La tavola delle tavole
Immaginiamo di imbandire il pranzo perfetto, magari a Capodanno, senza limiti nella ricerca del meglio. Che cosa preparare? E con quali piatti, bicchieri, tovaglie, fiori? Ecco la mia ricetta, Monte Bianco compreso
Tempo di fine anno, di bilanci e di desideri. Se dovessi immaginare di imbandire una tavola delle tavole per celebrare per esempio il Capodanno, e nel pensarla non avessi altri limiti che la ricerca dell’eccellenza, che cosa mi verrebbe in mente? Come la allestirei? Quali piatti di grandi chef sognerei di poter servire? Proviamo a sognare. Innanzitutto, partiamo dalla biancheria per la tavola: in via Meravigli a Milano c’è un indirizzo storico delle confezioni per la casa, Manescalchi. Fino a qualche decennio fa, la borghesia resisteva alla propria decadenza mantenendo i riti come quello del corredo di biancheria per la casa. Progressivamente sono spariti moltissimi indirizzi che servivano le famiglie di diversa estrazione, e così l’arte nobile delle mani che ricamavano, cucivano, filavano si è seccata come un fiume durante la siccità. La signora Maria Grazia Manescalchi, eroica ed enciclopedica, generosa e di squisita eleganza, mantiene ancora salda la barra del timone per clienti affluenti e ricercati da quasi cinquant’anni. Nel suo negozio ampio e luminoso trovo un’enorme scelta di bellissimi oggetti, alcuni dei quali quasi museali, la stupenda, sofisticatissima, narrativa tovaglia écru degli anni Quaranta tutta di pizzo Cantù (del tipo cosiddetto «figurato» perché il pizzo contiene figure naturali e uccelli) sarà la copertura dei miei desideri con cui inizio l’allestimento della tavola ideale. A Monaco di Baviera si trova il castello di Nymphenburg, residenza estiva del re, con il suo fantastico giardino botanico (il bosco di felci un luogo di magia) e soprattutto la storica manifattura di porcellana. Fondata dal re nel secolo XVIII, quando ogni testa coronata si sfidava a chi produceva la più bella porcellana, oggi la manifattura di Nymphenburg è, insieme con quella di Sèvres, di proprietà dello Stato francese, l’unica al mondo che produce la propria porcellana, a partire dalle pietre che vengono schiacciate e le polveri ricavate impastate con l’acqua del canale, e la pasta invecchiata come un grande vino per diversi anni fino a maturazione, quando poi prendono forma,
manualmente, capolavori di quest’arte sublime. Il servizio Lotos, creato negli anni Trenta dal designer Wolfgang von Wersin, con il suo fondo celeste dipinto a mano, è quello che poggio sulla tovaglia di macramè. A est di Monaco viaggio quattro ore fino a Vienna, 1 sulla Kärntner Strasse mi accoglie Andreas Rath, l’ultimo erede della celebre famiglia di vetrai Lobmeyr. Andreas porta avanti la tradizione di famiglia con una vivida curiosità, scovando grandi designer e architetti contemporanei per creare forme sempre più nuove da accostare ai capolavori classici delle generazioni passate. Il servizio che scelgo per la nostra tavola ideale è il
Commodore, creato negli anni ’50 da Oswald Haerdtl, realizzato in un vetro così sottile da essere chiamato con il nome di un tessuto, mussolina. Bicchieri dalla forma pura e funzionale.
Jean Puiforcat è stato il rivoluzionario dell’arte argentiera nella prima metà del secolo scorso, portando, in una tradizione fatta di replica dei motivi più acriticamente classici (il barocco, il rinascimentale eccetera), la forza dinamica e spiazzante delle forme déco. Il servizio di posate Cannes, architettonicamente severo e disegnato da Puiforcat per il proprio matrimonio, complementa perfettamente la nostra tavola, magari per non farsi mancare nulla, in versione vermeil intinta nell’oro. Leggere Paolo Pejrone è una delle mie gioie personali e la camelia invernale di cui lui parla con così bella prosa dovrebbe essere il nostro decoro floreale, magari raccolta da un giardino innevato. Il menu, visto che è ideale, sarebbe composto da tre grandissimi antipasti – ché io più di ogni altra parte della carta è quella che preferisco – dei miei tre chef preferiti al mondo, il gel di vitello di Niko Romito, un quasi dessert, strati di dolcezza e sontuosità, l’insalata di uova e uova di Enrico Crippa, capolavoro concettuale e sensoriale sul tema dell’insalata, e il già superclassico caviale e lenticchie di Alain Ducasse. Chiuderei con il Monte Bianco, che, modestamente, preparerei io nella ricetta austera e perfetta di un milanese raffinatissimo e pratico, marroni sbucciati e cotti nel latte e vaniglia, poco zucchero, schiacciati e ammonticchiati a cono libero, la cima coperta di crema montata a neve non troppo ferma. No meringhe no cioccolata, imbastardimenti inutili. Buoni sogni a tutti e buon anno a tutti.