Vanity Fair (Italy)

Highlander o Peter Pan?

«C’è sempre una persona che ti può piacere di più». Gué Pequeno, a metà tra Highlander e Peter Pan, ci spiega che la convivenza non fa per lui. E come la disciplina l’ha aiutato a rimettersi in carreggiat­a. Perché il massimo per una rockstar è il controll

- di SILVIA NUCINI foto FABRIZIO CESTARI

Nel sabato del villaggio di Gué Pequeno non c’è nessuna donzellett­a che vien dalla campagna, ma 2 milioni 431 mila 367 ascoltator­i mensili di Spotify, numero che lui legge sul cellulare

con una certa soddisfazi­one e quel filo di ansia che accompagna – racconta – i giorni che precedono l’uscita di ogni suo disco. «Sono questi i momenti più belli, quelli in cui niente è ancora successo. Poi, arriva la realtà».

Di realtà in trentotto anni di vita e 22 di carriera, ne ha vista parecchia. E adesso che la musica si misura in visualizza­zioni, download, like, commenti e utenti, fare i conti con quella virtuale è un po’ diverso, «un po’ più crudele», dice lui. E racconta che solo qualche giorno fa spiegava Spotify a un neofita Gigi D’Alessio che chiedeva: ma com’è ’sto fatto? È buono?

Buono o non buono, Cosimo Fini in arte Gué sa, grazie a una specie di istinto che l’ha guidato dai palcosceni­ci dei centri sociali fino alla poltrona girevole da giudice dell’ultima edizione di The Voice, che solo correndo un po’ più veloce dei cambiament­i si può diventare quello che lui è diventato per la musica rap. Cosa esattament­e? Chiedo. Si sistema gli occhiali gialli, tocca la testa di ghepardo ricoperta di diamanti che porta al mignolo; «Highlander», mi risponde.

Qual è il segreto di un highlander? «La risposta un po’ retorica, ma vera, è che il lavoro e il sacrificio premiano. Tre mesi fa ho fatto un concerto sold out al Forum di Assago. E c’era, come dice il mio agente, tutta la Milano che conta. Ma soprattutt­o c’erano dai tredicenni ai trentenni». In tutti questi anni ha mai avuto paura di perdere il tocco magico? «È il mio terrore. L’ho visto succedere anche ad alcuni miei miti. Io tengo duro, anche se non posso competere coi numeri che fanno quelli che piacciono ai teen: Capo Plaza è cinque volte disco di platino ma mia madre non l’ha mai sentito nominare». Perché un certo genere di musica, il suo nello specifico e la variante trap, è diventato patrimonio dei ragazzini?

«Quando ero piccolo io c’era la musica zarra, e si ascoltava quella. Adesso c’è la trap che è melodica, ma soprattutt­o ha tutta una sua estetica. Da cosa dovrebbero essere incantati i ragazzini, da Tiziano Ferro e Ramazzotti? O da Sfera Ebbasta che è tutto colorato? Grazie ai ragazzini è diventato accettato e accettabil­e che nelle canzoni si parli di droga, fighe e soldi. Quando lo facevamo coi Club Dogo, anni fa, ci insultavan­o. Adesso mi mettono in braccio i figli e mi dicono che sono fan. Il che va bene, perché i bambini fanno muovere il mercato, però se ascoltano roba che non va bene per loro sono un po’ cazzi dei genitori, non miei. Questa rivoluzion­e che c’è stata dimostra che nella vita tutto è possibile: Salvini al governo, un comico che fa un partito, Fedez che pare un genio». Com’è stata l’esperienza di The Voice? «Agli inizi dell’era dei talent ero diffidente, poi mi è diventato chiaro che per esistere musicalmen­te o fai rap o partecipi a un talent. Il king assoluto di questa edizione è stato Gigi D’Alessio, ma anche io credo di esserne uscito bene. In questi tempi in cui tutto è fake – i finti ricchi, le finte belle su Instagram – io ho portato la mia competenza musicale che è vera. In più ho dimostrato che anche un rapper sa parlare e non dire solo “bitch”». Non tutti. «Io sì, sono un misto: un po’ di strada, un po’ di cultura che mi viene dalla mia famiglia. I miei genitori facevano i giornalist­i». Come è riuscito a tenere insieme queste due anime? «Non ho cercato la strada per ribellarmi alla famiglia: anche negli anni più turbolenti dell’adolescenz­a, ho sempre avuto un buon rapporto con i miei, soprattutt­o con mia madre perché i miei erano separati di fatto e mio padre (Marco Fini, inviato e studioso della Resistenza e del terrorismo, ndr) non viveva con noi. Quello che mi appassiona­va era, per citare il maestro, la vita spericolat­a. E alla fine l’ho avuta, ma senza rischiare di andare in galera». Come l’ha scampata? «Ho fatto come un attore che si prepara per una parte: mi sono immerso in certe cose, ma sono rimasto sempre me stesso. Ed è stato un imparare reciproco: credo di aver insegnato qualcosa a molte persone di strada che ho conosciuto». Nella sua vita spericolat­a c’è anche la droga. «La droga, per me, non è mai stata un mezzo per stimolare la creatività e non voglio dire di non essere debole, perché invece lo sono. Ma credo di essere stato capace, in qualche modo, di gestire la situazione: diversamen­te, non saremmo qua a parlarne. Ho tanti amici che non hanno avuto questa fortuna e ora sono in galera, in comunità o morti. Non posso dire di avere un rapporto sereno con la droga, ma almeno è ludico. Quando capisco che esagero e perdo il controllo riesco a dire basta». Che cosa la aiuta a rimettersi in carreggiat­a? «La disciplina: svegliarmi presto, fare pugilato. Per me il massimo della rockstar non è lo sballo, ma il controllo. Però, in fondo in fondo, mi affascina Robbie Williams che è un dipendente nella testa, come me». Quali sono le sue dipendenze? «Se non mi drogo e non bevo, allora devo comprare i vestiti, oppure devo fare sesso, oppure riempirmi di tatuaggi». Ma questo fare fare fare poi la appaga? «No. Penso che la felicità non te la portano le cose, ma forse qualcuno. Ho una bella casa, un macchinone, i vestiti, ma…». La bella casa è a Lugano. Vive lì per motivi fiscali? «Purtroppo la Svizzera non è più un paradiso per le tasse. Vivo lì perché è un posto tranquillo: se qualcuno vuole venire a rompermi i coglioni deve farsi il confine e cercarmi in montagna». Vive da solo? «Ho provato varie convivenze, ma non ha mai funzionato. Anche pochissimo tempo fa, stavo per fare una famiglia, ma poi non ce l’ho fatta. Perché una donna, a un certo punto e giustament­e, si aspetta un impegno che non posso garantire. In più adesso c’è tutto questo controllo: eri online, dov’eri, con chi eri. Io alla fine non credo nella monogamia, né nella sincerità totale. C’è sempre una persona che ti può piacere di più, anche solo per una sera, da qualche parte. E non è una questione maschile: le donne sono anche peggio. Lo so per esperienza». Si è mai veramente innamorato? «Almeno 4 o 5 volte. Ma poi finisce. E poi io faccio questo lavoro che mi fa stare sempre in mezzo ai ragazzi e mi ha fatto diventare Peter Pan: mi piacciono solo quelle giovani. Quando vedo le mie ex compagne di classe che erano i miei sogni erotici, adesso mi sembrano incubi. Penso: bello incontrars­i, ma adesso vai, vai, spingi il passeggino». Lei un figlio l’ha mai voluto? «Mi è capitato, come a molti, di affrontare la brutta esperienza dell’interruzio­ne volontaria di gravidanza. Con il senno di poi mi dico: meglio così. Dei figli penso che possano portare tanta felicità, ma non credo, da quello che ho visto, che riescano a cambiare davvero la vita. Ho amici che ne hanno due o tre e sono peggio di prima, con l’aggravante che devono fare tutto di nascosto dalla moglie. Non potrei vivere così, che non vuol dire che devo andare a letto con tutta Europa, bere una piscina o fumarmi il Bosco Verticale. Vuol dire che non voglio avere ansia e sensi di colpa». Verso se stesso o verso gli altri? «Verso tutto. Il mio è un senso di colpa cristiano anche se non sono cristiano. Penso spesso: oddio e mia madre cosa penserebbe?». E che cosa pensa sua madre? «Penso sia contenta. Da quando mio padre non c’è più la porto un po’ dappertutt­o, faccio un po’ il figo: mi piace farle vedere quello che faccio. Lei dice la sua, spesso mi insulta per i testi». I suoi testi non sono mai esplicitam­ente politici: lo fa per non perdere quel pubblico che la pensa in modo diverso da lei? «È vero il contrario: in questo momento va molto fare gli impegnati e gli alternativ­i. Io preferisco parlare delle cose che vedo e che so. Magari dico cose politiche con delle metafore o tra le righe. Poi se non tutti le capiscono, pazienza». Che rapporto ha con il suo occhio mezzo chiuso per la ptosi palpebrale? «Sereno. Non ho mai pensato di correggerl­a perché è il mio segno distintivo. Su Instagram mi scrivono molte mamme che hanno figli con lo stesso problema e mi chiedono un consiglio, a loro dico sempre: va bene anche così. Io ero un bambino timido, mi prendevano per il culo, ma non è stato un trauma. Tra l’altro mio padre aveva un occhio di vetro e grazie a lui ho capito che i nostri sguardi strani erano una cosa figa. Che ha fatto sì che io osservi molto, pure con la coda dell’occhio». Suo padre non c’è più: ha qualche rimpianto? «L’avevo ritrovato negli ultimi tempi, ci frequentav­amo di più e facevamo delle cose insieme. Mi dispiace però che non abbia visto i miei momenti più belli».

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 ??  ?? GUÉ TRA AMICI E MUSICA 1. Con JAKE LA FURIA, 40 anni, nei Club Dogo. 2. Con SFERA EBBASTA, 26, alle sfilate milanesi. 3. A E POI C’È CATTELAN (EPCC). 4. Con MAHMOOD, 26, al Forum di Assago. 5. Con i colleghi di THE VOICE OF ITALY: Gigi D’Alessio, 52, Elettra Lamborghin­i, 25, e Morgan, 46.
GUÉ TRA AMICI E MUSICA 1. Con JAKE LA FURIA, 40 anni, nei Club Dogo. 2. Con SFERA EBBASTA, 26, alle sfilate milanesi. 3. A E POI C’È CATTELAN (EPCC). 4. Con MAHMOOD, 26, al Forum di Assago. 5. Con i colleghi di THE VOICE OF ITALY: Gigi D’Alessio, 52, Elettra Lamborghin­i, 25, e Morgan, 46.
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