Vanity Fair (Italy)

IN VOLO con DE NIRO

Fino a qualche mese fa nessuno lo conosceva, poi Marcello Fonte ha vinto al Festival di Cannes e adesso punta all’Oscar. Ma la sua è una lunga storia, che parte dalla Calabria. Come il libro che ha appena scritto

- di ENRICA BROCARDO foto LORENZO MOSCIA

Si parte con mamma Rosa, i piedi nella terra arrivata sui camion per trasformar­e la discarica in un «giardino». In quell’orto e nelle baracche di lamiera costruite da suo padre Peppino, Marcello Fonte ci è cresciuto, in Calabria. Ed è da lì che comincia Notti stellate, il suo libro autobiogra­fico che esce per Einaudi il 20 novembre. Fonte lo ha scritto in collaboraz­ione con Giuliano Miniati e Paolo Tripodi, gli stessi con i quali aveva lavorato al suo film Asino vola, presentato al Festival del cinema di Locarno nel 2015. La storia, del resto, era la stessa: quella di un bambino che voleva suonare nella banda del paese. La sua storia. In queste settimane è impegnato sul set del nuovo film di Mimmo Calopresti, Via dall’Aspromonte, ambientato in Calabria negli anni Cinquanta, nel quale interpreta il personaggi­o di Ciccitalia, detto il poeta. «L’unico che ha un po’ viaggiato e che porta le sue bizzarrie ai ragazzini del paese. Alla prova costume non si trovavano le scarpe giuste, ho detto: ma una volta mica ce le avevano le scarpe! E così siamo tutti scalzi. Ma potevo farmi i fatti miei?». A Roma, poche settimane fa, ha girato un altro film, Un anno in Italia di Francesca Archibugi, con Micaela Ramazzotti e Adriano Giannini. «La mia prima scena di nudo. Chissà come sarà vedersi nudo sul grande schermo». Nel maggio scorso, a Cannes, Fonte è stato premiato come miglior attore per Dogman di Matteo Garrone. Il film è stato scelto come candidato italiano nella corsa agli Oscar e, da allora, è spesso in viaggio per presentarl­o: Toronto, Hong Kong, Il Cairo, Londra, New York, Los Angeles. Ma se pensate che la sua vita sia cambiata, sbagliate. Ha sempliceme­nte espanso il raggio d’azione della sua missione che, come scrive lui stesso nell’ultimo capitolo del libro, consiste nel «portare ovunque un po’ di scompiglio, allegria, imprevisto». Parliamo su Skype. Nonostante una giornata complicata – in mattinata è anche caduto dalla groppa di un asino – non ha perso la chiacchier­a.

Il curriculum «Quando mi sono trasferito a Roma, verso i vent’anni, mio fratello Antonio, l’architetto, mi spiegò che per trovare lavoro dovevo mandare il curriculum: “Scrivi su un foglio tutti i lavori importanti che hai fatto”. Solo che un foglio non mi è bastato. Iniziai: “A 10 anni ha cominciato a suonare in una piccola banda di Reggio Calabria, aiutato da un vecchio musicista, don Paolino, per il quale era diventato come un figlio”, e avanti così. Tutta la prima pagina era dedicata alla musica. Giravi il foglio: “Si è appassiona­to alla meccanica fin da piccolo. La prima bici Bmx gliela regalò sua madre quando aveva 7 anni. Un giorno, andò da un amico con l’officina e si fece dare la mitica chiave 13 a tubo, montò due fantastici pedalini di dietro e, da allora, andava dal suo amichetto Pasqualino e gli diceva: Sali”. Nel terzo foglio, s’intrecciav­ano il mestiere di macellaio e barbiere perché il cassiere della macelleria dove ero andato a lavorare dopo aver fatto pratica in barberia era un barbiere in pensione e ogni tanto gli tagliavo i capelli. Infine, nel quarto foglio, scrissi: “Decise di venire a Roma con le idee molto precise, diventare attore”. Quando mio fratello lo lesse rideva tanto da avere le lacrime agli occhi. Ma io non capivo il perché. Alle elementari l’unica cosa che mi piaceva erano i temi. Titolo: “La tua giornata”. E io raccontavo che ero andato a casa di un compagno di classe e avevo scoperto il bidet, perché, da noi, mio padre il bidet lo usava per piantarci il prezzemolo. La maestra leggeva e piangeva, ma io non capivo il perché».

L’incontro con Cinecittà «A Roma, mio fratello mi aveva chiamato perché stava facendo uno spettacolo amatoriale e gli serviva uno che suonava, forse quello che c’era prima era morto. Avrei dovuto fermami tre giorni, sono rimasto vent’anni. Mi regalò una macchinett­a fotografic­a che mi portavo dappertutt­o. Mi piaceva esplorare. Ricordo l’odore del tram numero 5, i mercati quando ancora si sentiva la puzza del pesce che la gente dei palazzi si lamentava, il mio giubbotto giallo, ma proprio giallo, di plastica. Mi piaceva truccarmi. Mi mettevo il fard che mi faceva sentire bello. E ricordo benissimo la prima volta che sono entrato a Cinecittà e ho scoperto quel mondo finto. La casa di Un medico in famiglia che vedevo in tv me la sono ritrovata lì. E Paolo Bonolis, che quando c’era Bim Bum Bam io ero quello che doveva tenere il filo dell’antenna sennò i miei fratelli non lo potevano guardare. Al cinema ho fatto di tutto, l’attrezzist­a, l’imbucato, la comparsa. Una volta giravano Una storia qualunque, e io sono andato a fare le foto anche se non si poteva, e mentre stavo lì a tener compagnia a Nino Manfredi, il regista mi dice: “Ti va di fare un passaggio?”. Un giorno, invece, davo una mano a costruire una scenografi­a del film Apri gli occhi e... sogna. Cantavo – quando lavoro mi piace cantare – e un tipo mi fa: “Vuoi fare la comparsa?”. Si prende il mio numero, dopo 15 giorni squilla il telefono, era lui: “Ci vediamo a Cinecittà nel pomeriggio per la prova costumi”. Arrivo e vedo tutte queste persone che stanno costruendo una cosa strana: gente che getta acqua in una piscina, altri che sporcano vestiti, grattano stivali nuovi... Stavano facendo il porto di Gangs of New York».

La svolta «Dopo Cannes ho viaggiato tanto. Al festival di Telluride sono arrivato sullo stesso aereo di Robert De Niro. Ho conosciuto Herzog. E, finalmente, mi sono buttato nel Mar Rosso. In Dogman, il mio personaggi­o vorrebbe portare la figlia in vacanza là, ma non ci riesce. Io ci ho portato il film e mi sono immerso a 14 metri con la mia GoPro. Filmo tutto per farmi un diario e sto anche montando un documentar­io su mia madre. Lei già allora era una donna femminista, moderna, forte. Pure i mafiosi li faceva scappare. Magari sembra che quando ero piccolo sia stata dura con me, ma è un modo di amarsi, è Calabria, dici “vaffanculo” ma intendi “ti voglio bene”. Ancora un paio di giorni fa l’ho chiamata: sto arrivando con due amici, che c’è da magnà? E lei: “Non c’ho niente, è tardi, non venire”. Sono andato da solo. Mi vede: “E i tuoi amici?”. Perché, alla fine, le faceva piacere. Devo fare i figli. Devo fare i figli prima che sia tardi, sennò mi tocca corrergli dietro col bastone e io, invece, ci voglio giocare a calcio. Un giorno, spero, mi costruirò la mia casa pezzo per pezzo. Negli alberghi ho visto ogni genere di vasca da bagno, le docce, i marmi, le luci soffuse, non soffuse. Conosco la rubinetter­ia di tutto il mondo a memoria. Intanto, continuo a fare quello che sto facendo, e cercare di farlo bene e imparare ogni giorno qualcosa di nuovo, confrontar­mi con gli altri. Che è meglio che stare nella propria stanza a dirsi quanto si è bravi».

 ?? Notti stellate. ?? Marcello Fonte, 40 anni, fotografat­o al Teatro Valle di Roma. Il 20 novembre l’attore pubblica il libro
Notti stellate. Marcello Fonte, 40 anni, fotografat­o al Teatro Valle di Roma. Il 20 novembre l’attore pubblica il libro
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