Vanity Fair (Italy)

Storie potenti di sognatori

A faccia a faccia con un grizzly, perdersi a 300 metri sottoterra, morire per l’onda perfetta: tornano le avventure narrate da JON KRAKAUER, l’autore di Nelle terre estreme. Che si definisce «un idiota felice»

- di MICHELE NERI

Nulla è come esserci di persona». E se c’è un uomo che ha fatto di questo suo pensiero un’ossessione, e l’ispirazion­e per libri apripista di un nuovo genere di giornalism­o investigat­ivo, è Jon Krakauer, lo scrittore statuniten­se di Aria sottile e Nelle terre estreme (Sean Penn ne ha tratto il film Into the Wild). Oggi, sessantaqu­attrenne, dopo mezzo secolo su pareti verticali, si dichiara «un alpinista con i capelli grigi, un idiota felice», e una raccolta delle sue inchieste più celebri (e pubblicate su New Yorker e Outside) Estremi – Dall’Everest al Pacifico: avventure di uomini straordina­ri (Corbaccio, pagg. 200, € 18; trad. di Francesco Zago) ci propone l’incanto rigoroso del Krakauer più genuino. Sperduto in un labirinto di grotte, 300 metri sotto il New Mexico, indagando cosa spinge un surfer a morire per un’onda in più, fino all’incontro con un orso grizzly, è una vertiginos­a immersione nella natura inospitale. Il libro è una galleria di sognatori. Perché è attratto da loro? «Per il loro fanatismo. Sono persone sedotte dalla promessa o dall’illusione dell’assoluto, e dalla convinzion­e che raggiunger­e un obiettivo porti felicità, pace, ordine. Il fanatico non vede ambiguità morali, e mi affascina (e spaventa) chi neghi le contingenz­e dell’esistenza». Nel reportage I cancelli dell’Artico descrive il suo primo contatto con la wilderness. Che cosa accadde? «Era il 1974, la mia prima volta in Alaska, un mese da solo in un ambiente senza tracce umane. Ho incontrato orsi e lupi alle loro condizioni, non le mie. Davanti alla bellezza più sconvolgen­te, ho capito che cosa volesse dire essere alla mercé della natura. Mi sentii minuscolo, insignific­ante: un’esperienza che portò umiltà e ispirazion­e». Il suo modo di lavorare è cambiato negli anni? «No: resto uno storytelle­r e ho bisogno di una storia potente. Se mi convinco del potenziale, scatta una ricerca febbrile di materiale d’appoggio e di possibili protagonis­ti. Amo più la ricerca della scrittura e, quando sono pronto, lavoro in un cubicolo sotterrane­o tre metri per tre. Butto giù come viene, riscrivo le stesse frasi alla nausea. E la prima è un’agonia». Nel 2016 ha scritto il reportage Senza consenso, in cui ha rivelato che alcuni stupri in un college del Montana non sono stati adeguatame­nte perseguiti. Oggi cosa la scandalizz­a? «Ancora il numero inaccettab­ile di violenze sessuali nel mio Paese, e come sia difficile, per la vittima, ottenere giustizia». Nel saggio conclusivo della raccolta, scrive che quando i tempi sono bui, lei trova conforto in un libro. Cita Il mito di Sisifo di Camus... «Il libro giusto può dare la forza per affrontare la sofferenza senza paura, anche la morte. E Il mito di Sisifo mi ha aiutato a essere grato di vivere anche nei frangenti più terribili. Spero che lo farà anche quando verrà la mia ora».

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