IL (NUOVO) MERCAT0 AI CITTADINI
a dei dividend ————————————————————— per gli utenti che contribuiscono a creare la ricchezza delle aziende digitali?
L a crisi finanziaria del 2008, si diceva, sarebbe stata un’occasione per imparare dai mali che la provocarono: un settore finanziario che si autofinanziava, e un’economia reale troppo finanziarizzata che si concentrava sul breve periodo anziché su una crescita sostenibile a lungo termine. Ma ben poco è cambiato. Nel mio libro Il valore di tutto sostengo che l’unico modo per correggere questo sistema economico disfunzionale sia rinvigorire il dibattito sul valore, formulando le difficili domande che ci permetterebbero di distinguere la creazione di valore dall’estrazione di valore, e i profitti dalle rendite. Il settore finanziario, a dire il vero, prima degli anni Settanta non veniva neppure conteggiato come parte del Pil: era considerato un semplice trasferimento di ricchezza esistente. Lloyd Blankfein, Ceo uscente di Goldman Sachs (che si prepara a ricevere una buonuscita di 85 milioni di dollari), dichiarava nel 2009 che i suoi dipendenti erano «tra i più produttivi del mondo», quando appena un anno prima la Goldman era stata tra le principali cause della crisi finanziaria. A che genere di «valore» si riferiva? Le sue parole dimostrano come il termine «valore» possa essere usato per camuffare attività di estrazione di valore. L’estrazione di valore non crea nulla di nuovo: si limita a spostare ricchezza. Non fa crescere l’economia, non produce innovazione, e contribuisce all’incremento delle disuguaglianze. Non a caso Adam Smith sosteneva che il libero mercato fosse un mercato libero dalle rendite (e non dallo Stato, come pensa la maggior parte di quelli che lo citano). Ma se non sappiamo cosa sia il valore, nell’economia aumenta la corsa alla rendita. In economia sono esistite varie teorie del valore basate sulla produzione, che si trattasse di lavoro agricolo (per la scuola fisiocratica) o di lavoro in fabbrica (i «classici» Smith, Ricardo e Marx). Che le teorie in questione fossero giuste o sbagliate, lo spostamento straordinario è stato quello da un sistema in cui il prezzo era determinato dal valore a un altro in cui il valore è determinato dal prezzo. Se a definire il valore è il prezzo – stabilito dalle presunte forze della domanda e dell’offerta – è sufficiente che un’attività frutti un prezzo perché la si consideri creatrice di valore. Se guadagni un sacco, vuol dire che crei valore. Allo stesso modo, i prezzi astronomici dei medicinali, spesso in larga parte finanziati dalle istituzioni pubbliche, vengono giustificati grazie a un approccio perverso alla determinazione del prezzo di vendita che consente ai prezzi di crescere «finché il mercato può sopportare» (si chiama value-based pricing, determinazione del prezzo sulla base del valore percepito): ottimo per gli azionisti, pessimo per i pazienti e debilitante per la sanità, a cui tocca finanziare queste pratiche predatorie. Rimettere al centro delle politiche economiche il valore non significa accusare la finanza di essere predatoria, bensì chiedersi come trasformare il settore finanziario affinché finanzi realmente settori dell’economia reale, anziché altri settori di quello finanziario. Significa trasformare il sistema fiscale affinché premi le iniziative sul lungo periodo anziché a breve termine, e anche creare nuove istituzioni, come le banche pubbliche, capaci di portare avanti la paziente opera d’investimento richiesta dall’innovazione. E la regolamentazione non va vista come un’ingerenza nelle attività dei presunti creatori di ricchezza, bensì come un modo per plasmare attivamente dei mercati più al servizio dei cittadini. Il valore si crea collettivamente, e altrettanto collettivamente andrebbe condiviso ciò che frutta. Facebook esiste grazie ai contribuenti che finanziano internet, e guadagna soldi grazie ai dati dei cittadini. Invece di pensare esclusivamente a tassare le aziende digitali, la politica dovrebbe chiedersi come ricavare dalle tecnologie finanziate pubblicamente e dai dati delle persone maggiori benefici per la società. E anziché il reddito di cittadinanza – l’elemosina che tanto piace ai creatori di ricchezza della Silicon Valley – perché non pensiamo a dei dividendi per gli utenti che quella ricchezza contribuiscono a crearla?