LE DAME, I CAVALIERI (ROMBANTI), GLI AMORI
Uno sguardo malinconico, un sorriso gentile. Senna aveva un fascino irresistibile da eroe solitario. Così diverso dagli altri campioni, in pista e nei cuori, che hanno fatto palpitare la F1
E nelle foto sembra persino che tra i capelli si agiti ancora del vento, riverberi di bellezza che palpitano nell’attesa che qualcosa si realizzi. Bello era Ayrton Senna e di gentile aspetto, cavaliere solitario di un’epoca e di una Formula 1 che non esistono più. Aveva uno sguardo carico di una malinconia sconsolata e cortese, con un velo di tristezza che gli attraversava il viso, di fretta, una nuvola distratta che passa davanti al sole, prima di andarsene altrove. Era portato – almeno in pubblico – al broncio, ma non per ipotesi interpretativa, così, per quella naturale inclinazione che lo rendeva ancora più desiderabile. Piaceva alle donne. Piaceva molto alle donne. Lo trovavano irresistibile. È stato un sex symbol. Diverso da tutti i colleghi del Circus, quelli che c’erano prima e quelli che sono venuti dopo.
Negli anni ’70 la faccia da poster è quella di James Hunt, l’anti Niki Lauda celebrato nel film Rush di Ron Howard: polemico, attaccabrighe, simpatico però, fama di rubacuori, languide carezze, baci furtivi, il pilota inglese gira ovunque col blazer ma a piedi nudi, va in televisione, fa il clown e si mette a suonare la tromba, in pista e nei privé è «Hunt the Shunt», «Hunt lo Schianto». Oggi invece le fanciulle impazziscono per il pluricampione
Lewis Hamilton, «tamarro» da parata metrosexual, tatuato da catalogo, corpo esibito e oliato come un parquet di rovere, perfetto esemplare di questi tempi narcisi e farlocchi, arruolato dai social nello sguaiato trionfo di pettorali dentro la bolla di una bellezza che non prevede imperfezioni, smagliature, incompiutezze, eccessi. Tra Hunt e Hamilton, la scia della cometa di Senna.
L’uomo custodiva quell’impenetrabilità che è bagaglio indispensabile di ogni grande attore. Non recitava, però. Si limitava a essere Ayrton Senna. Per dire: si è sempre sottratto al luogo comune che vuole il pilota desideroso di spiattellare al mondo le sue conquiste. Tutto il contrario dell’altro grande brasiliano di quegli
anni, Nelson Piquet. Spaccone e donnaiolo, un trombone a tariffa, ricco e guascone con yacht-pied-à-terre a Montecarlo. A proposito: fu Piquet a mettere in giro la voce che Senna era gay. Si parlò di una vendetta, perché Senna aveva avuto una storia con Katherine, la donna che sarebbe diventata la moglie di Piquet.
Le donne di Senna, dunque. Iniziazione sessuale a 13 anni – come raccontò a Playboy Brasil –, sposo a 21, con la schiva Lilian
Vasconcelos, pochi mesi di matrimonio, poi il divorzio. Sono i tempi del Senna consumato dall’ambizione di diventare un campione, non c’è tempo per altro. Avanti: fidanzamento discreto ma lungo quattro anni con Adriane Yamin, la «Minha Garota» a cui dedica le prime vittorie in F1. Adriane è un’amica di infanzia, lei e Ayrton abitano nella stessa strada di San Paolo, è figlia del proprietario di Duchas Corona, il marchio brasiliano più noto nel settore degli accessori da bagno. Da allora, a ogni ricorrenza, la signora posa in modalità borghese nel lussureggiante giardino di casa, scavando con grazia chirurgica nei territori della nostalgia a uso e consumo della televisione brasiliana. È stato amour fou quello di Ayrton per Xuxa Meneghel, celebre presentatrice brasiliana, donna di successo, in precedenza certificata di un flirt con Pelé. E ancora: relazioni da rotocalco con Cristina Pensa, più tardi moglie del fuoriclasse del pallone Ruud Gullit, e con la connazionale Cristine Ferracciu; fino alle ultime due storie d’amore note della sua vita, con l’altera ed elegante top model Carol Alt e con Adriane Galisteu, vent’anni di meno, hostess alla Shell, leggera e sorridente, eppure – o proprio per questo – osteggiata dalla famiglia perché ritenuta usurpatrice di fama e ricchezza.
È stato detto che Senna era un dio che si era messo al volante e andava di fretta. Senna credeva in Dio. E credeva in se stesso. Ma non si ebbe mai l’impressione che fosse una fede unica. C’è qualcosa di mistico nella sua tensione alla perfezione, c’è qualcosa di mistico in svariati episodi della sua (post) vita. Questa storia, per esempio: il 17 luglio del 1994 – sono passati 77 giorni dalla tragedia di Imola – il Brasile si laurea campione del mondo per la quarta volta, battendo l’Italia di Arrigo Sacchi. Teatro è il Rose Bowl di Pasadena, sobborgo di Los Angeles, si gioca in un forno di 40 gradi. 0-0 dopo 120 minuti di (non) gioco, strazio spossante, si va ai rigori. Roby Baggio sbaglia il tiro decisivo, calciando il pallone verso stelle che non ci sono, nel cielo di cartapesta made in Usa. Errore inconcepibile alle latitudini terrestri. Qualche tempo dopo Roby Baggio rivelerà la sua verità a Rete Globo: «Non avevo mai calciato un rigore sopra la traversa. Penso che quel giorno sia stato Ayrton Senna che, dal cielo, ha spinto il pallone verso l’alto. È stato lui a far vincere il Brasile». Non lo pensa solo Baggio, lo pensiamo tutti. L’omaggio della Selecão è commovente. Nel mezzo dei festeggiamenti, sbuca una bandiera. C’è scritto: «Senna Aceleramos Juntos. O Tetra é nosso!». «Senna acceleriamo insieme. Il quarto (titolo) è nostro». Quarto, come il Mondiale che Ayrton non ha mai vinto.
Oggi, il Senna che da 25 anni ha conquistato l’iconografia popolare, il campione che si ripete e si moltiplica da una bandiera all’altra, è un Piccolo Principe immerso nei suoi pensieri, è un aviatore che si arrende a un destino che sta per compiersi, come il Lindbergh cantato da Ivano Fossati: «Difficile non è partire contro il vento / ma casomai senza un saluto». Rimane a noi l’immagine del viso liscio dai lineamenti aggraziati e severi, lo sguardo mite eppure avido di una gloria che verrà, i capelli scompigliati da un vento complice, il profilo da francobollo tra le cui ferite si intravede la traccia di una lontana timidezza. La bellezza è sempre una domanda, non è mai una risposta.
Non avevo mai calciato un rigore sopra la traversa. Penso che quel giorno sia stato Ayrton Senna che, dal cielo, ha spinto il pallone verso l’alto. È stato lui a far vincere il Brasile Roberto Baggio