LAVORARE IN SILENZIO
Che brava persona è il nostro presidente della Repubblica. Sarà l’atmosfera delle Feste, sarà la gratitudine per chi ha saputo tessere la tela del paracadute che ci ha salvati dallo schianto con l’Europa, sarà l’immagine della sua figura diritta mentre aspettava – unico politico con Riccardo Fraccaro, ministro per i rapporti con il Parlamento – il ritorno della salma di Antonio Megalizzi, sarà che la dignità e il decoro brillano solitari nel firmamento opaco del nostro scenario politico, ma pensare a Sergio Mattarella fa ricordare che se questo Paese va avanti nonostante i populismi, la propaganda e l’improvvisazione – per non parlare della corruzione e del malaffare – è perché in Italia ci sono persone come lui. Per usare un’espressione che suona retorica: i servitori dello Stato. Quelli che lavorano in silenzio per il bene di tutti mentre gli altri fanno casino. Ce ne sono e sono dappertutto. L’altro giorno a un incontro alla Triennale di Milano ascoltavo Luigi Pagano, provveditore dell’Amministrazione penitenziaria della Lombardia, parlare di carcere: un uomo che se gli ultimi presidenti del Consiglio fossero stati più coraggiosi o più informati avrebbero dovuto nominare ministro della Giustizia, perché non credo ci sia qualcuno in Italia che ne sa più di Pagano, leggendario ex direttore di San Vittore, di pena e giustizia. Un uomo competente, onesto, serio ma anche brillante visionario e generoso, uno che ha dedicato la vita allo Stato. Penso che l’Italia sia piena di persone così, che fanno gli interessi del Paese invece dei propri, con pazienza e determinazione, anzi ostinazione, senza gratificazioni o riconoscimenti mediatici e pubblici, solo per senso del dovere. Se non ci fossero tante persone così nella cosa pubblica, nella famosa macchina dello Stato, non si spiegherebbe come faremmo ad andare avanti invece di sgretolarci e cadere in tanti piccoli pezzi. Se rimaniamo in piedi è perché ci sono un sacco di figure come Sergio Mattarella, che lavorano in silenzio, sentendosi responsabili. Sono medici, magistrati, carabinieri, funzionari, impiegati, insegnanti, poliziotti, infermieri: eravamo il Paese con le migliori scuole e i migliori ospedali pubblici del mondo e in parte, anche se molto meno, lo siamo ancora. Nonostante i saccheggi, le crisi economiche, le storture della politica, molto è rimasto e funziona ancora per merito delle persone come il presidente, uno che ha scritto in faccia e nella sua storia – politica e personale – il senso dello Stato. Nel discorso che ha fatto al Quirinale il giorno degli auguri di Natale, freschi di scampato pericolo con l’Unione europea, ha parlato del valore del pluralismo nell’assetto istituzionale, nella società civile, nell’informazione. E poi ha detto una cosa molto bella: «Il vero spirito degli italiani non è quello dell’ostilità, del pregiudizio e dell’intolleranza». Sarà il clima delle Feste, ma viene voglia di credergli e di augurare a tutti di farlo. Dai: crediamoci.