Storia di una rivoluzionaria
Si chiama Alexandria Ocasio-Cortez, viene dal Bronx, si definisce socialista e coraggiosa («Quando non lottiamo per le persone, le persone non lottano per noi») e ha già battuto il concorrente favorito alle primarie del Partito democratico. Alla vigilia delle elezioni di Midterm, ecco chi è il volto nuovo della politica americana. Ma non chiedetele se vuole fare il presidente
Alexandria Ocasio-Cortez, dal suo metro e sessantacinque, cammina a testa alta. Durante le assemblee, prende appunti su un grande taccuino Moleskine giallo canarino. La giovane socialista democratica, che concorre per il 14° distretto di New York, è mancina e al polso ha un elastico sottile, che usa per raccogliere i capelli sulla nuca, un po’ come un uomo politico potrebbe arrotolare le maniche della camicia. Occhiali dalla montatura rotonda e spalle alte, impercettibilmente incurvate: più che una candidata in lizza per un seggio al Congresso, che ha già sconfitto un democratico in carica da 20 anni, sembra una studentessa di scienze. La incontro per la prima volta al Daily Show di Comedy Central. Quando Trevor Noah, il presentatore, passa a salutarla nel salottino degli ospiti, sembra un fan che ricopre di complimenti la sua diva preferita. «Congratulazioni per il tuo viaggio!», le dice, stringendole la mano. «Congratulazioni! Sei la persona più odiata a destra!». Un mese prima la ventinovenne, che in passato ha lavorato per la campagna elettorale di Bernie Sanders, ha rivoluzionato le elezioni di Midterm del 2018 conquistando il seggio del democratico Joe Crowley e perturbando l’ordine politico, con un programma progressista che prevede salario minimo di 15 dollari, assistenza sanitaria universale con il progetto Medicare for All, istruzione universitaria gratuita e abolizione dell’Ice, l’agenzia americana per il controllo dell’immigrazione. Durante il talk show The View, la giornalista Meghan McCain ha perso il controllo, attaccando le sue politiche definendole «pericolose». Ron DeSantis, un esponente repubblicano della Florida, l’ha descritta come «quella ragazza… chiunque essa sia». A forza di subire attacchi, sta imparando a imitare i suoi oppositori. «Non ci fai paura», dice con una voce nasale che ricorda quella del personaggio Steve Urkel di Otto sotto un tetto. «Ci fai ridere!». Dietro le quinte, Alexandria rilegge gli appunti nella sua Moleskine gialla. Quando Noah la presenta, lei saluta il pubblico come di consueto, allargando le braccia e scuotendo appena le mani. Ormai è quasi certo che a novembre diventerà la donna più giovane del Congresso. Nel frattempo, Noah ha trovato la sua formula di benvenuto. «Congratulazioni per essere al tempo stesso il sogno di metà del Paese e l’incubo dell’altra metà!». Lei sfodera un grande sorriso con le fossette e risponde: «Niente male».
Per l’intera durata delle primarie, gli opinionisti hanno sostenuto che il 2018 è l’anno in cui le donne hanno finalmente deciso di andare alla conquista del governo. Sarà l’effetto del movimento #MeToo, o quello delle manifestazioni, o ancora il fatto che «il Partito repubblicano assomiglia sempre più a una scena della serie tv The Handmaid’s Tale», mi dice lo stratega politico Steve Schmidt; sta di fatto che quest’anno le donne che hanno annunciato di voler concorrere per il Congresso sono ben 529, un numero record. Altre 61 sono invece in lizza per la carica di governatrice. Per Kirsten Gillibrand, in corsa per la rielezione al Senato, «è una vera e propria onda rosa!». Le donne ufficialmente candidate sono 273 e, in questa schiera dalla personalità decisa, l’anti Trump per eccellenza è senza dubbio Ocasio-Cortez. Lui è del Queens; lei è nata a meno di venticinque chilometri da lì, nel Bronx. Lui ha ereditato un’attività di famiglia; lei lavorava come cameriera quando ha dato il via alla sua campagna elettorale. Se Trump rappresenta il tramonto dei baby boomers, Ocasio-Cortez simboleggia senza alcun dubbio l’alba dei Millennials. In ogni caso, entrambe le generazioni sono venute alla luce con un impeto populista ribelle e contestatore, volto a rovesciare la classe dirigente politica. Negli ultimi mesi, Alexandria ha percorso il Paese in lungo e in largo per conquistare sostenitori progressisti in Kansas, Missouri e California. Il giorno dopo averla incontrata a New York, decido di seguirla nel viaggio in Michigan. Malgrado la grande attenzione ricevuta a livello nazionale, il suo staff non è che un piccolo gruppo di giovani che condivide la sua visione. Fino al giorno prima, il suo assistente Daniel Bonthius, 33 anni e una formazione teatrale, che nella firma delle sue email specifica il genere in cui si riconosce (maschio), arrotondava lavorando in un ristorante. La moglie, Alisha Giampola, è sua coetanea e lavora gratuitamente come volontaria. Il suo portavoce è Corbin Trent, 38 anni, che ha gestito alcuni «food truck» in Tennessee, allevando i propri bovini da carne, finché non ha scoperto l’ideologia di Bernie Sanders e ha deciso di attivarsi come volontario. Trent risponde alla maggior parte delle domande con un «sì, signora», non dorme, il suo unico nutrimento sembra una sigaretta elettronica e zoppica appena a causa di una caduta da una quindicina di metri mentre, a suo dire, «stava facendo una bravata». Non avrei voluto parlare dell’abbigliamento di Ocasio-Cortez – non dimentichiamo che siamo nel 2018 – ma mi è giunta voce di una questione marginale che stava diventando un caso nazionale, cioè le forti critiche per la ripetitività dei suoi abiti. A quel punto, un amico le ha procurato un abbonamento a Rent the Runway, una boutique online di abbigliamento a noleggio, e da allora ha preso l’abitudine di ordinarvi i suoi abiti. Oggi è il turno di un blazer di Helmut Lang, indossato con un abito pantalone nero essenziale, che lei descrive «come un pigiama, ma adatto alla politica».
«IO SONO UNA NORMALE MA MI TRATTANO COME UNA CARICATURA»
Bisogna ammettere che le frecciate contro di lei non sono arrivate solo dai repubblicani ma anche dai leader del suo stesso partito. Nancy Pelosi l’ha liquidata come un fenomeno locale. Alcee Hastings, rappresentante del Congresso in Florida, ha dichiarato: «Le meteore svaniscono». Joe Lieberman ha segnalato che «può rappresentare un pericolo per il Congresso, per l’America e per il Partito democratico». Ha incitato gli elettori a scegliere Crowley che, approfittando dei meccanismi delle leggi elettorali, si presenterà comunque alle elezioni di Midterm. Le chiedo per quale motivo i politici dell’establishment siano così spaventati da lei. «Penso che abbiamo paura di tutto ciò che non conosciamo e che dimostra forza», afferma. «Se un’astronave atterrasse nel cortile di casa probabilmente diresti: cosa diavolo è? Mi farà del male?». Quando le chiedo se ha un candidato ideale per le presidenziali del 2020, la Ocasio-Cortez sospira. «Non ne abbiamo uno, a dire il vero», afferma. «Ce ne sono diversi validi e in grado di competere. Ma non posso fare nomi. Tuttavia penso che possa esserci una speranza per il 2028». Nel 2028 lei avrà 39 anni, quindi… «Mai», afferma. «Voglio essere come Bernie Sanders ma non mi candiderò mai come presidente. Voglio diventare un’anziana eccentrica e presentarmi nell’aula del Congresso con i miei gatti dicendo: “Questa è la cosa giusta da fare”». Le ultime settimane sono state dure, aggiunge. «Sto vivendo un’esperienza umana totalmente fuori dal comune. Ovunque vada sono circondata dalle telecamere. Insomma, non sono ancora abituata ad affrontare i media». «È che sono confusa», continua. «Sono una persona normale e adesso la gente mi tratta come se fossi una di quelle caricature disegnate su cui proiettare le proprie narrazioni. Dal punto di vista emotivo può essere pesante. Perché alla fine che ne fai delle giovani donne dalla carnagione scura, intelligenti e con i lineamenti del viso simmetrici? Le rappresenti come una narrazione». La maggior parte delle narrazioni inizia con il fatto che Ocasio-Cortez «si descrive socialista». In realtà, non ha mai partecipato a una loro assemblea fino all’estate del 2017. «Diciamo che non sono cresciuta leggendo Noam Chomsky», mi dice, «ma pulendo bagni con mia mamma». Ocasio-Cortez è nata nel quartiere di Parkchester, nel Bronx, ed è lì che attualmente vive in un bilocale con il fidanzato, Riley Roberts, un giovane flemmatico dai capelli rossi che lavora come sviluppatore web. Sua madre, una cristiana evangelica nata a Porto Rico, faceva le pulizie nelle case. Suo padre, nato in quel quartiere e diventato architetto, è morto di cancro ai polmoni a 48 anni. All’epoca Alexandria era al secondo anno della Boston University, dove non leggeva Karl Marx bensì Martin Luther King e Howard Thurman. Una compagna di università a cui è ancora legata è Alexandria Lafci, cofondatrice di New Story, una startup di San Francisco che sta avviando progetti sperimentali di case stampate in 3D nei Paesi in via di sviluppo. Poi c’è Riley – «che aveva un look veramente da nerd», racconta lei –, conosciuto un venerdì pomeriggio alla conversazione di gruppo settimanale organizzata dal preside dell’università. In seguito, lui si è trasferito in Arizona per stare con lei. Ocasio-Cortez si è laureata in economia e relazioni internazionali e avrebbe potuto lavorare a Wall Street. Ma così non è stato: «Non sarei davvero riuscita a farlo. Sapevo che mi avrebbe distrutta dentro. Non è che servire ai tavoli mi riempia di gioia, ma sapevo che in quel momento non avrei potuto fare nient’altro». Inizia quindi a lavorare in un ristorante di Union Square, Flats Fix. Nel 2016 si impegna come volontaria per Sanders e in seguito partecipa alle manifestazioni del movimento antirazzista Black Lives Matter e dello Standing Rock, la protesta dei nativi americani contro il progetto di un oleodotto. Dopo le elezioni, incoraggiata dagli attivisti progressisti, decide di candidarsi. Tuttavia, il comitato nazionale dei Socialisti Democratici d’America non appoggia ufficialmente la sua candidatura fino al giugno 2018, quando si aggiudica le primarie. Infatti, «c’era un gruppo di esponenti del partito che riteneva che non fossi abbastanza socialista. Penso che crescere con un’ideologia politica definita sia davvero da borghesi. Dovresti avere genitori laureati, con un lessico politico. Mia madre non ha nemmeno un lessico inglese! Quando le persone dicono che non sono abbastanza socialista, mi sembra classista. Mi verrebbe da dire: qual è il problema? Forse non ho letto abbastanza libri?».
Durante il viaggio per un comizio a Ypsilanti, le chiedo se ritiene che posizioni come l’abolizione dell’Ice e l’approvazione di Medicare for All abbiano la possibilità di fare presa nel Midwest, e in particolare in Michigan, in cui Trump ha vinto nel 2016. Mi ricorda che Sanders ha vinto le primarie in Michigan e ha più che raddoppiato il suo vantaggio su Hillary Clinton in Kansas. «Non siamo venuti fin qui con un’ipotesi», sostiene. «Non vado nei posti in cui il messaggio progressista ha perso. Vado nei posti in cui il messaggio progressista ha vinto e i democratici hanno perso». Lei pensa che il Partito democratico sia rimasto troppo a lungo sulla difensiva. Nel frattempo, l’elettorato era sempre più demoralizzato. «Ma è possibile che i democratici siano solo il partito antirazzista? Che siano solo antisessisti? Dico sul serio. Mi sento in imbarazzo quando si
limita a identificarsi con i diritti Lgbt. Certo, dobbiamo lottare per queste cose. Ma fino a che punto siamo diventati davvero il partito dei diritti delle donne? Penso semplicemente che non siamo abbastanza coraggiosi. Quando non lottiamo per le persone, le persone non lottano per noi. Ed è per questo motivo che stiamo perdendo. Non credo che stiamo perdendo perché non siamo abbastanza moderati». «Non avrei l’energia per fare tutto questo se puntassi solo a migliorare la mia posizione nei sondaggi», continua. «Non potrei presentarmi davanti a 5.000 persone in Kansas dicendo: espelliamo meno immigrati!». Il comizio è in una chiesa metodista. Quando arriviamo, il posto è talmente gremito che una parte delle persone si è riversata nel parcheggio. Assomigliano molto agli elettori di Trump: prevalentemente bianchi, appartenenti alla working-class del Midwest, di età compresa fra sette e settant’anni. L’interno è in moquette rosa e non c’è l’aria condizionata. Molti si sventagliano con i volantini e hanno un aspetto sempre più assonnato. Ma quando Ocasio-Cortez prende la parola, succede qualcosa. Parla di Martin Luther King, del New Deal e di «loro» che «non si sono accorti che stavamo arrivando». In breve tempo il pubblico è con lei, interagisce, è coinvolto. Poi prova qualcosa di nuovo. «Voglio che alziate il piede sinistro e lo battiate a terra una volta», dice, seguita da un rumore sordo. Chiede loro di fare lo stesso con il piede destro. «Adesso uno, due, tre!», e per tre volte l’edificio trema. «Questo sì che è un esercito!», afferma sommersa da un applauso scrosciante.
Una settimana dopo il viaggio in Michigan, ci incontriamo a Los Angeles. Nel frattempo, si è spostata fra San Francisco e l’Orange County, presenziando a vari incontri di raccolta fondi da 800 persone ciascuno, con offerte a partire da 10 dollari a persona. Il giorno seguente, parte in direzione di New Orleans per partecipare alla convention progressista Netroots Nation, in cui sarà una delle più applaudite e, parlando dopo le senatrici Elizabeth Warren, Kamala Harris e il senatore Cory Booker, dirà al pubblico: «Se sembro stanca, è perché lo sono. Se sembra che non sia truccata, è perché non lo sono. Se questa è la quinta volta che mi vedete vestita così, vi chiedo di accettarlo». Gli attacchi dei liberali e dei conservatori contro di lei continuano, per i motivi più disparati: per non aver accettato giornalisti a un incontro con gli elettori, per aver richiesto solidarietà nei confronti dei tassisti mentre usava Uber e per aver parlato bene di John McCain dopo la sua morte. Ogni giorno, sul suo conto, ci sono pareri contrastanti: sarà la prossima Sarah Palin, l’erede di Obama oppure una dittatrice venezuelana? Il giorno del Labor Day, la festa del lavoro americana, Alexandria posta un video su Instagram dal cortile di casa, filmandosi direttamente con il telefono, come è solita fare: «La cosa più difficile è che tutti si aspettano che tu sia sempre perfetta, in ogni occasione e su qualunque cosa. Ma la gente dimentica che se vogliamo che i candidati siano dei normali americani della working-class, e non quelle specie di robot, allora dobbiamo accettare che nel nostro governo entrino imperfezione, crescita e umanità».
Ocasio-Cortez quando entrerà al Congresso avrà ancora 29 anni e alle elezioni presidenziali del 2020 ne avrà 31. Recentemente Schmidt, lo stratega che aveva lavorato per le campagne elettorali di McCain e George W. Bush, ha abbandonato il Partito repubblicano. Quando gli chiedo se ritiene che un programma politico di socialismo democratico possa conquistare gli elettori americani, mi risponde con un netto no. «Questo non è un paese socialista, e non lo sarà mai». Schmidt, come molti moderati, ritiene che una svolta a sinistra farà perdere i tanto ambiti elettori indecisi, garantendo a Trump la vittoria per il 2020. Ma Ocasio-Cortez non presta grande attenzione ai dogmi proposti dai consulenti politici ed è stata molto abile a ignorare le chiacchiere: una sera tardi, sul treno, di ritorno da un incontro a Washington con i futuri colleghi del Congresso, ascolta a tutto volume dalle grandi cuffie Best Life di Cardi B; ad agosto, ha fatto una vacanza con Riley nell’Acadia National Park, nel Maine, ed è da lì che ha postato su Twitter la foto di un tramonto. A Los Angeles, spiega perché è in disaccordo con i centristi. «La gente pensa che gli elettori indecisi siano politicamente moderati. Invece no. Non è il candidato a doversi adattare all’elettore indeciso. Il punto è che se il candidato si impone abbastanza, l’elettore sceglierà la politica di quel candidato. È così che conquisti gli elettori che sono passati da Obama a Trump». Anche se parla raramente di Trump in modo esplicito, Ocasio-Cortez sa bene quale sia il valore dei risultati nella politica attuale. «Hai letto Infinite Jest?», chiede, riferendosi al romanzo di David Foster Wallace sull’intrattenimento e il corporativismo incontrollati. «Stiamo vivendo nell’Anno del Pollo Perdue. Fissiamo i nostri smartphone fino a perdere letteralmente conoscenza. Se i nostri leader non impareranno a comunicare in modo coinvolgente, i nostri intrattenitori diventeranno politici. Questa è la situazione attuale». Da parte sua, Ocasio-Cortez non ha grande interesse a essere l’unica portavoce del movimento progressista. Mi ripete continuamente che nessuno può salvarci, che abbiamo già fatto questo errore. «Non penso che Obama ci abbia deluso, penso invece che siamo stati noi a deluderlo, da tanti punti di vista», dice. «Abbiamo pensato: “Fantastico, abbiamo eletto il primo presidente nero: adesso facci sognare!”. L’abbiamo eletto e poi siamo spariti nel 2010, nel 2012 e nel 2014… ed è colpa nostra». «La gente vede il nostro movimento come un disturbo. Ma come dovremmo reagire a Trump? Forse dicendo: “Non preoccupiamoci, è tutto a posto…”? Si sentono tutte queste cose senza senso sul fatto che ci stiamo spostando troppo a sinistra, ma qual è il piano allora? Quale, se non questo? Vi ascolto. Ditemi».
«NON È OBAMA CHE CI HA DELUSO. SIAMO NOI CHE SIAMO SPARITI»