Cristo contro Cristo
Non bisogna fidarsi troppo della memoria, edulcorante e ingannatrice, ma non ricordo tempi in cui il fratello ha alzato la mano sul fratello quanto ora. Non si alza la mano per colpire bensì per accusare, ci si incolpa l’uno con l’altro nel modo più irrimediabile: lo striscione comparso sotto San Pietro poche settimane fa – «Bergoglio-Badoglio» – era soltanto la rima baciata in declinazione più caricaturale che neofascista di un sentimento comune. E cioè il fratello tradisce il fratello e, più precisamente ancora, tradisce Cristo nella sua essenza cruciale.
Mai si era visto, perlomeno nei decenni che ci è dato vivere, una fenditura tanto profonda dentro la comunità cristiana, una ribellione tanto vasta ed esplicita fino alla ruvidezza contro il Papa cattolico, e una ostentazione tanto frequente e sfrontata di simboli religiosi da parte di autorità non religiose, con la pretesa del recupero di una santa ortodossia tradita, appunto, dalle gerarchie vaticane in nome del meticciato, del mondialismo, in definitiva dell’irenismo, cioè la pace nella comunione delle confessioni.
Anche la fede è attraversata e squassata dalla forza centrifuga, indisposta alla mediazione, al punto d’incontro, da cui è animata ogni nostra discussione pubblica. Si coglie in particolare sui migranti, o sì o no, o tutti fuori o tutti dentro, o un’opportunità vitale o una minaccia mortale. La battaglia si combatte impugnando il crocefisso e il rosario. Anche qui, Matteo Salvini non è forse nemmeno un’avanguardia, ma un astuto catalizzatore, e per la moltitudine è un punto di riferimento più luminoso di Francesco. Lui ha colto il disagio ormai
rabbioso e ascendente nei confronti del Vaticano, di cristiani che si sentono abbandonati dalla loro Guida in favore di una sostituzione nemmeno etnica ma devozionale. Non vedono arrivare immigranti ma musulmani. Li vedono pregare nelle loro piazze, li vedono moltiplicare le loro moschee, riversarsi nelle strade e nella vita sociale con abiti obbedienti ai precetti di Allah. Si susseguono notizie di scuole che rinunciano al presepe o alla semplice filastrocca della Buona novella in rispetto di piccoli alieni arrivati da terre lontane e infedeli. Non prevedono niente di ecumenico, nessuna fratellanza, ma lo sfaldarsi del loro mondo e nemmeno sotto il taglio della spada, ma per il cedimento ignavo o, peggio, complice, di chi è chiamato a preservarlo.
È una purissima questione di identità, più difesa che affermata però. A parte il fatto centrale che le democrazie europee non si curano di ingiungere agli immigrati le regole della libertà individuale raggiunte nel sangue di secoli di guerre, sopportano ogni violazione equivocando malamente l’accoglienza, e quando il guaio è fatto si ricorre a rimedi drastici, le frontiere chiuse e i porti chiusi. A parte questo, il problema vero di una identità più difesa che affermata è il problema di una identità declinante. Dio è morto, proclamò Nietzsche quasi un secolo e mezzo fa: è scomparso dai nostri orizzonti. Noi oggi viviamo in un tempo che prova a fare a meno di Dio, e arrivano uomini nuovi col loro Dio saldo nel cuore e nella mano. Quando l’identità cristiana era fertile, anzi ferrea, conquistò l’Europa e da lì mosse le Crociate e le conversioni del Nuovo Mondo oltreoceano, e si impose ovunque. Era un’identità che ambiva alla globalizzazione e incurante delle identità altrui. Questa non è la nemesi, per l’Occidente cristiano, o la punizione: è solo uno dei tanti sintomi.