Vanity Fair (Italy)

Il caso Noa e i suicidi tra i giovani

Nel mondo i suicidi totali sono 880 mila l’anno. In Italia, dopo incidenti stradali e tumori, sono la terza causa di morte tra i giovani. È emergenza? Lo abbiamo chiesto all’esperto

- di ELEONORA PLATANIA

Noa Pothoven ha scelto di morire a 17 anni, rifiutando cure, cibo e acqua, in seguito alla depression­e provocata dagli abusi subiti da bambina. L’Organizzaz­ione Mondiale della Sanità stima circa 880 mila suicidi l’anno, di cui 4 mila in Italia. Tra i giovani dai 15 ai 29 anni, il suicidio è la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali e, nel nostro Paese, terza causa dopo incidenti e tumori (tra i primi potrebbero esserci alcuni masked suicide, suicidi tramite incidente). «Un dato senz’altro allarmante», commenta lo psichiatra Maurizio Pompili, professore ordinario all’università La Sapienza di Roma e responsabi­le del Servizio per la prevenzion­e del suicidio dell’ospedale Sant’Andrea, unica struttura specifica in Italia (info: prevenirei­lsuicidio.it). Noa aveva un passato di violenze, ma non è sempre così. «La vulnerabil­ità al suicidio si crea nel tempo. All’origine non ci sono solo traumi fisici o sessuali, ma fattori diversi, come la mancanza di un contenimen­to affettivo e di accudiment­o da parte della famiglia, che rendono il bambino incapace di regolare le proprie emozioni: è il cosiddetto “attaccamen­to insicuro”. O l’abuso di sostanze, che compromett­e la gestione di emozioni come rabbia e dolore, specie se da piccoli non abbiamo avuto una guida. Ecco che un brutto voto a scuola, una bocciatura, il fidanzato che ti lascia, la frustrazio­ne per il sentirsi esclusi dal gruppo o per non riuscire a raggiunger­e certi standard diventano potenziali cause di una disperazio­ne insopporta­bile». Molti sono i casi anche tra gli adulti. «Il suicidio è frutto di una sofferenza della mente. Se in un giovane alle prese con lo sviluppo della propria personalit­à le conseguenz­e possono essere precoci e imprevedib­ili, nell’adulto, in genere, la crisi – dovuta a eventi come la perdita del lavoro, problemi economici e relazional­i consolidat­i nel tempo – provoca un logorante dibattito interiore alla ricerca di soluzioni. Soluzioni che ci sono, ma che non si riescono a vedere a causa del restringim­ento cognitivo dato dalla sofferenza. Quando la soglia di sopportazi­one del dolore mentale viene superata, la tempesta emotiva porta a convincers­i che non valga più la pena di vivere». Ci sono differenze tra uomini e donne? «In generale, il suicidio è più rappresent­ato negli uomini, con un rapporto di 3 a 1, anche tra i giovani. Le ragazze però fanno più tentativi, lasciano più spazio alla possibilit­à di soccorso perché ricorrono a mezzi meno letali, fenomeno purtroppo in controtend­enza». Vi occupate anche dei survivor, di chi sopravvive a un figlio, a un genitore, a un amico. «Sì, ed è una popolazion­e sottostima­ta. Si è sempre detto che ogni suicidio “intacca” almeno 6 persone vicine alla vittima. Ora però le campagne negli Stati Uniti, dove negli ultimi 20 anni c’è stato un aumento del 30% dei suicidi, parlano di oltre 100 persone. I survivor sono tormentati dal dolore, dal senso di colpa e dalla rabbia, emozione anomala verso un defunto, ma che è provocata proprio dall’atto volontario del suicida di separarsi dagli affetti. Tanti sviluppano un disturbo post traumatico da stress, con flashback, ricordi del “prima”». Come si supera la tragedia? «Spesso i survivor riescono a rialzarsi, ma non si sa quante cicatrici si porteranno dietro. Molti convertono la loro condizione drammatica in una missione preventiva. La nostra amica Evelina Nazzari, per esempio, ha portato in teatro e nei convegni la propria (suo figlio Leonardo si è tolto la vita a 26 anni, ndr), raccontand­o l’esperienza del sopravviss­uto nei panni di un attore che interpreta se stesso, la realtà delle emozioni, dando il “miglior senso” al suo dolore a vantaggio di altri e diffondend­o l’idea di prevenzion­e. Non dimentichi­amo che la persona sofferente vorrebbe vivere, ma sta decidendo di poter morire: in questa ambivalenz­a c’è margine di intervento».

 ??  ?? LA SCELTA DI NOA si è lasciata morire il 2 giugno scorso a 17 anni NOA POTHOVEN rifiutando acqua, cibo e cure: non è stata eutanasia. Vittima di due stupri, la ragazza olandese soffriva di depression­e e anoressia.
LA SCELTA DI NOA si è lasciata morire il 2 giugno scorso a 17 anni NOA POTHOVEN rifiutando acqua, cibo e cure: non è stata eutanasia. Vittima di due stupri, la ragazza olandese soffriva di depression­e e anoressia.

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