Vanity Fair (Italy)

FLAMENCO POP

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LLa gentrifica­zione è quando la gente inizia a voler uscire la sera in quel quartiere popolare che prima tutti considerav­ano ostile o non interessan­te. Si incontrano facce mai viste prima, aprono nuovi locali, arrivano le grandi catene internazio­nali, quello che si perde in tradizione e autenticit­à si guadagna in illuminazi­one stradale e incassi, c’è a chi piace e a chi no. È un concetto che appartiene all’urbanistic­a ma Rosalía, venticinqu­e anni, catalana, sta facendo qualcosa di molto simile con la più antica e tradiziona­le delle arti spagnole: il flamenco. Rosalía (nome completo: Rosalía Vila Tobella) gli ha restituito la contempora­neità che meritava, aggiungend­oci elettronic­a, R&B, hip hop e trasforman­do questa musica secolare in un prodotto meraviglio­samente radiofonic­o. La sera di Halloween ha lanciato il suo nuovo album (uscito poi il 2 novembre) con un grande spettacolo nella Plaza de Colón a Madrid organizzat­o da Red Bull Music. Anticipato da singoli già virali come Malamente e Pienso En Tu Mirá, il titolo di questo disco è El Mal Querer, che in inglese si potrebbe tradurre Bad Romance, come la canzone di Lady Gaga. E Rosalía, nel mirino dei suoi prossimi dieci anni (o anche meno), sembra avere proprio l’intenzione di raggiunger­e lo status di queste grandi pop star, un gruppo ristretto al quale lei ha tutto per accedere: un talento non costruito, un’estetica riconoscib­ile (guardate i suoi video su YouTube per capire) e un solido messaggio di femminismo e auto-consapevol­ezza. Come in un film, la prova definitiva che la ragazza di Sant Esteve Sesrovires è pronta a prendersi il mondo è l’immagine di lei che alza lo sguardo e vede il suo nome su un cartellone pubblicita­rio gigante come quello che si trova ora nell’incrocio di Times Square, a New York. Che effetto le ha fatto, vedersi lì, sui cartelloni più famosi del mondo? «Sento che qualcosa sta succedendo. E non soltanto a me. La Spagna all’improvviso è di nuovo sulla mappa del mondo. La mia generazion­e ha trovato il modo di far rivivere le nostre radici e le nostre tradizioni, portandole alle persone fuori da questo Paese. Anche se non ci fosse stato il mio nome su quel cartellone a Times Square, ma ci fosse stato qualcuno della mia generazion­e, io sarei stata felice lo stesso. C’è la moda, c’è l’arte, c’è la musica». C’è La casa de papel... «C’è La casa de papel, con tutti i suoi attori. La creatività in Spagna sta esplodendo, e stiamo andando oltre quello che hanno fatto i nostri padri». Mi dice cos’è il flamenco per lei? «Il flamenco tiene verdad, è verità. C’è tutto dentro, è la musica della gente, delle strade, è popolare, ha radici, è la celebrazio­ne della spirituali­tà, dell’amore, del cattivo amore. È una musica bella e ricca, esattament­e come l’opera in Italia». E impararlo? Com’è stato? «Difficile. Molto difficile. Le melodie sono complesse, l’uso della voce è molto specifico. E soprattutt­o è dura se, come me, non si viene da una famiglia di flamenco. I miei genitori non hanno nessuna storia in questo mondo, non sono musicisti, non hanno alcun rapporto con l’industria discografi­ca. Questo significa che sono dovuta partire dal punto più basso, ma questi dieci anni di studio del flamenco sono stati dieci anni di amore. Ora che ho le basi, che conosco i classici, posso creare». Me li racconta, questi dieci anni? «Sono andata da un maestro, lo chiamano El Chiqui de la Línea. Lui è stato molto paziente con me, non sapevo nulla e mi ha insegnato tutto dall’inizio. Mi ha detto: “Fai passi piccoli ma forti. Se non ti forzi a imparare in fretta, tutto quello che apprendera­i sarà solido”. È stato un’enorme ispirazion­e per me, come un sensei, un maestro. Mi ha insegnato più del flamenco: la pazienza, l’umiltà, il fatto che la musica non è facile, non è fatta per essere facile. Devi cercare, cercare, cercare e alla fine troverai qualcosa». Esattament­e il contrario dei talent show. «Per fare la musica che immaginavo io e non quella che mi avrebbero detto di fare gli altri, avevo bisogno di essere libera e per

IL FLAMENCO È VERITÀ. C’È DENTRO TUTTO, È LA CELEBRAZIO­NE DELL’AMORE, DEL CATTIVO AMORE»

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