L’archivista
La critica d’arte ILARIA BONACOSSA usa dei grandi tavoli per raccogliere giornali, abiti, ricordi di ogni tipo. Dando vita a un caos organizzato dove, al bisogno, trova tutto
Il tempo delle emozioni, e dei suoi suoni. Un tempo con cui la critica d’arte Ilaria Bonacossa ha appena interpretato la grande fiera d’arte contemporanea Artissima, a Torino. Un viaggio in un tempo dilatato e visionario, come lo è il suo privato altalenare di ordine e disordine, in una vita interiore divisa in due, ben salda sul suo punto fermo: i tavoli e le loro superfici. A loro, Bonacossa affida il segreto di un’efficienza circondata da un voluto caos: «Una vera pulsione bipolare». Che l’ha portata ai 7 anni di curatela della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a Torino, poi la direzione del Museo Villa Croce a Genova, la presenza nel comitato scientifico del Pac a Milano e ora la seconda e consecutiva direzione di Artissima a Torino. A unire 195 gallerie e 35 Paesi che hanno disteso sulla città la natura sperimentale di questa edizione di Artissima, appena conclusa, il titolo Time Is on Our Side: un tempo per noi, se con l’arte vogliamo emozionarci, assaporare e ascoltare. Tra talenti emergenti e pionieri del contemporaneo, pulsando insieme con il cambiamento del mondo, che l’arte contemporanea sa anticipare: «Il minimalismo deriva dall’arte americana di fine anni ’70, ci sono tracce di populismo in Jeff Koons o in videoartisti come Paul McCarthy», spiega Bonacossa. C’era un sonoro, capace di muovere nuove emozioni, nelle opere che l’hanno più colpita negli ultimi anni, uno per tutti il dialogo di canti gaelici, ombre e voci, inscenato da Susan Philipsz sotto il ponte di una ferrovia. C’era quindi l’inedito linguaggio sonoro ad Artissima, nelle 15 installazioni della sezione Sound. Il tempo del cibo nel nuovo premio The Edit Dinner Prize, rivolto agli anni ’80 di Back to the Future con un omaggio a Carol Rama, il tempo di passeggiate a tema con gli esperti e quello delle Luci d’artista, che fino a gennaio illuminano la notte di Torino. Soprattutto, il tempo dilatato della piattaforma digitale con cui visitare Artissima sui social (#ArtissimaRewind). Un presente che rivede il passato e immagina il futuro: «Trovo sempre più interessante l’arte africana, accanto alla tecnologia e alla realtà aumentata di alcuni artisti». La sua visione, si diceva, emerge dal movimento di ordine e disordine. Cominciamo dal caos: «Accumulo oggetti e carte, la giacca che magari rimetto domani, i giornali per settimane, i quaderni di scuola delle figlie e i miei diari del liceo». Anche il golf del primo fidanzato e abiti-ricordo: «Non riesco a buttare la memoria». La sua è tanta, se riesce a viaggiare tra queste montagne: «Trovo tutto. Il segreto è dare un titolo giusto ai file, archiviare bene». Ma solo sul tavolo: «Con le mensole perdi di vista le cose». In cui manca posto: «Dovrei averne molti. Ma se cambio camera, cambio disordine». Per le urgenze, quello di cucina: «Nel sottofondo ci sono i biscotti, mi sento protetta». Il tavolo numero 1, che ha dato origine al sistema Bonacossa, è quello di 3 metri per 5, con sei gambe che sorreggevano tutte le carte, della nonna: «Ci teneva sei anni per volta». Un piano di marmo e di accumulo, che la ipnotizzava: «Stavo lì sotto a fare la casetta». L’idea era nascondersi: «Sognavo letti con cassetti in cui infilarmi o scatole con gli oblò». Da lì sotto è passata sopra, al tavolo di regia: «Scrivo e penso come un dj, muovendomi tra i documenti intorno». Sotto oggi ci sarebbe un vuoto, una solitudine: «Due giorni da sola in campagna per me sono una follia». Al contrario, Bonacossa condivide anche le voci, nei ristoranti o in metropolitana: «Ascolto sempre e vorrei dire la mia». Una bulimia da accumulo, da mettere ogni tanto in ordine. A notte fonda, quando sistema il suo mondo: «Per disperazione, ma poi sto bene». Perché non farlo sempre? «C’è violenza nell’eliminare». Da bambina si nascondeva dal caos del mondo: «Comunque guardando fuori». Oggi lo osserva, circondata dal suo caos, uno spazio/tempo ben sospeso, dalla quotidianità.
«Accumulo oggetti, carte, quaderni... non riesco a buttare la memoria»