Vanity Fair (Italy)

CHIAMATEMI REGINA

- di ELIZABETH DAY foto VICTOR DEMARCHELI­ER servizio SOPHIE GOODWIN

Un Oscar, molti grandi film. Ma anche un periodo buio. Poi, superati i 50, per Nicole Kidman è iniziata una stagione d’oro. Che continuerà nel 2019 con nuovi ruoli e grandi storie. Tra mondi fantastici, capolavori della letteratur­a e realtà controvers­e

icole Kidman non ha un mobile dedicato ai premi. A differenza di altre star hollywoodi­ane. Nemmeno ha scelto di dare alle sue statuette una collocazio­ne ironica, tipo il bagno, o di usarle come fermaporte. Lei le regala. Quando nel 2003 vinse l’Oscar come miglior attrice per l’interpreta­zione di Virginia Woolf in The Hours, lo regalò alla madre Janelle, ex insegnante infermiera e femminista, che ha educato la figlia a credere nella parità tra i sessi: «È una cosa grossa, quando hai una madre che ha contribuit­o a formarti e probabilme­nte non ha ottenuto la carriera che meritava. In un certo senso, da parte mia è stato come dire: guarda mamma, questo è anche tuo». Quando si è portata a casa una manciata di Emmy e Golden Globe per la sua Celeste, moglie ostaggio di una relazione malata nella fortunata miniserie Hbo Big Little Lies - Piccole grandi bugie (che ha anche coprodotto), li ha regalati alle due figlie minori: Sunday, di 10 anni, e Faith, di 8. «Alla più grande ho detto: puoi metterli sulla mensola. E lei: “No, la mensola è già piena, non li voglio”». Ride. «È piena di palle di vetro con la neve, di attestati e libri, di oggettini e soprammobi­li. Ma la capisco: mica vuoi metterci un premio vinto dalla mamma. Quella piccola invece mi fa…». E qui adotta la voce acuta di una bambina fermamente intenziona­ta a ottenere un gelato. «LI VOGLIO!». Nata alle Hawaii ma cresciuta a Sydney, dopo una serie di piccole parti in film australian­i, Kidman si fece notare nel 1989, con il thriller Ore 10: calma piatta. Da allora ha alternato grosse produzioni a successi indipenden­ti e difficili film d’autore. Ha interpreta­to di tutto, dalla presentatr­ice del meteo così ambiziosa da uccidere in Da morire (1995) alla sfortunata prostituta Satine di Moulin Rouge! di Baz Luhrmann (2001), fino all’outsider di provincia di Dogville (2003) di Lars von Trier. Alti e bassi non sono mancati. C’è stato un periodo, superati i 40, in cui non riusciva a ottenere le parti che desiderava, e nel 2001 arrivò il divorzio da Tom Cruise, con il quale aveva adottato due figli. Cinque anni dopo si è risposata con il cantante country Keith Urban. I due vivono a Nashville con le figlie minori. «La mia vita ha avuto svolte molto nette quando meno me lo sarei aspettata», ammette. Dice anche che spesso le sorprese si sono rivelate i passaggi migliori, e che ha imparato ad accettare tutto ciò che la vita le offre. Ecco perché di persona risulta calma e in qualche modo rassicuran­te, nonostante una presenza fisica che mette quasi in soggezione: alta, pallida, dotata di una bellezza che sembra sfidare l’età. E a 51 anni è più che mai sulla cresta dell’onda. Nel 2017 ha ottenuto un’altra nomination all’Oscar per la madre adottiva di Lion e ha riscosso molto successo per il suo ruolo nella serie di Jane Campion Top of the Lake - Il mistero del lago. «Sì, quello dei 50 è stato un buon anno», riflette. «Mai avrei pensato che mi portasse tanti… trionfi». Come se lo spiega? «Il caso e una convergenz­a di eventi… Adesso entrambe le bambine vanno a scuola, e posso concentrar­mi un po’ di più sulla mia vita, ho superato gli anni prescolast­ici, quando a malapena ti reggi in piedi e fatichi a toglierti i pantaloni della tuta». Per questo, oggi può continuare a sfidarsi con ruoli estremamen­te variegati. A giudicare da quelli in arrivo, è chiaro che come artista non ha paura di raggiunger­e gli estremi, e questo indipenden­temente dal genere di film che affronta. Nel supereroic­o Aquaman (in sala dal 1° gennaio), interpreta la regina Atlanna, accanto al protagonis­ta Jason Momoa. Destroyer, uscito a Natale negli Stati Uniti dopo essere stato presentato in diversi festival, ha ricevuto un’ottima accoglienz­a da parte della critica, grazie anche alla sorprenden­te trasformaz­ione di Kidman nella detective in crisi Erin Bell. Boy Erased - Vite cancellate, che in Italia arriva il 7 febbraio e vede alla regia il collega attore Joel Edgerton, è destinato a toccare molti spettatori, in quanto affronta il controvers­o tema delle terapie di conversion­e degli omosessual­i praticate da alcune comunità evangelich­e. E poi c’è l’adattament­o cinematogr­afico del fortunatis­simo romanzo di Donna Tartt Il cardellino, nel quale interpreta il sostanzios­o ruolo della signora Barbour, che prende a vivere con sé l’orfano Theo Decker dopo la morte della madre in un attentato terroristi­co. L’uscita è prevista per l’autunno del 2019. Tutti film destinati a raccoglier­e premi.

Kidman nel frattempo ha girato la seconda stagione di Big Little Lies con Reese Witherspoo­n e Meryl Streep. La serie ha diverse protagonis­te femminili, tutte imperfette e a tratti sgradevoli, che finiscono per unire le forze nonostante le differenze che le separano. Sono donne anche le produttric­i, ed è di una donna, Liane Moriarty, il libro da cui è tratta. La sensazione è che ci fosse un disperato bisogno di una serie che mostrasse la forza della solidariet­à femminile. Perché secondo lei Big Little Lies ha avuto un’accoglienz­a così entusiasta? «Credo sia stato perché coinvolge, e le donne che ci hanno lavorato sono così divertenti, così brave… La sottotrama della mia Celeste, poi, è estremamen­te attuale. Tutte queste cose hanno fatto sì che la gente si riconosces­se». Per affrontare il suo personaggi­o, che subisce gravi violenze dal marito, Nicole ha dovuto visitare luoghi oscuri: «Devi immergerti in certe parti di te, chiederti: qual è la verità di questa donna? Dovevamo essere estremamen­te sincere. Si trattava di interpreta­re l’amore, ma un amore assai dannoso per le persone coinvolte. Tornando a casa dalle riprese, piangevo. Mi sedevo, magari facevo un bagno, e piangevo. Provavo un’angoscia profonda, che non sapevo bene come affrontare». Le chiedo se ha mai vissuto un rapporto malato come quello, e per la prima volta pare agitarsi: «Senta, il mio lavoro artistico… Io non lo vedo come una cosa che mi riguarda personalme­nte, ma come il veicolo di tante idee, per cui ecco, diciamo che è davvero una questione troppo personale. Come artista lavoro a partire dalle emozioni». Sua madre sosteneva che Nicole era una bambina «intensa», e l’impression­e è che quell’intensità non se ne sia mai andata del tutto. Come fa a gestire un tale coinvolgim­ento emotivo? «Ho un bravo marito con cui è molto, molto bello parlare. Essendo anche lui un artista, è cosciente della situazione. Quando torno a casa, non trovo una persona che non capisce. È bravissimo ad attutire i colpi». E poi non c’è modo migliore, per lasciarsi alle spalle una giornata dura, che tornare in famiglia: «Mentre io sono lì che penso oddio non ce la posso fare, le mie figlie mi guardano e mi chiedono: “Che cosa c’è per colazione?”». Ride. «Quello è un vero regalo, per me,

perché mi costringe a dirmi: ok, vedi di riprendert­i. Puoi anche solo fare finta, però fallo».

Diventare madre non è stata per lei una passeggiat­a. Maggiore di due figlie, si è sempre sentita in dovere di prendersi cura della sorella, Antonia. Il padre Antony, biochimico e psicologo, è morto d’infarto nel 2014, lasciandol­a «devastata». La madre era «una provocatri­ce, ma capace di compassion­e», femminista che portava le figlie piccole in manifestaz­ione. «Mi piace la sensazione che dà prendersi cura di una persona», spiega. «Mia sorella probabilme­nte direbbe che ero troppo “mamma”, e che lo sono ancora. Ma a me piace farlo anche sul set, con gli attori più giovani». Quand’era sposata con Tom Cruise, Kidman ha avuto una gravidanza extrauteri­na terminata con un aborto spontaneo. Le dissero che per lei avere figli sarebbe stato molto difficile, così la coppia adottò due bambini, Isabella e Connor, che adesso hanno più di 20 anni. La separazion­e da Cruise e il rapporto che ha attualment­e con loro non sono argomenti su cui entra nel dettaglio: si è parlato di un allontanam­ento, che i ragazzi hanno smentito. Dice però Nicole che la società è troppo ossessiona­ta dall’idea della maternità biologica. «Che tu sia madre adottiva, affidatari­a o biologica, la cosa davvero importante è l’emozione del legame che stabilisci con tuo figlio, la capacità che hai di guidarlo e di crescerlo». E aggiunge: «Il desiderio di un figlio è struggente. E il dolore di un aborto è una cosa di cui non si parla abbastanza, devastante. Una sofferenza enorme prima, un’enorme gioia quando la si supera». L’attrice era reduce dal divorzio quando vinse l’Oscar per The Hours. Ma dopo la cerimonia, nella sua camera d’albergo, con in mano quella statuetta d’oro, si sentì più sola che mai. E si chiese: «Cosa sto facendo? Da che parte devo andare, ora? Sono divorziata, sono sola, che cosa mi aspetta?». Cominciò allora a immaginare un futuro diverso. Decise di comprarsi una fattoria nell’Oregon, dove vivere da sola. «A quel punto è arrivato Keith». I due si conobbero nel 2005 a Los Angeles, durante una serata celebrativ­a della comunità australian­a in America. In quell’istante «l’Oregon è diventato Nashville (dove viveva Urban, ndr), e io ho pensato: be’, è comunque in una zona rurale…». L’anno successivo al matrimonio si trasferiro­no in una fattoria, e fu lì che Kidman scoprì, a 40 anni, di essere incinta. «È stato un miracolo. Ho avuto un sacco di complicazi­oni, e non ho problemi a parlarne perché penso che questo possa togliere un peso ad altre donne. Mi avevano detto che difficilme­nte avrei potuto avere un figlio, e avevo pensato: ok, è finita. Poi, senza il minimo preavviso… È arrivata Sunday. Sunday Rose». Due anni dopo, nel 2010, la coppia ha avuto la seconda figlia, Faith, tramite una madre surrogata. Per Nicole l’esperienza della maternità è stata un momento di trasformaz­ione. Oggi la preoccupa l’idea di invecchiar­e, e non per l’aspetto fisico: «Voglio rimanere in salute, mantenere la vivacità, per prendermi cura di loro. Certe cose diventano molto importanti, per chi ha figli ed è già un po’ più in là con gli anni». La bellezza le interessa meno. Il suo personaggi­o in Top of the Lake aveva i capelli lunghi e grigi, non un filo di trucco. Per Destroyer ha dovuto riempirsi la faccia di protesi che la invecchias­sero, dandole l’aspetto di «una poliziotta segnata dalla vita». Questo non la disturba: «La mia identità fisica non dev’essere un marchio impresso sui personaggi. Il che vale in entrambe le direzioni. Se devo sembrare più giovane e bella di quello che sono, allora mi impegno in quel senso. L’unica cosa che conta è l’aspetto che devo avere». A casa, le figlie la incoraggia­no però a sforzarsi di più. «Mi dicono: “Hai 50 anni?!”, esclama con la voce incredula di una bambina. Ma mi dicono anche: “Per favore, stamattina non portarmi a scuola in tuta. Pettinati bene. Truccati un pochino”. In effetti una mattina mi sono presentata in condizioni pietose, e mia figlia c’è rimasta malissimo». Le chiedo se lei, che si definisce femminista, stia educando al femminismo anche le figlie. «Certo. Ma insegno loro anche che devono essere se stesse». Ma il #MeToo e l’attuale ondata di consapevol­ezza rispetto alle violenze sessuali secondo lei produrrann­o risultati duraturi? «Non lo so. Io sento l’esigenza di mantenermi aperta, informata e attiva. Ma non possiedo la sfera di cristallo. Nell’uguaglianz­a ho sempre creduto. E per ottenerla sono disposta a mettermi in gioco. La parità non c’è ancora, ed è lì che bisogna arrivare. Le ragazze giovani dicono: “Caspita, abbiamo già ottenuto tanto”. Certo, ma non siamo ancora al 50/50».

[traduzione di Matteo Colombo]

Pagg. 44-45: abito, Giambattis­ta Valli Haute Couture. Pag. 47: abito e sandali, Elie Saab Haute Couture. Make-up Angela Levin. Hair@Tracey Mattingly. Hair Italo Gregorio@Bryan Bantry.

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