LA VITA FLUIDA
Si definisce in bilico fra ieri e oggi, «come se avessi tutte le età in contemporanea». E se del passato (quello vissuto dalla nonna e dalla mamma attrici) rimpiange la privacy, del presente apprezza soprattutto una cosa: prendersi più rischi e più responsabilità
MMelanie Griffith ha fatto una capatina sul set di questo servizio fotografico presentandosi con un sorriso: «Sono la mamma di Dakota». Prima o poi succede, non a tutti, ma succede. Il figlio d’arte diventa così famoso che sono i padri e le madri a definirsi «genitore di». È il momento, di solito, in cui scompaiono le accuse di nepotismo perché significa che, a quel punto, il figlio o la figlia d’arte hanno dimostrato di essere qualcuno oltre il cognome che portano. Successe a Michael Douglas, premio Oscar come produttore del film Qualcuno volò sul nido del cuculo. Quel giorno smise di essere il figlio di Kirk Douglas, divo di un ventennio di cinema, e Kirk divenne il papà di Michael. Come Douglas, Dakota Johnson fa parte dell’aristocrazia di Hollywood, i cui quarti di nobiltà non si misurano in titoli nobiliari ma in titoli di testa. Sua nonna è Tippi Hedren, protagonista degli Uccelli di Alfred Hitchcock, la madre è Melanie Griffith, il padre è Don Johnson, il patrigno Antonio Banderas. Dakota stende le lunghe gambe su uno strano divano rotondo che occupa il salone della villa sulle colline sopra Los Angeles, dove ci incontriamo. Ha l’aria distratta, sibillina o forse un po’ scocciata, è il fenicottero più rosa di quella savana che chiamano Hollywood. Ripete ogni domanda che le faccio, prima di rispondere. Forse vuole pesare le parole, forse vuole prendere tempo ed evitare altre domande, che considera scomode. Dall’intervista sono esclusi a priori riferimenti ai film tratti da Cinquanta sfumature che l’hanno resa popolare (i tre titoli della serie hanno incassato nel mondo un miliardo di dollari!) e a Chris Martin, frontman dei Coldplay, ex marito di Gwyneth Paltrow, oggi fidanzato di Dakota e, chissà, futuro marito. Protagonista di Suspiria di Luca Guadagnino, in uscita il 1° gennaio, testimonial delle tre fragranze Gucci Bloom, a 29 anni Dakota, dietro l’aria apparentemente vaga, sembra avere idee chiarissime sul futuro. Ha iniziato a prodursi da sola i suoi progetti. Uno di questi (ma deve ancora iniziare a girare) è Queens of the Stoned Age, che racconta la storia vera, tratta da un reportage di GQ America, delle Green Angels, un gruppo di spacciatrici di marijuana governate da una splendida modella e al servizio di star della musica e dello spettacolo. Lei è molto popolare tra i coetanei ma se dovesse spiegare quali sono i tratti che distinguono la sua generazione, che cosa direbbe? «Non sento di appartenere alla mia generazione, è come se avessi tutte le età in contemporanea. Sono vecchia e giovane, più giovane e più vecchia, oscillo tra queste due cose continuamente». Insisto. La musica serve spesso a definire una generazione. Lei che cosa ascolta? «Sono una nerd musicale. Ascolto tutto. Ultimamente Grace Slick, stamattina Philip Glass. Tra le cose nuove mi piacciono James Blake e l’ultimo dei Nails. Vede, sto sempre tra vecchio e nuovo. Tutto un po’ fluido, senza divisioni nette, come le dicevo». Quando ha iniziato, con un piccolo ruolo in The Social Network, dove abitava e che cosa si aspettava da questo lavoro? «Abitavo con il mio ragazzo di allora e volevo l’indipendenza economica. Guadagnare facendo cinema». Obiettivo ampiamente raggiunto. E poi, che cosa vuole dal futuro? «Un numero altissimo di film molto belli, senza bisogno di scendere a compromessi». Quali compromessi? «Spesso per poter fare film indipendenti e di qualità è necessario girare film commerciali». Che, magari, non le interessano? «Non ho detto questo. Amo tutti i film che ho fatto. Ma ho scoperto che, se hai una certa popolarità, puoi prenderti più tempo tra un progetto e l’altro». Qual era il miglior aspetto dell’essere attrice ai tempi di sua nonna? «Allora gli studios investivano su di te, ti pagavano lezioni di pianoforte e danza, ti seguivano e sostenevano. Pensavano loro alla strategia, nel bene e nel male. Ma il vantaggio più grande è che non esistevano i social media e le attrici potevano restare creature misteriose e proteggere la loro privacy, non come adesso. Io sto sui social media in modo molto passivo. Leggo tutto, seguo tutto, ma non posto mai niente. Li uso per informarmi, ma non ne faccio parte perché non voglio pubblicizzare la mia vita». Ci sarà pure qualche vantaggio, adesso, rispetto ai tempi di sua nonna, o anche solo di sua madre. «Sì, c’è. Oggi le attrici possono avere più controllo sulle loro carriere. Possiamo produrre, come sto facendo io. O scrivere. O
diventare registe. Prenderci più rischi e più responsabilità. Tutte cose in passato molto difficili». Pensa che il #MeToo abbia cambiato, stia cambiando qualcosa? «Certi uomini ci penseranno due volte prima di comportarsi male. Ma il #MeToo non riguarda solo le molestie e non riguarda solo Hollywood. Donne di ogni settore produttivo stanno condividendo un sentimento nuovo, non si lasciano scoraggiare alla prima difficoltà. Tutte, credo, ci sentiamo un po’ più forti». Suspiria è il remake di un horror famoso ma è anche un po’ una metafora della potenza della femminilità. Come si è sentita a girare questo film? «Benissimo. Soprattutto perché con Luca Guadagnino lavoro sempre bene (il regista aveva già diretto Dakota in A Bigger Splash, ndr), la nostra è un’amicizia, una collaborazione artistica, un sodalizio speciale. Ho imparato più cose nei due film con Luca che in moltissimi altri». Le è mai capitato di non amare un personaggio che deve interpretare e di sforzarsi di farselo piacere? «Non è un problema che mi pongo. Ho dentro di me molte donne diverse e, a seconda del film, le vado a cercare. La creatività è un processo strano, viene a ondate, non si sa che cosa possa distruggerla o ispirarla, ogni volta è diverso». E, nella vita vera, in quali momenti si sente più a suo agio? Immagino non nelle interviste. «Immagina bene (ride per un nanosecondo). Preferisco guardare un film, leggere un libro, stare con gli amici». Quindi presumo che non le piaccia nemmeno stare su un red carpet con addosso gli sguardi di tutti. «A lei piacerebbe?». Non credo, ma io non sono un’attrice. «Ecco il punto. Pensa che un’attrice non abbia sentimenti? Tutti addosso, le luci sparate, gente che urla, l’idea che il giorno dopo ti faranno a pezzi perché non è piaciuta la tua pettinatura o il tuo vestito: come si fa a non essere a disagio? È tremendo eppure anche splendido, perché è una situazione molto fortunata. Ma io mi sento sempre un po’ scissa, anche lì».