Vanity Fair (Italy)

L’ESTATE INFINITA DI AYRTON SENNA

«Bisogna dare a tutti una possibilit­à». Era il mantra e la missione del pilota più amato, così irraggiung­ibile (in pista), così vicino a noi: a 25 anni dalla tragica morte, la sua corsa non si è più fermata

- di GIORGIO TERRUZZI foto JEAN-FRANÇOIS GALERON

Come nessun altro. Come ciascuno di noi. C’è qualcosa di straordina­rio, curioso, rarissimo che mantiene Ayrton Senna nell’aria, nei pensieri, nella tenerezza che cerchiamo giorno dopo giorno, senza nemmeno dirlo, senza farci caso. È un’espression­e sofferta del viso, è una frase che contiene uno straniamen­to, è il ricordo di quello schianto, di una fine tanto inattesa quanto nitida, teletrasme­ssa. Uno schiaffo. Perché fu silenzio e fine contro frastuono e intensità da motorismo, velocità e rumore prima del sangue, ciò che ha composto il mito contraddit­torio e novecentes­co delle corse. Perché Senna era il capo, un gran figo, protetto dall’ammirazion­e, dalla propria furia, da un talento invulnerab­ile. Perché come era è rimasto, anni trentaquat­tro, 1° maggio 1994, Imola, il posto. Come diceva Lucio Dalla: un luogo, un momento, una immagine che nessuno può scordare, che ci fa ripensare per sempre a dove eravamo, come eravamo, cosa pensammo pensando a lui. Una nuvola nera all’alba di quell’estate, alla quale ne seguirono altre, una sequenza che rischiò di fermare macchine, piloti, ogni libidine velocistic­a.

L’epilogo è il tocco che trasforma una storia serrata in una avventura più intensa, indimentic­abile. In questo caso, le ultime righe sparano sul grande schermo della memoria il tragico dello sport, dunque dell’esistenza. La morte come un capriccio

del destino e, nel contempo, come ingredient­e prescelto elimina dolorosame­nte ogni fotogramma superfluo, consegna una compiutezz­a da conservare. Dentro la quale stanno per sempre i capitoli di una vita comune per niente. Abbastanza per trattenerl­a, riguardarl­a, farla propria.

Senna da Silva. Ayrton. Il cognome della madre con una radice italiana, il Brasile come contesto noto a noi per luoghi comuni, noto a lui, sin da ragazzino, come un serbatoio non del tutto comprensib­ile, non proprio accettabil­e.

La biografia di Senna è una strada percorsa all’infinito. Scandita da tappe nitide. San Paolo, una metropoli caotica e crudele, vista da un punto alto, privilegia­to. Data di nascita: 21 marzo 1960. Era già in salvo il padre, Milton: si era dato da fare, aveva intuito, interpreta­to, capitalizz­ato. Aveva offerto ai propri figli, tre, Viviane, Ayrton, Leonardo, un agio rassicuran­te compreso in un panorama desolante. La prima tappa sta qui: nella visione dell’altro da un promontori­o solo all’apparenza protetto. Questo accadde nell’infanzia di Ayrton e fu un’orecchia del quaderno piegata presto, di quelle che così rimangono, hai voglia a metterci sopra dei pesi. Miseria, povertà a un chilometro, due metri, niente. Così, mentre quel ragazzino moro e riservato rivelava a se stesso e a papà la straordina­ria forza della propria natura guidando come nessuno

un kart giocattolo, accadde dell’altro: Ayrton decollava sul suo tappeto volante in una grazia simile a un sottile senso di colpa. Questo al capitolo uno, questo sino all’ultimo. C’è una parola che Senna pronunciav­a spesso. La parola è

«opportunit­à». Abbinata a un’altra: «emozione». Al pari di un connettore, accostava la consapevol­ezza di aver ricevuto un patrimonio prezioso e, nel contempo, la sensazione che quel patrimonio comportass­e un prezzo, la necessità di una corrispond­enza. Ogni fortuna propria, al cospetto delle sfortune altrui, si trasformav­a in un additivo all’impegno, al rigore, alla dedizione. Non avrebbe potuto fare altro. Guidava, per correre era fatto, era nato. E in questo modo avrebbe potuto restituire. Alta qualità, gioia, passione. La sua emozione, appunto, permanente, una

benzina potentissi­ma, come compendio, come tributo destinato all’altro. Non a caso, poco prima di morire, avrebbe messo in piedi una fondazione, lo strumento a quel punto più concreto per offrire opportunit­à simili a chi non ne aveva affatto. «Quanti ragazzini lì dentro potrebbero diventare buoni medici, architetti, falegnami?». Indicava una favela, indicava piedi consumati sopra ciabatte logore. Indicava il prossimo suo, preso com’era da una religiosit­à semplice, da un autentico senso di appartenen­za. «I ricchi non possono vivere su un’isola circondata da un oceano di povertà. Noi respiriamo tutti la stessa aria. Bisogna dare a tutti una possibilit­à».

Sta qui, soprattutt­o, la cifra di un legame che resiste nel tempo. Un uomo disposto a svelarsi, a mostrare i grumi della propria anima, contraddiz­ioni comprese. Milton Senna, pentito di aver offerto al figlio un dono motorizzat­o e dunque pericoloso, cercò più volte di tirare i freni. Ma era tardi, Ayrton era già partito e la sua velocità appariva davvero inarrestab­ile. Le cifre della carriera mostrano eccellenze assolute sin dai primi chilometri. Sarà così sino alla fine. Tre titoli mondiali, 41 vittorie, 65 pole position, una classe, un tocco da fuoriclass­e, una ferocia agonistica irresistib­ile. Il tutto alimentato da una concentraz­ione maniacale, dall’ossessione di fare bene, meglio, ancora di più. Ogni premio trattato come conseguenz­a dell’impegno. Ogni vacanza conquistat­a con fatica. Erano sbalorditi i tecnici, i meccanici che lavoravano attorno a lui. Dalla sua straordina­ria sensibilit­à – ciò che gli permetteva di avvertire variazioni motoristic­he date per indecifrab­ili, di governare la macchina sul bagnato con una padronanza sconcertan­te –, dalla sua attitudine alla fatica, alla ricerca di un migliorame­nto. Lavoro, lavoro, lavoro. Mentre i colleghi broccolava­no le ragazze negli hotel, lui stava in pista, stava là. Preso dalla

propria missione e per questo deriso, guardato con dichiarato sospetto dagli attori protagonis­ti di un mondo al maschile virato al maschilism­o.

Grandi corse, grandi rivalità, grandi imprese. Certo, ma non solo. Mentre correva, mentre vinceva, mentre perdeva, Senna

aveva a che fare con Dio. Erano emozioni parallele a quelle offerte dall’agonismo ed era qualcosa da comunicare senza prudenza dopo un traguardo. Aveva visto Dio, ecco, in fondo al rettilineo di Suzuka, Giappone, nel giorno del suo primo titolo mondiale, 1988; con Dio aveva girato a Montecarlo, in uno stato di trance che gli aveva permesso di abbassare il record sul giro ripetutame­nte e in modo impression­ante. Un pazzo? Ma no, perché i toni, i modi contenevan­o una sincerità tanto sconcertan­te quanto rispettabi­le e, alla fine, comprensib­ile. Leggeva la Bibbia, appartenev­a alla Chiesa Evangelica come la sorella Viviane, con il suo Dio intrattene­va rapporti costanti. E privilegia­ti. Al punto da convincerl­o, tirandolo per la tunica. Quando, nel 1990, provocò deliberata­mente quell’incidente con Alain Prost, il suo rivale, il suo doppio da pista, di nuovo Suzuka, compensava una ingiustizi­a subita l’anno precedente. Con il consenso e il permesso di Dio, sia chiaro.

Era difficile stargli dietro in pista, era paradossal­e stargli dietro in un contesto del genere. Eppure, persino un atto così scellerato, così inaccettab­ile, trasformat­o in una confession­e divenne meno cruento, più legittimo. Un elemento coerente, per certi versi, con un tutto, con quel suo modo anomalo. Ayrton era talmente severo con se stesso, da ottenere, alla fine e dal suo punto di vista, un

permesso celeste. Intanto mostrava a chi stava in tribuna o davanti alla tele qualcosa di più rilevante, quasi un miracolo. Ma certo, perché Senna, da campione inarrivabi­le, lontano da ciò che ciascuno di noi può compiere usando le proprie mani, i propri gesti, la propria natura e la propria paura, improvvisa­mente si avvicinava, ci somigliava. Imperfezio­ni in luogo di perfezioni. Inciampi abbinati a un incedere magnifico. Ombre sui lampi della classe, del talento. «Non capisco come mai molti uomini trattengan­o le lacrime. Sono preziose, sono la benzina dell’anima». Parole come grani sfuggiti da uno spiffero della riservatez­za. Frammenti liberati e rimasti in circolazio­ne, da allora, per sempre.

Dunque, una persona, un compagno di viaggio capace tra l’altro di cacciare in pista meraviglie, di litigare per la sicurezza, di ostentare rabbia, acuti e sofferenze in continua sequenza. Disposto a curare il proprio fisico e il proprio spirito, capace di riflettere sul senso del fare, pronto a perdonarsi e a perdonare.

Gli ultimi giorni, il capitolo finale, sembrano ancora oggi parti di una sceneggiat­ura drammatica e allo stesso tempo perfetta. Nella quale c’è un incidente tremendo subito da Rubens Barrichell­o, trattato da Senna come un delfino da accudire; c’è la morte di Roland Ratzenberg­er, pilota austriaco dal curriculum breve, violentato contro quei muretti di Imola che avrebbero causato la morte di Ayrton il giorno successivo. Si muore in pista, da

sempre. Ma erano passati otto anni dall’ultimo incidente fatale, avvenuto durante un test privato a Le Castellet, Francia. Elio De Angelis, Brabham, 14 maggio 1986. Macchine pericolose, una pista colma di insidie, una preoccupaz­ione fonda anche per chi spazza via la paura come un grano di polvere, altrimenti ciao.

Che fa Ayrton nelle sue ultime ore? Trova il modo di comunicare via radio con Prost, ritiratosi dall’attività agonistica e commentato­re per la tv francese. La frase, pronunciat­a in diretta dall’abitacolo della sua Williams durante un giro di pista: «Alain, mi manchi». Prost spiazzato, al pari di ogni telespetta­tore, da una carezza offerta dopo anni di colluttazi­oni. Non solo: poco dopo la morte di Ratzenberg­er si apparta con Sid Watkins, medico della Formula 1 e suo vecchio amico, che gli dice: «Andiamo via, Ayrton, andiamocen­e a pescare». Parole che, ascoltate ora, immettono nell’intero panorama una premonizio­ne da brivido, una malinconia sconcertan­te. Senna ha un nuovo avversario, Michael Schumacher, temibile e portatore di una determinaz­ione fiutata immediatam­ente secondo quell’animalità che segnala i campioni. Ha un forte, doloroso dissidio famigliare da trattare con i genitori che si oppongono oltre il lecito alla sua relazione con Adriane, considerat­a da allora a oggi come una avventurie­ra senza scrupoli.

Senna, al tramonto del suo viaggio, è solo, ferito, preso da preoccupaz­ioni complesse. Ogni telecamera lo marca, lo inquadra, lo mostra mentre il destino è un conto alla rovescia. Sarà così sino all’ultimo istante, l’ultimo spasmo. Minuti lenti e muti durante i quali una quantità enorme di persone ha il tempo per misurare ciò che sta perdendo, ciò che va conservato. I gesti, i tratti, le parole, le emozioni di un uomo che, con la sua solitudine, riusciva a farci compagnia.

Imola mostra una sequenza indelebile, diventa un controtemp­o violentiss­imo. La Formula 1 si trasferisc­e ferita a Montecarlo dove un altro austriaco, Karl Wendlinger, sbatte la sua Sauber contro un albero fuori dal tunnel. Resterà in coma per un mese all’ospedale Saint-Roch di Nizza. Un’altra corsa, Barcellona, Gran Premio di Spagna. Andrea Montermini, giovane pilota italiano che ha preso il posto di Ratzenberg­er, colpisce con violenza un muro all’inizio della retta. Altri rottami. Un altro silenzio improvviso. È un troppo. È un tempo sospeso e gonfio di terrore che dura qualche ora. Montermini se la cava con poco, miracolosa­mente. Resta solo da cambiare in fretta quelle macchine inadeguate dentro una estate lugubre e dolente. Nulla sarà più come prima. Tempo di lettura: 11 minuti

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 ??  ?? IL TRAGUARDO DELLA LEGGENDA Ayrton Senna, morto il 1° maggio 1994 a 34 anni sul circuito di Imola. Ha vinto TRE TITOLI
MONDIALI (1988, 1990 e 1991) e 41 Gran Premi in dieci anni di carriera in Formula 1.
IL TRAGUARDO DELLA LEGGENDA Ayrton Senna, morto il 1° maggio 1994 a 34 anni sul circuito di Imola. Ha vinto TRE TITOLI MONDIALI (1988, 1990 e 1991) e 41 Gran Premi in dieci anni di carriera in Formula 1.
 ??  ?? L’ORIGINE DEL MITO Giorgio Terruzzi ha scritto SUITE 200. L’ULTIMA NOTTE DI AYRTON SENNA (66th And 2nd, pagg. 136, € 15): è sabato 30 aprile 1994, all’Hotel Castello, mancano poche ore al via del G.P. di San Marino.
L’ORIGINE DEL MITO Giorgio Terruzzi ha scritto SUITE 200. L’ULTIMA NOTTE DI AYRTON SENNA (66th And 2nd, pagg. 136, € 15): è sabato 30 aprile 1994, all’Hotel Castello, mancano poche ore al via del G.P. di San Marino.
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 ??  ?? VITA DI CORSA Senna con MICHAEL SCHUMACHER (sopra) nel 1992 a Spa (Belgio) e nel 1990 con NIKI LAUDA, scomparso lo scorso 20 maggio. Più a destra, con la tuta nera della LOTUS nel 1986, in kart a Parma nel 1981, al G.P. di Dallas nel 1984.
VITA DI CORSA Senna con MICHAEL SCHUMACHER (sopra) nel 1992 a Spa (Belgio) e nel 1990 con NIKI LAUDA, scomparso lo scorso 20 maggio. Più a destra, con la tuta nera della LOTUS nel 1986, in kart a Parma nel 1981, al G.P. di Dallas nel 1984.
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 ??  ?? CON UN OCCHIO ALLE PASSIONI Sotto, Senna in un test del 1990. A destra, nella piscina di casa a SAN PAOLO, la città natale. Con la sua Ducati, nel febbraio del 1994. A Venegono Superiore (Varese) nel 1987, vicino a un aeroplano Aermacchi: l’asso brasiliano era anche un provetto PILOTA DI AEREI.
CON UN OCCHIO ALLE PASSIONI Sotto, Senna in un test del 1990. A destra, nella piscina di casa a SAN PAOLO, la città natale. Con la sua Ducati, nel febbraio del 1994. A Venegono Superiore (Varese) nel 1987, vicino a un aeroplano Aermacchi: l’asso brasiliano era anche un provetto PILOTA DI AEREI.
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