanza delle regole, e che ogni azione ha una conseguenza: arrivi in ritardo, chiamo la famiglia; non hai consegnato il cellulare, veniamo a chiedertelo». Lei li terrebbe a scuola tutto il giorno, per evitare che si perdano là fuori. Quando Carfora è arrivata al Morano le aule, invece che dagli studenti, erano occupate dalla famiglia di uno dei custodi, che ci aveva fatto casa sua, «e c’era pure una tintoria». Era una scuola disastrata ma omologata al territorio. Ora è un porto franco. «Quando sono arrivata sei anni fa gli studenti erano 719, ma in realtà i veri iscritti erano la metà: c’erano ragazzi che venivano reiscritti da anni solo per avere un organico gonfiato. Di questi 380, almeno 90 li abbiamo persi per strada. Non vengono più, ed è il mio grande dolore». Perché a Caivano fuori dalla scuola le opportunità portano tutte più o meno nella stessa direzione. «Qui ci vorrebbero i professori migliori d’Italia, i più motivati. Invece, spesso arrivano persone che non riescono a reggere questo ambiente e non vedono l’ora di andarsene», dice Carfora. In The Game di Alessandro Baricco credevo di aver letto – come al solito in quel che scrive Alessandro Baricco – le cose più esaustive e intelligenti a proposito della scuola di oggi, ovvero che «la scuola non prepara al Game, non allena le capacità utili a vivere nel Game, non aiuta i meno adatti ad abitare il Game. A essere generosi, le istituzioni preparano a vivere in un brillante mondo novecentesco post-bellico e democratico: non certo nel Game. E allora iniziate a capire perché così tanta gente, oggi, sia in difficoltà e (...) il problema sia la fissità, le strutture permanenti, la scansione novecentesca dei tempi, degli spazi e delle persone. Magari andrà avanti così ancora per decenni: ma certo il giorno in cui a qualcuno verrà in mente di rinnovare un po’ i locali, le prime cose che andranno al macero, dritte dritte, saranno la classe, la materia, l’insegnante di una materia, l’anno scolastico, l’esame. Strutture monolitiche che vanno contro ogni inclinazione del Game». Laddove (che termine novecentesco!) il Game, per chi non lo sapesse ancora, è la nuova realtà tecnologica e digitale dove sono cresciuti e vivono i millennial e viviamo ormai tutti noi più o meno felicemente. Verissimo e sacrosanto. Baricco ha ragione. Ma quando incontri persone come la preside Eugenia Carfora e la scuola Morano capisci che se il Novecento e le sue istituzioni – in attesa di meglio – resistono ancora per qualche anno forse ci conviene.