Vanity Fair (Italy)

Timothée Chalamet, Beautiful Boy

Mentre torna nelle sale nei panni di un tossico, Chalamet è diventato un divo (ma senza Oscar)

- di MATTIA CARZANIGA

Non si assisteva a un tale fanatismo collettivo nei confronti di un giovane attore dai tempi di Leonardo DiCaprio. Ma nel caso di Timothée Chalamet c’è una deriva nuova: l’idolatria è più intellò-chic, un po’ perché le platee del cinema sono diventate più piccole, un po’ perché lui ha il tipico profilo che piace alla nicchia. Dopo l’exploit di Chiamami col tuo nome di

Luca Guadagnino e prima di The French Dispatch di Wes Anderson, il nostro dimostra di funzionare pure nel drammone classico. In Beautiful Boy, nelle sale dal 13 giugno, fa il tossico con grande adesione alla parte. Il padre (Steve Carell) le prova tutte per salvarlo, ma il ragazzo sempre ci ricasca, torna nei rehab, se ne fugge, e avanti così. Amplifican­o la dimensione strappacuo­re la dicitura «tratto da una storia vera» (l’ispirazion­e è il memoir del giornalist­a David Sheff, pubblicato in Italia da Sperling & Kupfer) e la mano non certo leggera del belga Felix Van Groeningen, al debutto su terra americana dopo il successo internazio­nale di Alabama Monroe - Una storia d’amore, nominato nella cinquina dei film stranieri agli Oscar 2014 (vinse La grande bellezza). Qualcuno ancora si lamenta perché Chalamet non ha invece ricevuto una candidatur­a quest’anno, le tante scene madri di Beautiful Boy l’avrebbero ampiamente favorita. Certo è che questa è la stagione che lo definisce come divo: una fidanzata

famosa (Lily-Rose Depp), un account Instagram assai seguito (3,2 milioni di follower), pure la polemica acchiappat­itoli (ha rinnegato il lavoro con Woody Allen, pur assolto da ogni passata accusa di molestia, in A Rainy Day in New York, da noi a ottobre). Gli mancava solo la parte ad alto tasso di Metodo: eccola qua.

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