Ricche famiglie piangono
È l’80° compleanno di Logan Roy (Brian Cox), patriarca e magnate della comunicazione, e tutta la famiglia lo festeggia nel lussuoso appartamento di New York. C’è Kendall (Jeremy Strong), il figlio ambizioso che già lavora in azienda, debole e tormentato, figura drammatica, inseguito dai fantasmi paterni. Ci sono Roman (Kieran Culkin), il minore, donnaiolo e menefreghista, e Siobhan detta Shiv (Sarah Snook), la figlia che cerca di farsi strada in politica lavorando per un candidato democratico e che sembra la più sveglia di tutti, nonostante un fidanzato tonto. C’è anche Connor (Alan Ruck), figlio di prime nozze che vive in New Mexico, poco interessato all’azienda, ma che ricompare appena sente odore di eredità. Sì, perché proprio durante la festa, il patriarca ha un ictus, va in coma e quindi scatta la gara: chi prenderà il suo posto a capo dell’impero? Succession (30 ottobre, Sky Atlantic) parte così e se il primo episodio è un po’ faticoso, non bisogna lasciarsi intimidire: poi diventa tragedia shakespeariana pura, dove ogni personaggio è così terribile che è impossibile non restarne affascinati. Il merito è del creatore Jesse Armstrong (In the Loop, Veep, Black Mirror), che tiene il racconto in bilico tra temi universali – famiglia, scontro generazionale, odio paterno – e spunti di attualità: i Roy sono in realtà la famiglia di Rupert Murdoch? «Anni fa scrissi un copione sui Murdoch, quindi so molto su di loro, ma Succession si stacca dal raccontare persone reali, è fantasia, c’è più libertà narrativa. Rimane il fatto che mi interessano i drammi familiari, il mondo dei media e come questo stia influenzando la politica, soprattutto in Usa, cosa che abbiamo visto con l’elezione di Trump. L’altro aspetto che mi interessa è la forza del nome e quanto influenzi il destino di chi lo porta, sia che lo si abbracci, sia che si cerchi di fuggire da esso. Potere e relazioni umane, dramma e anche comicità: Succession è tutto questo insieme».