Da Meg Ryan al rock ( foto)
Dopo una carriera di successi e di eccessi (ne sa qualcosa Meg Ryan), Dennis Quaid oggi si dichiara felice, allontana la pensione e si dedica anche alla musica. Perché ha ritrovato un vecchio amore, che aveva scoperto in un negozio di ricambi per auto
Dennis Quaid canta rock’n’roll e perde il controllo: grida, si
dimena, finisce la canzone suonando la tastiera con le gambe e poi a spintoni col sedere. Non è una scena di Great Balls of Fire! - Vampate di fuoco, il biopic del 1989 in cui interpretava Jerry Lee Lewis: siamo a un concerto di Dennis Quaid and the
Sharks al Belly Up, a due passi da San Diego. «Il rock è oltraggioso, inconscio, non si ha scelta su ciò che accade sul palco», ammette Dennis William Quaid, 65 anni, fisico muscoloso, la camicia strappata dalle danze con la chitarra elettrica e pantaloni dal taglio vintage con squali a brillantino disegnati sulle gambe. Pochi mesi fa gli Sharks hanno pubblicato il primo album, Out
of the Box. «Ora viene prima la musica e la carriera al cinema dovrà aggiustarsi di conseguenza», spiega l’attore musicista, che in passato ha contribuito anche a colonne sonore (The Big Easy). Quest’anno lo vedremo sul grande schermo in A Dog’s Journey e nel thriller The Intruder, e sarà nella terza stagione della serie Goliath che ha appena finito di girare a Los Angeles, dove vive. Negli anni ’80, quand’era legato a Meg Ryan (sua seconda moglie dal 1991 al 2001), ha attraversato un periodo pesante, di dipendenza dalle droghe. Oggi invece, appena fidanzato (secondo i gossip hollywoodiani) con la 26enne Laura Savoie, ammette: «Non sono mai stato così felice, ho più fuoco in pancia ora di quand’ero giovane». Perché dedicarsi alla musica solo adesso? «Prima ero impegnato con il cinema e la famiglia, ho avuto due gemelli nel 2007 (dalla terza moglie Kimberly Buffington, ndr). Adesso i figli sono cresciuti e non mi affidano più ruoli da protagonista, che per me è una gran cosa: lavoro a un film per due o tre settimane, poi mi tolgo dai piedi». Quando ha iniziato a suonare? «A 12 anni ho comprato una chitarra in un negozio che vendeva ricambi per auto. Volevo far colpo sulle ragazze e non avevo il fisico da giocatore di football, così ho cominciato a scrivere canzoni». Come nasce la band? «Anni fa, grazie a un concerto di Harry Dean Stanton, per me una figura paterna e tra le prime persone conosciute quando sono arrivato a Los Angeles nel 1975. Tramite lui ho conosciuto il nostro chitarrista Jamie James: ci siamo presi subito, amiamo il rockabilly». In scaletta con gli Sharks suona ancora Great Balls of Fire... «Ricordo che sul set del film avevo Jerry Lee Lewis come insegnante, mi osservava da sopra le spalle e mi sgridava di continuo: stai sbagliando, figliolo!». Che cosa ha imparato da lui? «Che il rock’n’roll è meglio lasciarlo sul palco: cinque mesi dopo Great Balls of Fire sono entrato in un rehab». Si era immerso troppo nella parte? «In un certo senso. Finché ho capito che stavo perdendo ogni cosa che avevo costruito nella vita, così mi sono rimesso in sesto e, manco a dirlo, le cose sono peggiorate! Poi però sono andate sempre meglio e oggi sono più felice che mai: ora apprezzo ogni cosa». Ha avuto un’epifania? «Mi sono guardato intorno e ho pensato: dov’è tutta la gente che è arrivata al successo ai miei tempi? Molti devono essersi arresi per strada. Oppure vedo chi continua il proprio mestiere senza crederci più: io non potrei mai riuscirci, ho bisogno di godermi tutto ciò che faccio. E non intendo fermarmi, non sono tipo da pensionamento». Si riposa mai? «Andrò in vacanza in agosto. Il lusso più grande è starmene a letto, possibilmente in compagnia di una donna». Preferisce il ruolo del buono o del cattivo? «Il cattivo ovviamente, mi sono divertito da matti sul set di The Intruder, è stato delizioso. Dopo ogni ripresa, man mano che la situazione diventava più assurda, ci facevamo grosse risate dietro le quinte». Presto la vedremo anche nei panni di Ronald Reagan, e non è la prima volta che le offrono il ruolo di un presidente... «Ancora non abbiamo una data per iniziare a girare, ma l’impegno è preso». E Donald Trump come lo interpreterebbe? «Non mi ci vedo proprio. Comunque non do giudizi quando entro nella parte per un biopic, cerco solo di catturare l’essenza di una persona, mi concentro sui fatti personali accaduti da bambino, in altre parole penso ai loro segreti». Il prossimo passo con la band invece? «Ho già materiale per un altro paio di album, torneremo in studio presto. Ultimamente sono prolifico: scrivere canzoni è una specie di malattia, un prurito fastidioso che devi assecondare. Vado spesso a Nashville, è lì che la musica sta realmente accadendo, adoro l’atmosfera che si respira». Ovvero? «Non è una città che bada al politicamente corretto, la gente è più rilassata, non si vergognano a ubriacarsi come succede a Los Angeles, dove se ne vanno dalle feste alle 11 di sera perché non vogliono apparire irresponsabili». Cantare sul palco o recitare su un set: dove rivela più se stesso? «Adoro recitare ma l’unico momento in cui provo davvero soddisfazione è quando si gira, non quando esce il film. Esibirsi con la band invece è una sorta di teatro: sono me stesso ma sono anche un personaggio con una missione: divertirmi! E quando il pubblico restituisce l’amore, è la cosa più bella».