Vanity Fair (Italy)

TRAP O NON TRAP?

Questo è il dilemma «amletico» che accompagna il cantante romano, pronto a stupire il Festival come un Vasco Rossi 2.0, ma «non c’è bisogno di un’etichetta per un artista, in un mio disco si può trovare di tutto». Come nella sua vita, piuttosto spericolat

- di RAFFAELLA SERINI foto DANIELE CAMBRIA servizio FLORIANA SERANI

Due tatuaggi in faccia (il primo, Pour l’amour, come il titolo del suo quarto disco; l’altro, Scusa, «è ciò che mi sono detto dopo essermelo fatto»), Achille Lauro ha un’immagine strafotten­te, sul palco si presenta a torso nudo come Iggy Pop, nelle biografie racconta di droghe e vita sgomitata, ma poi questa intervista la chiude dicendo: «Il mio porto sicuro è sempre stato la mamma. La pace è la famiglia. Non vedo l’ora di fare dieci figli: coi bambini in casa torna la magia». Vero nome Lauro De Marinis, in arte si chiama come il celebre armatore napoletano che fu anche politico e dirigente sportivo, perché «Lauro è poco comune, così da piccolo tutti mi chiedevano “Ma Lauro come Achille Lauro?”. Crescendo ci sono rimasto». Genere musicale «fusion», Lauro mette insieme la trap al reggae, alla samba, al rock. Come nel brano che porterà in concorso a Sanremo: Rolls Royce, una sorta di Vita spericolat­a 2.0 (Vasco Rossi è il suo idolo, e si sente), e che pesca musicalmen­te dagli anni ’70 e ’80. Chi la definisce solo trapper sbaglia? «Io faccio una musica che va al di là delle playlist di Spotify. In un mio disco si può trovare tutto, dal brano solo pianoforte e voce al punk. Non c’è bisogno di un’etichetta per un artista». Ha già pubblicato un libro e sta lavorando a una trilogia di documentar­i. Non sarà prematuro? «Dormo tre ore a notte e nella vita ho già fatto talmente tante cose che addosso me ne sento cinquanta di anni, mica ventotto». Nel libro Sono io Amleto, appena pubblicato per Rizzoli, racconta di spaccio, droga e rapine. Tutto vero? «È un’opera d’arte, ognuno la interpreta come vuole. A me interessa la storia: vorrei che fosse d’esempio per tutti quelli che oggi puntano il dito contro i pischelli, senza rendersi conto di ciò che c’è dietro». Ossia? «Sacrifici. Io sono sicuro che tutti i ragazzi che hanno avuto successo, successo vero, si sono dati da fare, hanno fatto un percorso, affrontato burroni dove sono caduti. Capire cosa c’è dietro restituisc­e valore a tutto». Tipo: Io mi ricordo le imprese / Una vita senza pretese / I salti mortali per arrivare a fine mese / E adesso invece giro quasi sempre prima classe / Questa vita folle, frà, sembrava mi chiamasse, come canta in Ulalala?

«Il fatto che dalla trap sia derivata la moda di ragazzini che ostentano è brutto e vergognoso, anche perché è stupido che un ragazzino di quindici anni si mostri con i vestiti che gli compra il padre. Però uno come Sfera Ebbasta, capostipit­e della trap in Italia e oggi così contestato, veramente tre anni fa girava con le scarpe da ginnastica usate, è cresciuto senza un padre, andava a piedi da una parte all’altra di Milano per registrare negli studi. Il messaggio che vorrei far passare è questo: in un’Italia in cui i pischelli sono senza passioni, chi anziché andare a divertirsi e perdere tempo riesce a realizzare qualcosa andrebbe sostenuto e non criticato. In tutti i mestieri e in tutti i lavori. Perché se a dodici anni un ragazzo dice “voglio fare il cuoco” e inizia a stare in cucina, a venticinqu­e stai sicuro che si aprirà già un ristorante». Tra amici e nemici, nel rap, è sempre difficile districars­i. I suoi quali sono? «Io stimo tutti quelli che da soli hanno costruito carriere vere. Da Marracash che è più autorale a un Coez o Calcutta che portano novità nel pop. Non conosco tanto gli artisti del mio genere, ma sono sicuro che da Sfera a Ghali tutti si sono fatti il culo». Definisca una volta per tutte «farsi il culo». «Prima di Ragazzi madre, il mio primo singolo di successo, stavo trenta ore in studio con gli altri a lavorare, senza sapere cosa sarebbe successo. Uno butta via i soldi, butta via il tempo, e tutti ti dicono ma dove devi anna’, perché non è detto che svolti. La gente pensa “quello scrive due stronzate”, ma non sa che dietro ogni canzone c’è un lavoro maniacale». A fotografar­vi con la scarpa griffata però siete voi. Non è riduttivo? «Io non sono un educatore, e i social li uso come voglio: la scarpa me la so’ sudata, se costa tanto che ce’ posso fa’? Fino all’altro giorno portavo i vestiti usati di mio fratello, oggi sono un imprendito­re che si è costruito una società da solo, e voglio darmi un tono. Se poi un ragazzo mi chiede “il successo è la scarpa?”, io gli rispondo “no, il successo è lavorare tanto per qualcosa che ti piace”. Se dovessi fare una lezione a cinquecent­o giovani, sono sicuro che uscirebber­o tutti col master». Continuerà a fare questo mestiere per sempre? «A me interessan­o i soldi solo per non preoccupar­mi dei soldi, ma la vita ha un altro significat­o. Sono un super malinconic­o, vivo nel ricordo, pensi che qualche tempo fa sono andato in montagna a ricercare la stalla dove io e mio fratello giocavamo da piccoli. Se avessi modo di non preoccupar­mi del denaro forse farei musica in altro modo, non m’interesser­ebbe il business, ma solo il piacere di suonare con gli amici». Le droghe le ha provate tutte, ce n’è una alla quale è rimasto «affezionat­o»? «La marijuana, ma solo ogni tanto. Ormai ho talmente tante cose per la testa che se mi faccio una canna vado in confusione. Il fumo va bene per chi è spensierat­o». In passato con suo padre ci sono state tensioni e a quattordic­i anni è andato via di casa. Tra voi oggi come va? «Ci siamo ritrovati. Sono cresciuto nella periferia romana, e in famiglia abbiamo avuto i nostri “cazzi”, è vero, ma io sono figlio di persone perbene, con una certa cultura. Non eravamo ricchi, ma neanche criminali, e ci tengo a precisarlo». La sua etica del lavoro è quasi calvinista: un provvedime­nto come il reddito di cittadinan­za come lo giudica? «A queste domande non rispondo, sennò mi massacrano. Le mie opinioni sono private, come il voto». Un tempo cantanti e cantautori non temevano di esporsi. «Un tempo non c’erano i social: oggi uno non può più dire una roba di buon senso che diventa “oddio che cosa ha detto”». E questo la priva del diritto di esprimerla? «Se persino uno come Baglioni, che c’ha quasi 70 anni, le spalle grandi e l’esperienza, è stato attaccato per non aver detto nulla, figuriamoc­i che cosa potrebbe accadere a me. Detto questo, se io avessi voluto fare politica avrei fatto politica e non il cantante». In television­e ha già partecipat­o a Pechino Express come concorrent­e e a X Factor come guest star. Tornarci come giudice le piacerebbe? «Sì, un sacco! Scoprire e coltivare il talento è il mio lavoro». Sul palco dell’Ariston come si presenterà? «Ormai ho 28 anni, sono un signorino e ho voglia di vestirmi bene. Sanremo non sarà da meno, anzi: è pure un gala!». Ride. Tra accessori e vestiti, mi fa una stima di quanto ha addosso in questo momento? «Non tantissimo. Il collarino starà sui 600 euro, il completo non lo so. Solo l’orologio è un bel Rolex, ’na chicchetta». Ma va sempre in giro così? «Milano mi sembra un posto tranquillo, poi io mi muovo sempre in taxi: mica faranno l’assalto alla diligenza, no?». La macchina non ce l’ha? «Non più: ogni volta che la usavo mi arrivavano quattro multe. Ho cominciato ad accollare i punti della patente a tutti i parenti… e poi so’ finiti pure quelli».

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 ??  ?? Achille Lauro ha pubblicato da poco Sono io Amleto (Rizzoli, pagg. 255,€ 16,90). SHAKESPEAR­E IN TRAP
Achille Lauro ha pubblicato da poco Sono io Amleto (Rizzoli, pagg. 255,€ 16,90). SHAKESPEAR­E IN TRAP

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