L’evoluzione del bomber
Molte delle cose che indossiamo sono nate in origine per vestire corpi militari, dalla polizia alla marina, con l’effetto collaterale di aver fatto quasi sempre da incubatore di «creatività» per la realizzazione di capi che ancora oggi dettano legge, magari perché fatti propri da sottoculture che con l’ambiente militare c’entrano poco o nulla.
Il bomber, capo feticcio di sportivi e correnti tra le più varie, dagli skinhead all’ambiente hip hop, si chiama così in riferimento a un aereo da combattimento. Forma, materiali e componenti avevano l’obiettivo di riparare i piloti del Royal Flying Corps, una branca dell’aviazione britannica impegnata durante la Prima guerra mondiale. La sua funzione primaria era quella di fornire riparo dal vento, dal momento che si operava a bordo di velivoli aperti.
Andando avanti di quasi mezzo secolo, negli anni ’50, in Massachusetts, Louis Blauer, produttore di giacche da pioggia e cappotti sportivi nell’area di Boston, fu ingaggiato per realizzare le divise della polizia di Stato, e in seguito anche quelle di esercito, marines e aviazione.
Nel 2001 Blauer (sopra, un bomber di pelle della collezione Autunno-Inverno 2019) ha fatto il suo ingresso nel mondo della moda, siglando un accordo di licenza con Fgf Industry che porta nel casualwear materiali, design e performance studiati per le forze dell’ordine.