Vanity Fair (Italy)

Come salvare i ricordi, in coro

L’Alzheimer si porta via i ricordi. Ma la memoria delle canzoni resiste più di ogni altra. Così cantare insieme diventa un modo per stare meglio, anche per chi malato non è. Come dimostra l’esperienza di un piccolo coro dove ognuno ritrova la sua voce

- di SILVIA NUCINI foto STEFANO SCHIRATO

L’ultima cosa che il dottor Walter Vinci ha fatto prima di entrare in sala operatoria per la prima volta non da chirurgo, ma da paziente è stata mettere nelle mani della figlia Marta una cartellett­a e dirle: «Tieni. Ci vediamo tra poco». «Quando ci hanno comunicato che era morto durante l’operazione – un intervento banale: dovevano mettergli uno stent al cuore – avevo ancora quella cartellett­a in mano. L’ho tenuta così, stretta, tutta la notte. Dentro c’erano i documenti della Onlus che mio padre aveva avviato. Solo verso mattina mi sono arresa all’idea che quel suo ultimo gesto fosse un messaggio che dovevo ascoltare».

Sette anni e diversi progetti dopo, nasceva SonoraMent­e, il primo coro italiano per malati di Alzheimer, per i loro mariti, mogli, figli e badanti. Alla prima lezione erano pochi e titubanti, molti si erano fermati sulla porta. Era il 5 ottobre 2016, quel giorno il dottor Vinci avrebbe compiuto 79 anni.

A Marta l’idea del coro è venuta studiando un po’ di letteratur­a clinica e guardando dei video su YouTube: «Mia sorella Maria Virginia, che è medico come nostro padre, racconta l’Alzheimer come un terremoto lento che procede a cerchi concentric­i. Una delle ultime cose a rimanere in piedi è la memoria

musicale: ci sono persone che non sanno più chi sono, ma ricordano le canzoni e le melodie che hanno amato nella loro vita». Sulla base di questa osservazio­ne empirica, prima che scientific­a, a Valencia nel 2010 è nato Las voces de la memoria, un grande coro composto da malati di Alzheimer che fa spettacoli, va in tournée e partecipa ai talent. «Quando li ho visti cantare in un video con i Seguridad Social, un gruppo punk rock spagnolo, mi sono detta che dovevamo avere un po’ di coraggio anche noi», continua Marta che con sua sorella Maria e Marzia Colombo ha messo in piedi tutto. Il concetto che sta dietro al coro è che ci vai e ci resti solo se ti fa stare bene, se no tornerai la prossima volta: anche per questo la partecipaz­ione è completame­nte gratuita, perché nessuno si senta obbligato. Ma di defezioni, in questi anni, non ce ne sono state mai. Ogni mercoledì intorno all’ora di pranzo, a casa di Mario

e Felicia si consuma un piccolo rito. Mario dice «andiamo al coro», Felicia lo guarda dubbiosa: ci sono già stata? Domanda. Lui la rassicura: molte volte. «Allora sorride: è proprio felice. Come il suo nome», racconta lui. Frequentan­o il gruppo fin dai primi incontri: per Felicia, che parla poco, ma canta con passione,

è un momento di festa. Per Mario uno scampolo di riposo in una vita che ormai gira solo intorno alla malattia della moglie. «Ho 83 anni, ma mi sento ancora capace di occuparmi di Felicia da solo. Certo, è molto faticoso, specialmen­te di notte. Così quando siamo qua, lei canta e io, se sono proprio stanco, mi appisolo sulla seggiola». Una delle cose più vere che si dicono sull’Alzheimer è che è una patologia per due: il malato e chi gli sta accanto.

«Qui si canta tutti insieme: i coristi, gli accompagna­tori seduti appena dietro. Ci si diverte insieme», spiega Marta Vinci. Per rendersi conto che è proprio così, basta osservare il signore in seconda fila che canta Voglio vivere così con trasporto e accento sudamerica­no. Si chiama Persi, viene dal Perù ed è il badante

di Raffaello: oggi Raffaello non c’è, ma lui sì. «Lo accompagno a tante attività, ma questa è la sua preferita. E anche la mia: così vengo anche quando lui non può. Le canzoni non le conoscevo, solo Azzurro forse l’avevo già sentita».

Le sessioni di canto iniziano sempre con un abbraccio: quando i coristi arrivano, i maestri e gli operatori volontari li salutano con un contatto fisico che – noto – sono soprattutt­o i malati a cercare. Toccarsi è come dire: tu esisti, e anche io. Poi vengono distribuit­e le targhette con i nomi: le devono indossare tutti, è la regola anche se ci si conosce da anni. I soli volti che cambiano di anno in anno sono quelli dei ragazzi volontari, spesso scout. «Quando cominciano, sanno che è importante che vengano sempre, perché i malati si affezionan­o molto a loro. È affascinan­te vedere come la fragilità dell’adolescenz­a e quella della malattia in qualche modo si comprendan­o e si confortino», dice la presidente­ssa dell’associazio­ne.

A gestire la parte musicale sono in tre: Giulio, pianista; Natalia, maestra di coro, e Guglielmo, musicotera­peuta. «La performanc­e è solo un pretesto per attivare un contatto emotivo, un modo per consentire loro di arrivare alle parole che credevano dimenticat­e, e a una storia – la loro – cui fanno fatica ad accedere: la canzone può essere un modo per fare queste cose», dice Guglielmo, che utilizza la musicotera­pia in svariati contesti: dalla neonatolog­ia alle case di riposo.

Lavorare con gli Alzheimer di questo grado (da lieve a moderato) è per lui una sfida molto bella: «Non è possibile dimostrare scientific­amente quanto lo stato di benessere che raggiungon­o qui dentro permanga anche dopo. Ma so, perché lo vedo, che arrivano in un modo e se ne vanno in un modo diverso, e migliore». All’inizio lavoravano con i testi delle canzoni scritti, ma Guglielmo si è accorto che non c’era bisogno di quei fogli perché le parole se le ricordano. E se c’è qualche incertezza basta guardare lui, che con piccoli gesti quasi in codice suggerisce le strofe. La sensazione, ascoltando­li, è che in questa ora di canzoni si aprano delle porte sui loro mondi solitament­e silenziosi e misteriosi.

«Aldo sta in una dimensione tutta sua, in cui quasi tutto gli è indifferen­te», racconta Giuliana, sua moglie. «Quando gli chiedo: ma com’è? Lui mi dice che è bella e io sospetto che voglia dire che è senza problemi». Aldo all’inizio non ci voleva venire al coro «perché ha il vocione», dice Giuliana. «Ma ha trovato il coraggio di cantare e qualche volta ha fatto dei pezzi da solista e io mi sono tanto commossa a guardarlo. Mi sembra che qui sia rispettata la sua dignità di persona, una cosa a cui io tengo tantissimo. Questi malati sono, e continuano a essere, persone». Cantare piace anche a Giuliana, che si occupa di suo marito da sola: «Mi sembra che aiuti anche noi parenti a tirare fuori qualcosa che, sono sicura, pesa dentro a tutti».

Carla ha fatto per tanti anni la volontaria presso un centro dove, ironia della sorte, adesso è in cura. È lì che suo marito Gianni ha sentito parlare di SonoraMent­e. Vengono da un anno e mezzo e Carla dice che questa esperienza di voce, abbracci e risate l’ha cambiata: «Avevo smesso di parlare con le persone, adesso lo faccio di nuovo». Tra le persone sedute in seconda fila, quella degli accompagna­tori, c’è anche Antonietta. È la prima volta che è qui da sola: Francesco, il suo compagno di una vita, è mancato a metà maggio, dopo che i figli di lui l’avevano portato in una struttura in Calabria, perché dicevano che Milano è troppo cara. «Ci siamo salutati il 20 marzo, con un abbraccio veloce in cucina. Pensavo che l’avrei rivisto e invece, da quando è partito, non sono riuscita ad avere più sue notizie perché per la legge non eravamo parenti. Due mesi dopo ho ricevuto un sms con scritto “condoglian­ze”». Francesco amava tantissimo venire al coro, adorava cantare, soprattutt­o Il cielo in una stanza che «sembrava l’avesse scritta lui». Antonietta ha deciso di continuare a frequentar­e il coro in memoria di Francesco. Non è facile, ma stringe i denti.

Quando la lezione è finita, c’è la merenda alla quale si contribuis­ce tutti come si può: una crostata, un pacchetto di

patatine, una coca-cola. Il fatto che il coro sia gratuito rende la sua sopravvive­nza una sfida periodica. «Non abbiamo sponsor né aiuti: purtroppo l’anziano malato non è un genere che attira molto», dice Marta. «Il Comune di Milano non ci ha nemmeno ammessi alla Rete Alzheimer, dicono che non ci occupiamo del problema da abbastanza tempo. Però la gente ce la mandano, attraverso il numero verde. Una situazione un po’ paradossal­e». Prima di andare via ci si abbraccia tutti di nuovo: io esisto,

tu esisti. Felicia si dimentiche­rà di tutto e tra sette giorni farà ad Aldo la stessa domanda di ogni mercoledì. E sentendo la risposta sarà felice. Proprio come il suo nome.

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 ??  ?? CANTO QUINDI ESISTO Nato nell’ottobre 2016 su iniziativa di Marta e Maria Virginia Vinci e di Marzia Colombo, SONORAMENT­E è un progetto di musicotera­pia e CANTO CORALE rivolto a malati di Alzheimer e ai loro parenti o badanti (waltervinc­ionlus.it). Qui sopra, due membri del coro: Carla e il marito Gianni.
CANTO QUINDI ESISTO Nato nell’ottobre 2016 su iniziativa di Marta e Maria Virginia Vinci e di Marzia Colombo, SONORAMENT­E è un progetto di musicotera­pia e CANTO CORALE rivolto a malati di Alzheimer e ai loro parenti o badanti (waltervinc­ionlus.it). Qui sopra, due membri del coro: Carla e il marito Gianni.
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IL CIELO IN UNA STANZA Gli incontri di SonoraMent­e si svolgono OGNI MERCOLEDÌ. La partecipaz­ione è gratuita: chi vuole porta qualcosa per la merenda di fine coro.

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