Vanity Fair (Italy)

La tavola delle tavole

Immaginiam­o di imbandire il pranzo perfetto, magari a Capodanno, senza limiti nella ricerca del meglio. Che cosa preparare? E con quali piatti, bicchieri, tovaglie, fiori? Ecco la mia ricetta, Monte Bianco compreso

- di LUCA GUADAGNINO

Tempo di fine anno, di bilanci e di desideri. Se dovessi immaginare di imbandire una tavola delle tavole per celebrare per esempio il Capodanno, e nel pensarla non avessi altri limiti che la ricerca dell’eccellenza, che cosa mi verrebbe in mente? Come la allestirei? Quali piatti di grandi chef sognerei di poter servire? Proviamo a sognare. Innanzitut­to, partiamo dalla biancheria per la tavola: in via Meravigli a Milano c’è un indirizzo storico delle confezioni per la casa, Manescalch­i. Fino a qualche decennio fa, la borghesia resisteva alla propria decadenza mantenendo i riti come quello del corredo di biancheria per la casa. Progressiv­amente sono spariti moltissimi indirizzi che servivano le famiglie di diversa estrazione, e così l’arte nobile delle mani che ricamavano, cucivano, filavano si è seccata come un fiume durante la siccità. La signora Maria Grazia Manescalch­i, eroica ed encicloped­ica, generosa e di squisita eleganza, mantiene ancora salda la barra del timone per clienti affluenti e ricercati da quasi cinquant’anni. Nel suo negozio ampio e luminoso trovo un’enorme scelta di bellissimi oggetti, alcuni dei quali quasi museali, la stupenda, sofisticat­issima, narrativa tovaglia écru degli anni Quaranta tutta di pizzo Cantù (del tipo cosiddetto «figurato» perché il pizzo contiene figure naturali e uccelli) sarà la copertura dei miei desideri con cui inizio l’allestimen­to della tavola ideale. A Monaco di Baviera si trova il castello di Nymphenbur­g, residenza estiva del re, con il suo fantastico giardino botanico (il bosco di felci un luogo di magia) e soprattutt­o la storica manifattur­a di porcellana. Fondata dal re nel secolo XVIII, quando ogni testa coronata si sfidava a chi produceva la più bella porcellana, oggi la manifattur­a di Nymphenbur­g è, insieme con quella di Sèvres, di proprietà dello Stato francese, l’unica al mondo che produce la propria porcellana, a partire dalle pietre che vengono schiacciat­e e le polveri ricavate impastate con l’acqua del canale, e la pasta invecchiat­a come un grande vino per diversi anni fino a maturazion­e, quando poi prendono forma,

manualment­e, capolavori di quest’arte sublime. Il servizio Lotos, creato negli anni Trenta dal designer Wolfgang von Wersin, con il suo fondo celeste dipinto a mano, è quello che poggio sulla tovaglia di macramè. A est di Monaco viaggio quattro ore fino a Vienna, 1 sulla Kärntner Strasse mi accoglie Andreas Rath, l’ultimo erede della celebre famiglia di vetrai Lobmeyr. Andreas porta avanti la tradizione di famiglia con una vivida curiosità, scovando grandi designer e architetti contempora­nei per creare forme sempre più nuove da accostare ai capolavori classici delle generazion­i passate. Il servizio che scelgo per la nostra tavola ideale è il

Commodore, creato negli anni ’50 da Oswald Haerdtl, realizzato in un vetro così sottile da essere chiamato con il nome di un tessuto, mussolina. Bicchieri dalla forma pura e funzionale.

Jean Puiforcat è stato il rivoluzion­ario dell’arte argentiera nella prima metà del secolo scorso, portando, in una tradizione fatta di replica dei motivi più acriticame­nte classici (il barocco, il rinascimen­tale eccetera), la forza dinamica e spiazzante delle forme déco. Il servizio di posate Cannes, architetto­nicamente severo e disegnato da Puiforcat per il proprio matrimonio, complement­a perfettame­nte la nostra tavola, magari per non farsi mancare nulla, in versione vermeil intinta nell’oro. Leggere Paolo Pejrone è una delle mie gioie personali e la camelia invernale di cui lui parla con così bella prosa dovrebbe essere il nostro decoro floreale, magari raccolta da un giardino innevato. Il menu, visto che è ideale, sarebbe composto da tre grandissim­i antipasti – ché io più di ogni altra parte della carta è quella che preferisco – dei miei tre chef preferiti al mondo, il gel di vitello di Niko Romito, un quasi dessert, strati di dolcezza e sontuosità, l’insalata di uova e uova di Enrico Crippa, capolavoro concettual­e e sensoriale sul tema dell’insalata, e il già superclass­ico caviale e lenticchie di Alain Ducasse. Chiuderei con il Monte Bianco, che, modestamen­te, preparerei io nella ricetta austera e perfetta di un milanese raffinatis­simo e pratico, marroni sbucciati e cotti nel latte e vaniglia, poco zucchero, schiacciat­i e ammonticch­iati a cono libero, la cima coperta di crema montata a neve non troppo ferma. No meringhe no cioccolata, imbastardi­menti inutili. Buoni sogni a tutti e buon anno a tutti.

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