IL MIO CUORE DI PIETRA E ΝEVE
Ha deposto le armi, Loredana Bert•. Alle durezze della vita ha reagito con un’anestesia dei sentimenti. Alla vigilia della sua partecipazione al Festival , l’ex cattiva ragazza non soffre, non ama, non sogna. Fino a quando sale sul palco
Il mio cuore è per metà di pietra e per metà di neve. Si può sciogliere a volte, ma solo un po’. Nella vita ne ho viste troppe». Quando si scioglie? «Quando sono sul palco». A chi pensa in quel momento? «A Mimì». Mimì, diminutivo di Domenica, era Mia Martini: sorella, maggiore di tre anni, scomparsa in circostanze tragiche nel 1995. E mai dimenticata: Loredana Bertè la porta ogni istante negli occhi, nascosti da molto ombretto nero, e nel broncio, che raramente lascia il posto al sorriso. Quando parla non perde occasione per citarla ed è per lei che si esibisce. Sempre. Anche adesso, mentre domina il palco dell’Ariston per le prove generali in vista della 69esima edizione del Festival di Sanremo. 69 come l’età di questa diva senza tempo che, dopo anni di labirinto tra liti e disamori, dipendenze e depressione, ora sembra rinata: fresca del successo del singolo Non ti dico no, tormentone dell’estate scorsa, e del lancio del 25esimo album, LiBerté, Loredana si presenta puntuale in leggings, sneakers e coda di cavallo color elettricità. Sale i gradini con passo felpato, saluta l’orchestra, sistema il microfono e, per un secondo, fissa le 1.909 poltroncine di velluto rosso, da sempre prime spettatrici della colonna sonora d’Italia. Poi, la musica parte e lei pure. Sotto la voce graffiata dal fumo e dalla vita, un timbro di bambina mai cresciuta chiede a un uomo, a dio, o forse alla vita stessa: Cosa ti aspetti da me? Lei cosa si aspetta da sé? «Di continuare a cantare, che per me non è un mestiere. Chi canta per mestiere è un mercenario. Io vivo per quei momenti sul palco». È anche di questo che parla la canzone quando dice: «Ti aspetti tutta una vita per essere un attimo»? «Quella strofa racchiude il mio concetto di felicità. La felicità non si può definire perché dura un istante. Te ne accorgi dopo, quando è finito». Un istante felice che ricorda? «Gli esordi, quando Mimì e io non eravamo nessuno. Se sentivamo che c’era un provino in qualche città, partivamo subito in autostop. Non ci fermava niente, neanche le porte in faccia». Vedremo qualche frammento di queste avventure in Io sono Mia, biopic ispirato alla vita di sua sorella, su Raiuno il 12 febbraio. Protagonista: Serena Rossi. «Bravissima». Per interpretare lei è stata scelta Dajana Roncione. «Spavalda». Roncione ha dichiarato che, per immedesimarsi nel ruolo, è partita dall’idea che lei, Loredana, è libera perché non ha paura. Si ritrova? «Quando ne passi di tutti i colori, non temi nulla. Puoi guardare l’abisso, saltare nel buio. Il futuro non si controlla, quindi tanto vale vivere alla giornata». Com’è la sua giornata? «Mi alzo prestissimo». Tipo? «Alle 10. Dopo colazione, faccio due ore di cyclette e bevo due litri d’acqua. Poi aspetto la notte. A volte leggo, a volte guardo la tv: mi piacciono i programmi di Real Time ambientati al pronto soccorso, come ER: Storie incredibili o 911: Emergenze imbarazzanti. La sera ceno seguendo una dieta rigorosa». A base di verdure condite con poco peperoncino. Giusto? «Sì, e zero carboidrati. Saranno tre anni che non mangio un piatto di spaghetti». Proprio lei che Andy Warhol soprannominò Pasta Queen quando, nel 1981 a New York, cucinava per la Factory! «Già, ma questa forma di disciplina mi fa sentire bene». Che cos’altro la fa stare bene? «Cancellare le persone cattive». Cioè? «Io non perdono: se uno mi fa un torto, lo rimuovo dalla mia vita». Nella sua autobiografia, Traslocando (Rizzoli, 2015), racconta parecchie angherie subite. Ha avuto un padre abusante e una madre profittatrice. È stata pestata, violentata, tradita, persino rinchiusa in manicomio. Perché non ha mai cercato l’aiuto di un terapeuta?
«Non avevo i soldi per mangiare, figuriamoci se li avevo per la psicoanalisi. Anche dopo, quando la carriera è decollata, l’idea non mi ha sfiorato minimamente. Mi sono curata da sola». Come? «Chiudendo i rapporti con il nucleo famigliare: loro non mi appartenevano. Mia madre di noi se ne fregava. Se a 12 anni uscivamo di casa non si accorgeva neanche quando, e se, rientravamo. Non ho mai avuto una famiglia e non mi manca. Non me ne frega niente. Questa è la cosa bella: ora non soffro. Non più». Ha anestetizzato i sentimenti. «E, dopo due matrimoni falliti, ho anche azzerato le aspettative. Tanto vengono disattese». La sua grande speranza delusa, ha confessato, è stata quella di avere un bambino. «Soprattutto quando mi sono sposata la seconda volta (nel 1989 con la star del tennis Björn Borg; la prima nel 1983 con l’imprenditore Roberto Berger, ndr). Guardavo Björn e vedevo il padre dei miei figli. Peccato che lui, dopo tre anni di fidanzamento e quattro di matrimonio, ha scoperto di non volerne». Lei perché li desiderava? «Per lasciare qualcosa di me, oltre ai dischi. Invece, sono stata io a lasciare tutto: per stare con Borg mi sono trasferita in Svezia mollando carriera, amici, sorella». Alla fine ha mollato anche lui. «Ci sono riuscita. Per questo mi chiedo se fossi davvero innamorata. Credo di no. Anzi, sono sicura: non ho mai amato. Ho perso due mariti, ma il dolore che ho provato è incomparabile a quello per la perdita di Mimì. Quello, sì, non lo auguro a nessuno: è una roba universale. Che non si cancella nel tempo. Sono passati più di 20 anni, sembra ieri». Una delle ragioni che hanno annichilito sua sorella è stata la diceria che portasse sfortuna. Pensa che, se una cosa del genere succedesse oggi, nell’era dei social, una denuncia su Facebook potrebbe fermare questa superstizione assassina? «Da allora non è cambiato nulla. Vedo ancora gli artisti fare scongiuri, praticare rituali scaramantici, riempirsi le tasche di cornetti prima di un’esibizione. Non io: sul palco vado allo sbaraglio». Senza paura? «Paura no, ansia sì. Poi comincio a cantare e passa». Non si sente brava abbastanza? «Io me la cavo. Le brave sono altre». Per esempio? «Elisa. E Mimì, naturalmente. Sono sempre stata consapevole che non avrei raggiunto il suo livello». Mai un briciolo di invidia? «Mai. Ero orgogliosa di averla accanto. E mi sono sempre accontentata di quello che riuscivo a dare io». È per questo che la gente la ama? «La gente mi ama perché sono coerente. Sono sempre stata trasgressiva. Anche se, nel 2019, la trasgressione sta nella normalità. Provocare con look azzardati non è più rock: è una burinata». E pensare che la prima volta che si è presentata a Sanremo, nel 1986, ha simulato una gravidanza esibendosi con un finto pancione fasciato da un abito in pelle. «Quest’anno chiudo il cerchio: non mi concentrerò sui vestiti. Forse riciclerò qualcosa di già messo. Magari è la volta buona che la gente parla della mia canzone anziché del mio aspetto». Magari è la volta buona che vince. Durante le prove, il pubblico urlava: «Sei la migliore!». «E quando mai, nella vita, vincono i migliori?».