Vanity Fair (Italy)

CORAGGIO, ESCI DAL GUSCIO

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Caro Massimo,

Sono la persona più sola di questo mondo. Figlia unica, sono cresciuta molto protetta dai genitori. Ammetto di avere un carattere schivo e di essere un’insicura, ma le poche persone con cui ho legato durante gli anni scolastici a poco a poco le ho perse per strada. Ho lavorato per anni come segretaria in un’azienda di spedizioni, dove non ho avuto modo di fare amicizie. Il resto della mia vita è stato assorbito dai genitori, che ho accudito finché non sono mancati. Non ho più una famiglia, non ho amici. Ho 47 anni e non ho nessuno che mi ama, che tenga a me a questo mondo. E non posso che dare la colpa a me stessa. Solo una volta mi sono innamorata, non ricambiata, di un ragazzo conosciuto all’università. Poi nessuno mi è più sembrato alla sua altezza, degno di poterlo sostituire nei miei pensieri. La mia mi appare come una vita buttata, inutile. Se dovessi sparire, nessuno se ne accorgereb­be. Eppure, dentro di me, per quanto rassegnata, c’è qualcosa che si ribella a questa non-vita. Avrei bisogno di una mano tesa, che mi aiutasse a uscire dal vuoto che mi circonda. Che cosa posso fare?

— Lena

Ti risparmier­ò le formule di sollievo ipocrita, del tipo: non sei sola, sei unica. Oppure: beata solitudo, sola beatitudo. La solitudine è una condizione fertile quando è frutto di una scelta. Tu invece l’hai subita come una condanna. Anzi, come se fossi nata già dietro le sbarre di una prigione e non immaginass­i nemmeno l’esistenza di una realtà differente. Ma è inutile adesso scandaglia­re le ragioni che ti hanno portato a essere quella che sei. La tua unica speranza di uscirne consiste proprio nello smetterla di rimuginare su quanto sarebbe stata diversa la tua vita, se fin da piccola ti fossi buttata nel gorgo delle esperienze, senza paura di cadere e di soffrire per i postumi delle cadute. La tua è una situazione estrema, ma risuona nel cuore di tanti. La tecnologia ha moltiplica­to le possibilit­à di contatti, però ha ridotto la frequenza di quelli fisici. Comunichia­mo di continuo con persone che non vediamo mai, se non sullo schermo di un telefonino. C’è una solitudine di città, fatta di migliaia di solitudini che vivono l’una accanto all’altra senza riconoscer­si. E una solitudine di provincia, i cui tratti dominanti sono la ristrettez­za e la ripetitivi­tà di incontri che trasmetton­o un senso di soffocamen­to. Eppure, sia in città sia in provincia, c’è chi riesce a costruirsi una rete di relazioni affettive, senza la quale la vita è più brutta e più breve. Una formidabil­e ricerca dell’università di Harvard ha seguito centinaia di persone lungo l’intero corso della loro esistenza ed è giunta a conclusion­i in netto contrasto con i nostri feticci sociali. A vivere meglio e più a lungo non sono i più ricchi, i più realizzati sul lavoro e nemmeno i più sani. Sono quelli che hanno dedicato più tempo a coltivare il loro orto affettivo: famiglia, amicizie, amori. Da quando sei nata, tu cammini in un deserto che la tua mente ha cercato in ogni modo di rimuovere o di giustifica­re. Indicativa la frase in cui scrivi che, dopo il primo mancato amore, non hai più trovato nessuno alla sua altezza. All’altezza di chi? Di una persona che hai idealizzat­o a modello di riferiment­o, senza neanche averla conosciuta all’interno di un rapporto reale? Cerchi una mano tesa, ma non la troverai finché tieni in tasca le tue. Devi uscire dal bunker della tua testa. Con la consapevol­ezza che a 47 anni hai maturato esperienza solo della solitudine e nei rapporti con gli altri sei un’adolescent­e impacciata, che potrebbe entusiasma­rsi o deprimersi per qualsiasi incontro, anche e soprattutt­o per quelli sbagliati. Ma è tempo di correre il rischio, non trovi? Di andare a scoprirlo, questo mondo pericoloso e cattivo, eppure capace di rivelare tesori. Per farlo, devi resistere all’impulso di non farlo. Non è un gioco di parole. Tutta te stessa vuole conoscere altre persone, ma tutta te stessa ha paura del loro giudizio e dei fallimenti che inevitabil­mente precedono i successi. Ma è come quando si cammina: per andare avanti, bisogna perdere l’equilibrio per un attimo. Escludo che nelle tue vicinanze non esista una palestra, un circolo culturale o un altro luogo ricreativo in cui tu possa incrociare altri sguardi, tra cui sicurament­e ce ne sarà qualcuno compatibil­e con il tuo. Quello che devi trovare è il coraggio di fare il primo passo. Quando è stata l’ultima volta che hai fatto qualcosa per la prima volta? Ti auguro un nuovo anno pieno di Prime Volte. A te, e a tutti i lettori.

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