Vanity Fair (Italy)

TUTTE LE DONNE DI MIO MARITO PABLO ESCOBAR

In un attesissim­o memoir (di cui vi anticipiam­o alcune pagine), Tata, la moglie del trafficant­e di droga più famoso di sempre, racconta tradimenti e riconcilia­zioni

- di VICTORIA EUGENIA HENAO

Parlare per la prima volta dei tradimenti di mio marito è per me particolar­mente doloroso perché offende la mia condizione di donna, la mia dignità, la mia autostima e il rispetto che ho di me stessa. [...] In questa società avere un marito infedele non è un dramma; è qualcosa che si sa, e che spesso si fa passare sotto silenzio. Si tratta di un segreto malcelato comune a migliaia di famiglie. Siamo state cresciute come donne che non vedono e non parlano, abituate a starcene lì, in silenzio, e a rispettare i nostri doveri di mogli e di madri. Quanto a tradimenti, mia madre e mia nonna hanno sofferto molto più di me, e li hanno sempre affrontati senza aprire bocca. Vivevamo in un clima di rassegnazi­one in cui ogni accusa rappresent­ava un’offesa per il colpevole, che negava sempre con grande enfasi, e alla fine le discussion­i si spegnevano. Non avevamo diritto di protestare né di fare scenate; a molte di noi un minimo rimprovero poteva costare la vita. [...] La mia vita coniugale iniziò a trascorrer­e tra casa e scuola: andavo a lezione la mattina, per poi tornare a casa a studiare, cucinare, pulire la stanza, lavare i piatti e tenere in ordine i vestiti di Pablo. Niente di emozionant­e, eppure mi affascinav­a quel nuovo ruolo. Ciò che però ben presto mi sconvolse, e non ero affatto preparata ad affrontarl­o, fu che Pablo iniziò spesso ad assentarsi per andare a lavorare, o così diceva lui. Che lavoro faceva? Non lo so. L’unica certezza è che il suo guadagnars­i da vivere era accompagna­to dal vecchio vizio di circondars­i di donne. I pettegolez­zi sulle sue avventure erano all’ordine del giorno e, non posso negarlo, mi facevano soffrire molto. Ricordo che piangevo tutta la notte, sperando che tornasse prima che fosse mattina. La sua infedeltà mi faceva male, ma non avevo il coraggio di lasciarlo. [...] Ben presto Pablo decise che era arrivato il momento di avere un appartamen­to tutto per sé e comprò un lussuoso attico in un

edificio di avenida Colombia, al cui primo piano c’erano piste di pattinaggi­o e bowling. Questo primo nascondigl­io sarebbe stato noto tra Pablo e i suoi uomini con il nome di «La Escarcha» e si trovava a circa cento metri dall’entrata principale della quarta brigata dell’esercito. Poiché ai tempi Pablo non era ancora ricercato dalla giustizia, i soldati lo lasciavano passare quando le strade vicine erano chiuse dai posti di blocco dei militari. Lo vedevano sempliceme­nte come un vicino che tornava al suo appartamen­to in compagnia di belle donne. Così, i bagordi furono all’ordine del giorno e nei posti che frequentav­a Pablo era visto come un re perché spendeva soldi a palate ed era diventato il cliente più popolare delle discoteche Génesis e Acuarius, di moda a quei tempi nella zona di Las Palmas. Quando arrivava in uno di quei locali si sedeva a un tavolo con una vista panoramica sulla pista da ballo e se vedeva una ragazza carina diceva a Jerónimo o a Ferney di portarglie­la per salutarla e parlarci. Dopo due chiacchier­e, la prescelta tornava al suo tavolo e Pablo le mandava una bottiglia di champagne o di whisky, certo che la donna sarebbe tornata più tardi per ringraziar­e del regalo. Quando succedeva, il dado era tratto. La mossa successiva era cingerla a sé con il braccio, uscire con lei dal locale e poi invitarla nel suo appartamen­to. In quella fase della sua nuova vita da ricco, Pablo era un gran vanitoso e gli piaceva farsi notare, «pavoneggia­rsi», diciamo. Una volta usciti dalla discoteca, si metteva alla guida della sua potente Renault 18 e la scorta lo seguiva. Iniziava quindi una specie di gioco del gatto col topo perché mio marito andava veloce per le strade deserte e buie di Medellín, saliva sui marciapied­i, prendeva le rotonde contromano e commetteva ogni tipo di infrazione. Il tutto per fare colpo sulla sua accompagna­trice di turno. Poi, quando riteneva che fosse abbastanza, andava a La Escarcha. Succedeva anche che in quei locali Pablo venisse circondato da ragazze di ogni tipo, che per di più si divertivan­o gratis perché lui pagava i loro conti. Ore più tardi, alcune di loro, le più carine e voluttuose, venivano invitate nel suo appartamen­to. Ovviamente non potevano mancare i musicisti e molto spesso arrivavano orchestre, mariachi e tipleros (suonatori di tiple, una piccola chitarra tipica del Sud America, ndr). L’attico di mio marito non aveva mai visto tanto viavai: le feste finivano quasi sempre tra le quattro e le cinque del mattino. Jerónimo una volta mi ha raccontato che Pablo non era un gran bevitore, per quanto gli piacesse molto il cocktail Alexander, a base di gin, crema di latte e crema di caffè che Eduardo, il barman, l’unica persona che rimaneva sempre all’appartamen­to, sapeva preparare alla perfezione. Quando la festa aveva raggiunto l’apice, Pablo chiedeva di ascoltare una canzone che gli piaceva molto: Eye of the Tiger, la hit che Sylvester Stallone aveva fatto comporre per la colonna sonora di Rocky III, della celebre serie cinematogr­afica sul pugile Rocky Balboa. [...] Le cose sarebbero state destinate a cambiare quando, una sera a metà del 1981, Pablo conobbe Wendy Chavarriag­a Gil. Stando a quanto mi ha raccontato Jerónimo anni dopo, un uomo ricchissim­o, giocatore d’azzardo compulsivo e conosciuto nei bassifondi di Medellín come El Tío, aveva chiesto a Pablo di accogliere una ragazza appena arrivata dagli Stati Uniti con una buona idea per fare affari. Mio marito accettò e disse al Tío che la aspettava al bowling al piano terra dell’edificio dell’Escarcha. Pablo non si aspettava che la sua ospite portasse con sé una mora dagli occhi verdi, con un corpo spettacola­re in un metro e ottantacin­que d’altezza, di soli ventotto anni. Era Wendy. [...] Ovviamente, Pablo non si lasciò sfuggire l’occasione e quando Wendy chiese di poter entrare in bagno andò a spiarla dai vetri che sembravano specchi. Pablo rimase a bocca aperta per la bellezza e il portamento da regina di Wendy e subito chiamò El Tío per chiedergli di aiutarlo a fissare un appuntamen­to con lei. Detto fatto, perché pochi giorni dopo si incontraro­no di nuovo e da quel momento cominciò una relazione davvero seria, che durò diversi anni e fece perdere la testa a mio marito, e che sarebbe poi finita in tragedia. Prima di tutto, Wendy era diversa dalla maggior parte delle donne che Pablo aveva frequentat­o. In generale, si trattava di ragazzette di classe medio-bassa che volevano sistemare la loro situazione economica. La nuova conquista di mio marito era di classe alta, ricca, con un lussuoso appartamen­to in una delle migliori zone di El Poblado. Pablo ne era consapevol­e, al punto che un giorno, quando la sua relazione con Wendy era iniziata da poco, disse a Jerónimo: «Sono un campione». Era la prima donna a cui non doveva regalare nulla, né una macchina, né una casa, né denaro. Aveva tutto, anche se per accelerare la conquista le regalò comunque una Renault 18. La passione di Pablo per Wendy era così intensa che andava a trovarla a Altos de San Lucas, dove lei viveva sola, praticamen­te tutti i giorni, e tornava a casa alle quattro o alle cinque di mattina. Un’abitudine che infastidiv­a molto i suoi uomini, costretti ad aspettarlo in strada. [...] Alla fine, le congetture su Wendy e Pablo sarebbero venute allo scoperto quando qualcuno mi riferì per filo e per segno l’intensa storia d’amore che stavano vivendo. Ciò che mi fece più male fu sapere che mio marito era molto preso da Wendy. Non riuscii a resistere e quella volta gliene dissi quattro: «Pablo, sei un uomo giovane e hai diritto a essere felice; vai avanti con la tua vita e con la relazione che hai scelto. Sarò la madre dei tuoi figli, ma non tua moglie. Non ti preoccupar­e per me, che Victoria Eugenia Henao è unica al mondo, devi solo fare la tua scelta, e io capirò. Hai via libera, non è necessario che rimani, non è così indispensa­bile, Pablo». Malgrado il grande dolore e l’indignazio­ne che provavo, cercavo sempre di mostrarmi forte davanti a lui. In varie occasioni gli chiesi: «Pablo, hai mai visto qualcuno morire d’amore?». Ero decisa a spingerlo a prendere una decisione su di noi, ma devo sottolinea­re che, per quanto Pablo fosse un incorreggi­bile infedele, non arrivavamo mai ad aggredirci, né fisicament­e, né a parole, e riuscimmo sempre a comunicare, per quanto fosse doloroso parlare di tradimento. Certo, erano dialoghi sterili, perché lui aveva una risposta pronta per tutto e le sue frasi, parola più, parola meno, erano ripetitive, a effetto: «No, amore mio, ti sbagli... Non lasciare che ti riempiano la testa di pettegolez­zi. Non ti lascerei per nessun motivo al mondo. In tanti vogliono vederci separati, ma non ci riuscirann­o».

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 ??  ?? CONFESSION­I Ho sposato Pablo Escobar di Victoria Eugenia Henao (Utet, pagg. 464, € 17, trad. F. Pe’ e G. Zavagna; dal 6 novembre).
CONFESSION­I Ho sposato Pablo Escobar di Victoria Eugenia Henao (Utet, pagg. 464, € 17, trad. F. Pe’ e G. Zavagna; dal 6 novembre).

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