Vanity Fair (Italy)

ESSERE FIGLIO, ESSERE PADRE

A inizio anno, lo ritroviamo in un ruolo da Oscar. Ma negli ultimi tempi Viggo Mortensen al cinema non si era visto molto. È perché aveva scelto una strada diversa, «un lungo corso per combattere l’egoismo». E spera che un giorno un altro lo farà per lui

- di PAOLA JACOBBI foto MARC HOM

Chiedete a un attore se gli interessa vincere un Oscar. Rispondono tutti allo stesso modo: «Sarebbe un onore, ma i premi non sono la cosa più importante». Nel 99 per cento dei casi, questa è una bugia. L’uno per cento che dice la verità è Viggo Mortensen. Quest’anno, potrebbe vincerlo davvero, grazie al film Green Book, la storia di un buttafuori italoameri­cano che, nel 1962, si trovò a fare l’autista di Don Shirley, un pianista nero. Il titolo si riferisce a The Negro Motorist Green Book, una guida che dava consigli su come muoversi nelle regioni americane in cui c’era la segregazio­ne razziale. È una storia vera, il film ha avuto grande successo, fa anche molto ridere (il regista è Peter Farrelly, quello di Tutti pazzi per Mary) ma parla di solidariet­à, di differenze da superare, di incontri che uniscono e non dividono. Viggo è ingrassato parecchio per il ruolo dell’autista e ha imparato l’accento italoameri­cano. Il pianista è Mahershala Ali. Prima di Green Book, i due si conoscevan­o già, si erano incontrati quando giocavano l’uno contro l’altro agli Oscar del 2017. Viggo era candidato come miglior attore per Captain Fantastic, Mahershala per Moonlight (vinse lui). «Continuava­mo a imbatterci l’uno nell’altro a questi interminab­ili party e abbiamo fatto amicizia», racconta Viggo. «Situazioni in cui tutti sono lì, con un bicchiere in mano ma per uno scopo preciso, un vero circo. Tu ci vai perché ti hanno invitato e perché ti è richiesto di sostenere il film. Non che io detesti queste situazioni, non sono così orso, ma so che qualcuno mi ha criticato dicendo che non

avevo fatto una campagna abbastanza efficace. È che mi mette in imbarazzo andare in giro con l’aria sfacciata di chi sta dicendo “votate per me”». A febbraio, Viggo inizia a girare il suo primo film da regista, Falling. Racconta di un padre ottantenne che sta perdendo la memoria ed è un’esperienza che ha vissuto la madre dell’attore. Da come ne parla (poco, a dir la verità) sembra il progetto di una vita, con il riflesso di tante esperienze vere. Durante le interviste Viggo, che ha da poco (il 20 ottobre) compiuto 60 anni, beve «mate» ed è a piedi nudi. È ancora un po’ arrotondat­o per via del ruolo del film, ma è sempre angelico e fascinoso come ai tempi del Signore degli anelli, la saga che lo ha trasformat­o in un divo. Ancora oggi, fuori dall’albergo di Zurigo dove lo incontro la prima volta (ce ne sarà poi una seconda al festival di Roma, è stata un’intervista a puntate), ci sono decine di ragazzi con in mano i dvd dei film e le foto di Aragorn che gli chiedono di firmarle.

Chi era Viggo, allora? «C’erano tante cose che ancora non sapevo della vita. Non proteggevo la mia privacy. Dicevo tutto quello che mi passava per la testa, affermazio­ni politiche, cose così. Ma non mi pento di niente. Non si può pretendere di controllar­e il modo in cui altri interpreta­no scorrettam­ente o tolgono dal contesto le tue affermazio­ni. Molti attori odiano i giornalist­i, io no». Meno male, grazie. Posso chiederle come ha trascorso il suo compleanno? «Ero a Boston a fare, indovini un po’, promozione per Green Book. La sera, qualcuno si è presentato con una torta e abbiamo festeggiat­o. Non è la prima volta che mi capita di passare il compleanno lavorando. Il miglior compleanno che ricordo risale a quando avevo 4 anni perché sulla torta c’erano delle macchinine colorate». Però questo non era un compleanno qualsiasi: 60 anni. «Non mi ero ancora abituato a essere un cinquanten­ne ed è già finita. Ricordo il quarantesi­mo compleanno di mio padre, mi pareva vecchissim­o. Insomma, è tutto relativo. Certo, si cambia. Anni fa potevo stare alzato la notte a scrivere o telefonare a gente su un altro fuso, adesso devo dormire e basta. Mi rendo conto che tendo a risparmiar­e forze». Negli ultimi tre anni ha lavorato poco. «Sono morti entrambi i miei genitori, mi sono molto occupato di loro. Quando i tuoi si ammalano puoi lasciarti coinvolger­e oppure no, è una scelta che devi fare. Non è facile, può farti arrabbiare moltissimo dedicare tempo al loro declino perché questo tempo lo stai sottraendo alla tua vita ma per me è stato importante farlo. Spero che qualcuno lo farà per me, quando sarà il momento. Essere figli è come essere padri (Viggo ha un unico figlio, Henry Blake, 30 anni, ndr). Si fanno molti errori in entrambe le situazioni, ma la vita è fatta di questo, un lungo corso per combattere il proprio egoismo». Come va la sua casa editrice, Perceval Press? «Bene! In parte siamo diventati digitali, quasi tutto quello che pubblichia­mo è scaricabil­e, ma resta una quota di cartaceo importante. Stiamo pubblicand­o il libro di un giovane scrittore, Kevin Power, un nuovo libro di fotografia e uno di mie poesie in spagnolo. Mi piace l’odore della carta, la sensazione di averla tra le dita. Non credo di essere l’unico. Scrivo ancora lettere e persino cartoline». Lei è mezzo americano, mezzo danese, è cresciuto in Argentina, adesso vive a Madrid con la sua compagna spagnola, l’attrice Ariadna Gil. In Green Book interpreta un italoameri­cano. «Quando il regista me lo ha proposto, gli ho detto subito che andava in cerca di guai, con tutti gli attori italoameri­cani bravissimi che ci sono. Era un rischio per tutti, ma mi sono lanciato». Se la sua vita fosse un film, quale sarebbe la prima scena? «È una domanda che ha fatto a molte persone?». Lei è il primo, forse poi continuo. «Allora, inizierei con un gran finale. Non triste, però. Vorrei essere uno che alla fine ama ancora la vita, è interessat­o a quello che succede, è ottimista».

L’intervista è finita, Viggo si alza, guarda in fondo alla terrazza, dice a me e ai ragazzi dell’ufficio stampa che sono seduti poco più in là: «Su, andiamo a vedere questo tramonto, mica ce lo possiamo perdere. Dura un attimo».

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Dall’alto: Viggo è Aragorn nel Signore degli anelli, 2001; nel 2016, protagonis­ta di Captain Fantastic; in Green Book, con Mahershala Ali, 44 anni. FANTASTICO
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