ANCHE SOLA STO BENE
Al cinema è una super mamma (un po’ stanca). Nella vita, invece, Valentina Lodovini non vuole figli. E alla «combriccola» preferisce la solitudine. Come quando da bambina sognava Saranno famosi
Valentina Lodovini ha debuttato al cinema nel 2004 e in questi quindici anni, tra le altre cose, si è specializzata nel ruolo di madre: «Sarà che la mia fisicità è estremamente femminile: il cinema vive anche di immagine e le mie forme, il mio aspetto morbido e accogliente attirano spesso ruoli materni». Tra le conseguenze di questa predisposizione, c’è anche quella che a Valentina, nelle interviste, viene sempre chiesto se e quando farà un figlio, domanda alla quale lei ogni volta pazientemente risponde: «Non lo so, finora non ne ho mai sentito il desiderio». Stavolta, di figli, la sceneggiatura gliene ha assegnati addirittura tre. Il film è una commedia di Alessandro Genovesi, si intitola
10 giorni senza mamma e lei interpreta appunto la mamma del titolo che lascia per pochi giorni marito (Fabio De Luigi) e figli di età diverse (2, 10 e 13 anni) per farsi una vacanza a Cuba con la sorella. Il papà si troverà così ad affrontare le insidie dell’inserimento al nido della più piccola, i giochi spericolati del maschio e l’incipiente pubertà della figlia maggiore. Giulia, il personaggio di Valentina, chiuderà il film con una ritrovata consapevolezza. Un po’ – con storie, toni e linguaggi lontanissimi – quel che capita alle quattro donne che l’attrice porta in scena nel tour teatrale di Tutta
casa, letto e chiesa, testo scritto da Dario Fo e Franca Rame nel 1977. Non avere istinto materno è ancora un tabù? «A teatro a un certo punto c’è questa donna che è rimasta incinta suo malgrado, vorrebbe abortire ma si rifiuta di farlo clandestinamente. Così, di fronte alla ginecologa dice, all’incirca: tanto i figli tocca farli prima o poi, quindi me lo tengo, così mi realizzo. Ecco, questa frase detta con grande sarcasmo gela il pubblico. È una cosa che sento ogni sera. Quindi il tabù forse in parte c’è». Lei sente il giudizio? «Nessuno mi ha mai fatto sentire in torto». Lei che modelli femminili ha avuto? «Mia mamma: una donna forte, lavoratrice. Faceva due lavori: la sarta la mattina e il pomeriggio aiutava il babbo nel negozio di elettrodomestici. Oggi non c’è più. Mi ha insegnato il valore dell’indipendenza e poi che la felicità è nelle mie mani: sono io padrona della mia vita». La mamma che interpreta vuole prendersi una vacanza dalla famiglia. «Sì, ma non ci sono drammi né crisi di coppia, Giulia è solo tanto stanca. Di lei mi piace tanto questa cosa che ha scelto consapevolmente di fare la mamma, non è “vittima”. E credo che il film dica una cosa molto bella alle donne: riprendetevi la vostra individualità e i vostri figli continueranno ad amarvi, non rinunciate a voi stesse perché prima o poi le conseguenze di questa rinuncia torneranno a galla». Le è mai successo di rinunciare a qualcosa di sé per un’altra persona? «Sì. A volte, anche inconsapevolmente, rinunci alle cose in cui credi, alle persone che fanno parte della tua cerchia, ti metti nella condizione di non decidere niente, di dare il potere tutto nelle mani dell’altro, permetti che i tempi li detti tutti lui».
Il mio modello è mia madre: una donna forte, lavoratrice. Mi ha insegnato che la felicità è nelle mie mani
È difficile trovare l’equilibrio? «Io sono sempre alla ricerca di rapporti alla pari, ma è complicato». Lo ha trovato? «Sono un’attrice e quando interpreto un personaggio non voglio che lo spettatore sia distratto da un pensiero tipo: ah la Lodovini, quella che sta con...». Se vuole può completare la frase. «Con il cinema! Sono più che riservata: omertosa». Parliamo del cinema allora. «Il mio primo vero amore. Da bambina leggevo l’Amleto senza capirci niente, poi da ragazzina mi rinchiudevo in casa a guardare film su film. Nel mio paese in Toscana c’era il corso in cui il sabato pomeriggio i ragazzini facevano le “vasche”. Io no: guardavo Daniel Day-Lewis, Monica Vitti, Rosi, Monicelli, Risi. Vivevo nel mio mondo già allora». È una persona solitaria? «Ho amici veri, ma non sono una che vive con la combriccola. Ma in generale non è che dia tanto retta alle persone (ride)». Perché? «Un po’ è il lavoro che mi porta al raccoglimento. A volte è la pigrizia, altre ho paura di mettermi in relazione con un altro essere umano. Un po’ invece c’è un senso di inadeguatezza tutto mio. Ho le mie fragilità, le mie chiusure, mi vergogno scioccamente a mostrarmi agli altri. Forse è perché sono cresciuta un po’ da sola». Da sola? «Vengo da una famiglia molto unita, ma io non sono stata una figlia programmata e c’erano generazioni in mezzo a me e ai miei fratelli: sono nata 15 anni dopo mia sorella e 12 dopo mio fratello». Quando ha capito che voleva fare l’attrice? «L’ho sempre saputo, la mia è stata una passione innata, nessuno in famiglia amava il cinema. Da bambina, per farmi stare buona, mi facevano guardare Saranno famosi, mi registravano tutte le puntate. E io mi esaltavo quando nella sigla c’era l’insegnante di danza che diceva: voi fate sogni ambiziosi, successo, fama, ma queste cose costano ed è qui che si comincia a pagare, con il sudore! Fantastico, vado in visibilio ancora oggi, perché io sono un po’ così: mi piace il duro lavoro, il sudore». E poi una scuola del genere l’ha fatta davvero: il Centro sperimentale di Roma. «Già. E quando sono entrata lì e ho visto la fila degli armadietti come nel telefilm sono impazzita. E poi facevamo le stesse cose: danza, movimento scenico, canto, ballo, musica. Mi sentivo davvero dentro Saranno famosi. E sono contenta di esserci arrivata a vent’anni e di non aver bruciato le tappe. Da adolescente sarebbe stato prematuro». Da adolescente era già bella? «Mia madre mi raccontava che da piccola mi fermavano per farmi i complimenti. E si dice che nel mio paese ci sono tre bambine che sono state chiamate Valentina perché ai genitori piacevo io. Le mie amiche poi mi prendono in giro e dicono che quando sono cresciuta ero un po’ la Malena del posto. Ma a me non è mai fregato niente della bellezza, del mio aspetto, è irrilevante». Avere una bella faccia però aiuta al cinema. «Certo, ma è più importante come dici la battuta. A teatro, in questo spettacolo, sul palco sono sempre in sottoveste e non ho mai pensato: oddio, starò bene? Si vedrà la coscia? Io cerco l’essenza dei miei personaggi, il resto non conta. Non so neanche truccarmi, prima volevo mettermi qualcosa in faccia per l’intervista ma ho lasciato perdere: tanto non sono capace». A 40 anni che bilancio fa? «Come attrice mi sento molto amata e la realtà ha superato il sogno...». Sta per arrivare un «ma»... «Ancora non me ne rendo conto. Mi succede una cosa strana, quando sono con degli attori, non li percepisco come colleghi: loro sono “gli attori” e io no, io sono la spettatrice. Ma ci sto lavorando».