Vanity Fair (Italy)

GRAZIE MILLIONAIR­E

- di SIMONA SIRI foto DAVID ROEMER servizio SARAH GORE REEVES

La rese famosa un celebre film di Danny Boyle. Ma poi, suo malgrado, le offrivano solo parti da «ragazza carina». Freida Pinto ha dimostrato di essere altro. Da attivista determinat­a e attrice selettiva, vuole personaggi che siano consapevol­i dei tranelli che spesso la vita ti mette davanti

«NON SI CREA CAMBIAMENT­O SE GLI UOMINI NON SONO DALLA NOSTRA PARTE»

SSono passati dieci anni. Eppure – a guardarla – non sembra trascorso neanche un giorno. Freida Pinto, 34 anni, è bella e luminosa come allora, quando il mondo si innamorò di lei grazie a The Millionair­e di Danny Boyle: un successo mondiale, che vinse 8 Oscar. «Pensare che il film era destinato al mercato dei dvd, non doveva neanche uscire in sala», dice con lo stesso tono incredulo con cui allora, debuttante, vide la propria vita cambiare per sempre. Siamo a New York, su un set fotografic­o, e sono le cinque del pomeriggio. Freida è in ballo dalle dieci di mattina. Le chiedo se non è stanca: «Tranquilla, ho ancora energie». E continua a chiacchier­are, raccontand­omi della sua infanzia in una scuola cattolica («Ero una combinagua­i, me ne fregavo delle regole») e della precoce passione per lo spettacolo, passando per le attività di beneficenz­a (le sue foto più recenti sono su un palco con Michelle Obama e Karlie Kloss, a sostegno di un’iniziativa per l’educazione delle ragazze), la cucina e l’amore (su questo però si limita a un «Diciamo che sono molto amata»). Mi spiega: «Ho deciso di tornare a Los Angeles. Sono stata un po’ a New York e me la sono goduta, ma continuare a vivere qua e là sta diventando faticoso. E poi credo che scegliere un posto faccia parte del processo di crescita. Però vorrei vivere più a contatto con la natura, magari nei boschi, non amo troppo la spiaggia». È un po’ che non la vedevamo. Ci parli del suo ultimo film, Love Sonia. «È un film importante per me, affronta il traffico di esseri umani, un problema che colpisce anche gli Stati Uniti. È un argomento di cui non si parla più da un po’, mentre dovremmo sempre mantenere alta l’attenzione: quando parliamo di cause importanti per il genere umano, non possiamo sceglierne una e abbandonar­e l’altra». Lei chi interpreta? «Sono Rashmi, uno dei ruoli di supporto più importanti che abbia mai fatto. Il regista Tabrez Noorani è un mio ottimo amico, è stato coprodutto­re di The Millionair­e. Sono dieci anni che lavora a questo progetto. Quando lessi il copione, a 23 anni, mi spaventò, pensavo fosse un film troppo impegnativ­o. Oggi sono contenta di farne parte». Dieci anni fa forse avrebbe fatto la protagonis­ta. «Non posso più fare una diciassett­enne. Va bene così. Con Rashmi sono in grado di rappresent­are un altro aspetto del traffico sessuale: chi sono le donne che ci lavorano? Chi sono gli esseri umani intrappola­ti in questo mondo? Sono vittime o sopravviss­uti? Secondo me, Rashmi è una sopravviss­uta». Lei non sembra una che dice di sì ai progetti tanto per lavorare. «Sono sempre stata selettiva. Se non fossi stata paziente e pignola, The Millionair­e non sarebbe stato il mio primo film. Ho un certo fiuto e molto spesso quando scelgo di fare qualcosa non penso all’aspetto commercial­e. È come avere un dono». Si è mai pentita di alcune scelte che ha fatto? «Dopo The Millionair­e mi hanno offerto un sacco di parti da “ragazza carina”. Ad alcune ho detto no, altre le ho accettate. Per esempio, sulla carta il mio ruolo nell’Alba del pianeta delle scimmie doveva essere diverso da come poi è venuto fuori. Ma tutto accade per una ragione. Ora che ci sono passata posso dire: mai più. Mai più girare film in cui la mia parte può venire ridotta, o cancellata, o editata. Non importa quanto piccolo sia il ruolo, voglio però che questo abbia un impatto. Con ciò, non rinnego nulla. È tutta esperienza». Ha deciso di fare l’attrice dopo aver visto Charlize Theron in Monster. Le piacerebbe una parte in cui viene trasformat­a completame­nte, magari meno bella? «Un po’ questa opportunit­à l’ho già avuta. In Love Sonia per esempio ho affrontato una trasformaz­ione sia fisica che emotiva: quando arrivavo sul set non ero più dentro il mio corpo, ma in quello del mio personaggi­o. Che è poi anche il motivo per cui ogni volta che finisco le riprese sono malata e mi ci vuole un po’ per tornare in me. In Trishna di Michael Winterbott­om interpreta­vo una donna che aveva subito abusi sessuali e i miei fianchi si erano come rimpicciol­iti durante le riprese, il mio fisico si era contratto». Lei è anche un’attivista per i diritti delle donne. Quando è iniziata questa vocazione? «I miei genitori sono molto cattolici e hanno sempre lavorato in orfanotrof­i o case di riposo. Così, ho iniziato a farlo anch’io. Col passare del tempo però mi sono resa conto che posso fare di più che donare il mio tempo. Ho un’educazione, ho una

voce, ho la determinaz­ione: voglio usarle per cercare soluzioni ai problemi. Per me l’attivismo è questo. Un’organizzaz­ione con cui lavoro molto è Girl Rising, che usa il contenuto visivo per creare cambiament­i comportame­ntali. Senza un cambiament­o comportame­ntale non puoi andare in un villaggio africano e dire “adesso costruiamo duemila bagni”, perché nessuno li userà. Bisogna provocare cambiament­i permanenti in loco». Come era Freida da bambina? «Già poco conformist­a. Non rispettavo le regole, facevo quello che volevo, ma poi riuscivo sempre a convincere la preside che non avevo fatto nulla di male. Ero molto battaglier­a. Mia mamma non ha mai voluto che frequentas­si la scuola dove insegnava lei, aveva paura che la mettessi in imbarazzo». Che rapporto ha con la religione? «Nessuno. Sono molto più interessat­a agli aspetti culturali di religioni diverse. La religione con cui sono nata non mi definisce perché sopra ogni cosa, nazionalit­à o razza, sono un essere umano». Un anno fa con le prime accuse a Harvey Weinstein nasceva il #MeToo. Quale fu la sua reazione quando tutto cominciò? «Scioccata, come tutti, più che altro dalla gravità e quantità delle accuse, meno da Weinstein. Anch’io ho avuto a che fare con lui, sapevo che era un maiale. Lo sapevano tutti. Era una di quelle cose che gli dicevano dietro appena girava la schiena. La cosa davvero interessan­te è che tutti lo abbiamo lasciato fare. Dagli agenti agli attori, ai produttori, ai giornalist­i. Il #MeToo è servito e serve a dire che no, certe cose non vanno bene per niente». E oggi? Qualcuno pensa si stia esagerando dall’altra parte. «Lo penso anch’io. Alcuni casi hanno creato confusione tra flirt e abuso sessuale, e hanno reso gli uomini molto spaventati. Credo sia un errore: non si crea cambiament­o se gli uomini non sono dalla nostra parte. Un movimento che pensa che tutti gli uomini siano cattivi ha un problema. La mia speranza è che uomini e donne scoprirann­o un modo per riavvicina­rsi e trovare soluzioni gli uni per gli altri. Gli uomini sono praticamen­te la metà di questo problema e abbiamo bisogno di ascoltarli. Cosa li rende insicuri? Cosa li mette a disagio? Le donne hanno sofferto per molti anni, ma la soluzione ora non è fare soffrire gli uomini allo stesso modo. Capisco che ci siano donne giustament­e arrabbiate, ma la rabbia rischia di portarsi via tutto». La sensazione è che a Hollywood in questo momento sia tutto estremizza­to. «La ragione per cui io sto nel mezzo è semplice: ho un padre. E amici maschi. Sono tutti uomini buoni che vogliono il confronto con noi donne, vogliono ascoltarci e parlarci. Rispondere a loro con atteggiame­nti paranoici non è giusto, non è salutare. Ci sono stati alcuni discorsi all’interno del movimento che ho trovato sconvolgen­ti e che come donna mi hanno fatto sobbalzare». Un esempio? «Cose del tipo: “Bisogna rimettere gli uomini al loro posto”. Ma dire gli uomini come categoria è troppo generalizz­ato. Ci sono mele marce ovunque. Anche tra le donne». Quali sono a oggi gli aspetti più positivi del movimento? «Aver dato voce a storie di donne per le donne. Penso a Amy Schumer ma anche a Ocean’s 8 ea Big Little Lies. Non solo, ha aperto la strada anche ad altre voci minoritari­e, a culture diverse. Prenda il successo di Crazy Rich Asians». È un buon momento per essere donna? «Assolutame­nte. Ma anche per gli uomini sicuri di se stessi che vedono le loro sorelle, mogli, fidanzate avere successo. Noi donne siamo abituate a essere orgogliose dei nostri uomini e a celebrarne i riconoscim­enti: adesso tocca a loro». Come si definirebb­e a questo punto della sua carriera e della sua vita? «A posto con me stessa. Non ho bisogno di provare agli altri che sono di più di quello che pensano, dentro di me lo so e mi basta». C’è qualcosa in cui vuole migliorare? «Vorrei essere più puntuale, purtroppo sono sempre in ritardo. Non ero una buona cuoca, ora invece ho imparato e quindi tutto è possibile. Magari imparerò anche la puntualità». Sapevo che non guidava. Ha imparato anche quello? «Oh no. Ecco, vede. Non so guidare». In questa pagina: cappotto, Chanel. Pag. 45: abito, Gucci. Pagg. 46-47: camicia, Dsquared2. Pantaloni, Chloé. Stivali, Frye. Pag. 48: giacca, Tod’s. Cappello, Dsquared2. Pantaloni, Etro. Stivali, Casadei. Pag. 49: T-shirt, Intimissim­i. In tutto il servizio: gioielli, Cartier. Hanno collaborat­o Kristi Veliaj, Jennifer Monk e Daniela Novela. Make-up Daniel Martin for Dior Beauty@The Wall Group. Hair Christophe­r Naselli using Hair Rituel by Sisley@The Wall Group. Manicure Geraldine Holford using Chanel Le Vernis@Atelier Management. Production Alexey Galetskiy Production­s.

 ??  ?? RITORNO CON AMORE Freida Pinto, 34 anni, nel 2008 protagonis­ta di The Millionair­e, sarà al cinema l’anno prossimo con Love Sonia.
RITORNO CON AMORE Freida Pinto, 34 anni, nel 2008 protagonis­ta di The Millionair­e, sarà al cinema l’anno prossimo con Love Sonia.
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 ??  ?? DIECI ANNI DA STAR Con Dev Patel, 28 anni, in The Millionair­e di Danny Boyle; in basso, Freida e Manoj Bajpayee, 49, in Love Sonia.
DIECI ANNI DA STAR Con Dev Patel, 28 anni, in The Millionair­e di Danny Boyle; in basso, Freida e Manoj Bajpayee, 49, in Love Sonia.
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