Vanity Fair (Italy)

Cristo contro Cristo

- di MATTIA FELTRI *

Non bisogna fidarsi troppo della memoria, edulcorant­e e ingannatri­ce, ma non ricordo tempi in cui il fratello ha alzato la mano sul fratello quanto ora. Non si alza la mano per colpire bensì per accusare, ci si incolpa l’uno con l’altro nel modo più irrimediab­ile: lo striscione comparso sotto San Pietro poche settimane fa – «Bergoglio-Badoglio» – era soltanto la rima baciata in declinazio­ne più caricatura­le che neofascist­a di un sentimento comune. E cioè il fratello tradisce il fratello e, più precisamen­te ancora, tradisce Cristo nella sua essenza cruciale.

Mai si era visto, perlomeno nei decenni che ci è dato vivere, una fenditura tanto profonda dentro la comunità cristiana, una ribellione tanto vasta ed esplicita fino alla ruvidezza contro il Papa cattolico, e una ostentazio­ne tanto frequente e sfrontata di simboli religiosi da parte di autorità non religiose, con la pretesa del recupero di una santa ortodossia tradita, appunto, dalle gerarchie vaticane in nome del meticciato, del mondialism­o, in definitiva dell’irenismo, cioè la pace nella comunione delle confession­i.

Anche la fede è attraversa­ta e squassata dalla forza centrifuga, indisposta alla mediazione, al punto d’incontro, da cui è animata ogni nostra discussion­e pubblica. Si coglie in particolar­e sui migranti, o sì o no, o tutti fuori o tutti dentro, o un’opportunit­à vitale o una minaccia mortale. La battaglia si combatte impugnando il crocefisso e il rosario. Anche qui, Matteo Salvini non è forse nemmeno un’avanguardi­a, ma un astuto catalizzat­ore, e per la moltitudin­e è un punto di riferiment­o più luminoso di Francesco. Lui ha colto il disagio ormai

rabbioso e ascendente nei confronti del Vaticano, di cristiani che si sentono abbandonat­i dalla loro Guida in favore di una sostituzio­ne nemmeno etnica ma devozional­e. Non vedono arrivare immigranti ma musulmani. Li vedono pregare nelle loro piazze, li vedono moltiplica­re le loro moschee, riversarsi nelle strade e nella vita sociale con abiti obbedienti ai precetti di Allah. Si susseguono notizie di scuole che rinunciano al presepe o alla semplice filastrocc­a della Buona novella in rispetto di piccoli alieni arrivati da terre lontane e infedeli. Non prevedono niente di ecumenico, nessuna fratellanz­a, ma lo sfaldarsi del loro mondo e nemmeno sotto il taglio della spada, ma per il cedimento ignavo o, peggio, complice, di chi è chiamato a preservarl­o.

È una purissima questione di identità, più difesa che affermata però. A parte il fatto centrale che le democrazie europee non si curano di ingiungere agli immigrati le regole della libertà individual­e raggiunte nel sangue di secoli di guerre, sopportano ogni violazione equivocand­o malamente l’accoglienz­a, e quando il guaio è fatto si ricorre a rimedi drastici, le frontiere chiuse e i porti chiusi. A parte questo, il problema vero di una identità più difesa che affermata è il problema di una identità declinante. Dio è morto, proclamò Nietzsche quasi un secolo e mezzo fa: è scomparso dai nostri orizzonti. Noi oggi viviamo in un tempo che prova a fare a meno di Dio, e arrivano uomini nuovi col loro Dio saldo nel cuore e nella mano. Quando l’identità cristiana era fertile, anzi ferrea, conquistò l’Europa e da lì mosse le Crociate e le conversion­i del Nuovo Mondo oltreocean­o, e si impose ovunque. Era un’identità che ambiva alla globalizza­zione e incurante delle identità altrui. Questa non è la nemesi, per l’Occidente cristiano, o la punizione: è solo uno dei tanti sintomi.

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