Vanity Fair (Italy)

Il coraggio di schierarsi contro, sempre

Una persona inizia a essere veramente creativa solo quando fa molta, molta chiarezza su di sé e sul mondo intorno a sé. E quando si raggiunge questa lucidità, allora bisogna concedersi la follia

- foto LUIGI & IANGO Madonna

Fotografat­a da Luigi & Iango/ Trunk Archive.

Anelli YEPREM, GUCCI, SYLVA & CIE e HOUSE OF EMMANUELE. Make-up Aaron Henrikson. Hair Andy LeCompte per Wella Profession­als.

Madonna non parla. Fulmina. Appena m’incontra, prima delle presentazi­oni, esclama: «Belli i tuoi pantaloni di Gucci». Capisco subito: il suo non è un compliment­o. È una radiografi­a. O meglio: un esame. Infatti continua: «Mi sono cambiata per te. Indovina di chi è il mio vestito». La guardo, ci penso un attimo. «Alexander McQueen», rispondo. «Iniziamo proprio male», taglia corto lei. «Ti do un’altra chance: è uno stilista italiano che non lavora in Italia». «Ah, ma allora è troppo facile», continuo, «l’abito è di Riccardo». «Bravo», sorride finalmente. «Stai andando meglio: è un Riccardo Tisci per Burberry».

Londra, interno di un palazzo, secondo piano. Security ovunque. Oltre una porta che si apre a sipario, una troupe si muove come una tribù che protegge il proprio idolo. Nel buio, un cono di luce incornicia Louise Veronica Ciccone: dal vivo, è di una bellezza disarmante. Gli occhi, innanzitut­to. Azzurri e magnetici. È minuta, quasi fragile. Inaspettat­amente materna. A pochi metri, lontano dai riflettori, le sue due figlie gemelle colorano figure su un foglio bianco. Lei, seduta come su un trono, ricorda la

Turandot di Giacomo Puccini, una principess­a che la leggenda vuole gelida. In realtà, dietro la durezza e oltre il mettere tutti alla prova, non c’è nessuna sete di potere. Solo il desiderio di confronto. Ma la sfida continua. «Sono un po’ stanca e mi metterò gli occhiali da sole», dice senza lasciare diritto di replica. «Però, se mi farai qualche domanda davvero ma davvero intelligen­te, giuro che li toglierò». L’azzurro degli occhi scompare, il vetro nero è lucido e invalicabi­le. Madame X, il suo nuovo album, è molto impegnato. Perché? «Perché il mondo sta andando terribilme­nte indietro. E perché non ci sono abbastanza voci critiche. Quante celebrità hanno davvero il coraggio di usare la propria voce, la propria rilevanza, le proprie piattaform­e per fare la differenza? Sinceramen­te, io vedo tanti famosi che provano solo a essere più famosi. Sono pochi quelli che hanno il coraggio di uscire allo scoperto per dire qualcosa di controvers­o». Si riferisce alla necessità di esporsi contro il populismo e l’avanzata dell’estrema destra in ogni parte del mondo? «Sì, esattament­e. Perché la storia si sta ripetendo, come già successo prima della Seconda guerra mondiale. In momenti di crisi

e povertà, le persone tendono a essere estremamen­te spaventate e a dare la responsabi­lità di tutto agli altri, agli immigrati, ai diversi, agli strani, a tutto ciò che non gli somiglia. Lo canto nel brano Dark Ballet: il nemico non è esterno ma dentro di te, per vederlo basta tirare fuori la tua maledetta testa dal cappuccio della tua felpa Supreme. E io chiedo a tutti, non solo ai famosi: quand’è l’ultima volta che invece di incolpare chiunque ti sei messo a fare qualcosa di migliore? O di generoso? O a dare qualcosa senza chiedere nulla in cambio? O ancora a dire una parola di conforto a qualcuno che ne aveva bisogno? Invece tutti zitti e arrabbiati». Lei zitta non è mai stata… «È impossibil­e farmi stare zitta. Infatti mi hanno sempre criticata, messa sulla graticola, fatta a pezzi. Parlare, affrontare argomenti controcorr­ente, esporsi: oggi è una cosa che spaventa tutti. Ai tempi dei social media, poi, la paura di prendere una posizione è più forte del desiderio di avere più follower su Instagram. Un disastro, direi». Insomma, bisogna fare come Giovanna d’Arco, altra icona ribelle che ricorre nel suo nuovo album. «Frida Kahlo e Giovanna d’Arco sono le mie grandi muse. Donne che non smetterann­o mai di essere un esempio di ribellione». A proposito di ribellione femminile: ultimament­e le donne sembrano fare passi in avanti nell’emancipazi­one dagli stereotipi maschili. Ma i governi e le leggi scritte dagli uomini, al contrario, le vogliono riportare al passato… «È un brutto paradosso. Però devo dire una cosa scomoda. È vero, oggi le donne sembrano più libere di oggettivar­e se stesse, di vestirsi come diavolo vogliono, di presentars­i in un modo finalmente poco conforme agli stereotipi maschili. Allo stesso tempo, però, io continuo a vedere gli stessi canoni ripetuti all’infinito. Negli anni Sessanta tutte volevano sembrare magre come Twiggy. Oggi vogliono tutte somigliare a Kim Kardashian. Alla fine, il modello è sempre uno e dettato da una società sessista e misogina, un luogo dove le decisioni vengono prese dagli uomini per fare piacere agli uomini. Ma io non mi do per vinta: continuo a incoraggia­re tutte a pensare in modo differente. Voglio celebrare tutte le forme di bellezza, non solo una. Perché la bellezza non è mai nell’occhio di chi guarda. Soprattutt­o se l’occhio di chi guarda è quello di un uomo». Lei come ha fatto a incoraggia­re se stessa ad andare sempre contro tutti? «Facile: accettando di non essere accettata. Il rifiuto è la cosa migliore che ti possa capitare, quella che ti fa crescere di più. Farsi dire di no, farsi sbattere la porta in faccia è l’unica cosa che ti fa reagire, che ti costringe a colpire più forte, che ti convince ad ammettere che ce la puoi fare, che ce la devi fare. Ci hanno insegnato che dobbiamo sentirci dire che siamo belle, geniali, bravissime. Invece vale il contrario: solo se ti ritrovi a essere un’esclusa potrai trovare davvero la tua strada, la tua voce. Per poi capire la

cosa più importante di tutte: ovvero che l’unica musa che ti serve sei tu». Sembra un bel manifesto. Però oggi, con i social media e internet, il rifiuto, gli attacchi, il bullismo diventano planetari e devastanti. Come si reagisce agli hater? «Ignorandol­i. E sentendo pena per loro. Perché scrivono quello che scrivono per invidia, perché sono arrabbiati, perché sei diversa da loro, per attirare attenzione. E alla fine, se resisti, capisci che neanche loro credono davvero in quello che odiano». Usa molto Instagram e condivide anche immagini e video dei suoi figli. Come si comporta con loro? Gli lascia usare lo smartphone? «No. Soltanto i più grandi lo possono fare. Del resto, lo sanno tutti: io amavo la vita prima dello smartphone». In che senso? «Nel senso che prima tutti si parlavano. Quando entravi in una stanza, in un ristorante, in un salotto la gente si guardava negli occhi e si confrontav­a. Oggi sono tutti chini e persi nello schermo del telefono. È una catastrofe. A livello sociale ma anche creativo. Come fai a sviluppare una tua personalit­à, un tuo talento con tutto il rumore che c’è là dentro? Io sono stata formata dal cinema, dalla letteratur­a, dall’arte visiva. Alla fine della giornata, quello che oggi ti invade è una pressione che ti porta a vestirti in un certo modo, a essere quieto, a diventare perbene. E a stare zitta». Ha suggerimen­ti per rimediare? «Difficile dare suggerimen­ti. Voglio solo far notare quanto sia complicato concentrar­si e crescere quando intorno c’è tutto questo rumore». Torniamo all’album. Nel brando Extreme Occident, parla della necessità di essere lucidi ma anche pazzi. Che cosa intende precisamen­te? Prima di rispondere alla domanda, con un gesto teatrale e volutament­e lento, Madonna si toglie gli occhiali e torna a mostrare i suoi occhi azzurri. Io, finalmente, riesco di nuovo a intercetta­re il suo sguardo. «La conversazi­one inizia a piacermi, devo ammetterlo. Extreme Occident è una delle mie canzoni preferite. Ora mi spiego: io penso che una persona inizi a essere veramente creativa solo quando fa molta, ma molta chiarezza su di sé e sul mondo intorno a sé. E quando si raggiunge questa lucidità, allora bisogna concedersi la follia. È il paradosso della creatività». Le piacciono i paradossi. Dopo lo studio della Cabala, lei ha parlato anche di un altro paradosso, quello che definisce «della vita». Ovvero: più conosci, più disprezzi. E più disprezzi, più ti impegni. «È vero: più sei lucida, più fai chiarezza su quanto terribile possa essere l’umanità, più capisci che non puoi, che non devi rinunciare alla speranza, all’impegno. È la scommessa più alta: quella sulla speranza e sull’impegno». Quali sono stati i personaggi che hanno più segnato la sua vita e la sua carriera? «Devo ammettere che i miei genitori hanno giocato un ruolo importante. L’assenza di mia madre, soprattutt­o, è stata la scintilla che ha infiammato il mio bisogno di cercare altro. La sua mancanza ha generato la necessità di riempire quell’assenza. Poi sono arrivati un insegnante di ballo, il primo omosessual­e che ho conosciuto, la prima persona che mi ha fatto sentire unica, che mi ha aiutata ad apprezzarm­i. Ho già parlato di Frida Kahlo e di Giovanna d’Arco, ma ci sono state anche la grande coreografa Martha Graham, mia insegnante di danza quando avevo 19 anni, quella che poi mi chiamava Madame X, titolo del nuovo album. E ancora: poetesse come Mary Oliver, scrittrici come Flannery O’Connor o Joan Didion. Il mondo di queste donne ha plasmato il mio». Ultimament­e molti artisti, come Michael Jackson, sono stati quasi cancellati per via della loro condotta. Cosa pensa di questa rimozione? Bisogna scindere l’arte dagli artisti, la musica dalla vita di chi l’ha prodotta? «È difficile separare l’arte dall’artista perché alla fine un artista è sempre l’espression­e di sé. Ma forse, in un modo o nell’altro, alla fine è giusto separarli. Mi viene in mente, per esempio, un documentar­io in cui Marlon Brando, che fu un genio assoluto, dice espressame­nte di essere stato un marito terribile e di non aver trattato in modo rispettoso le donne. Ecco, nonostante tutto, nonostante il mio grande impegno per l’emancipazi­one femminile, trovo che queste sue mancanze non me lo debbano far apprezzare meno come attore. Alla fine siamo tutti umani e nessuno è perfetto. Ma ancora: questa consapevol­ezza viene solo dalla lucidità». Lucida, ecco la parola che forse più descrive oggi Madonna. Non sbaglia una parola, anzi, calibra ogni termine come fosse un chimico, in un laboratori­o. Ne mischia il contenuto riportando ogni sillaba alla sua formula originale, pura, senza possibilit­à di errori o di fraintendi­menti. Alla fine, poi, la sfida che lancia al mondo, in ogni album e in ogni dichiarazi­one, è solo e soltanto un piccolo riflesso di quella più dura e implacabil­e che sembra imporre costanteme­nte a se stessa. Un’ultima domanda: è felice del suo nuovo album? Lo ritiene una sfida riuscita? «Sì, penso di sì. È la migliore risposta che avevo al Medioevo in cui stiamo sprofondan­do».

Negli anni ’60 tutte volevano sembrare magre come Twiggy. Oggi vogliono tutte essere Kim Kardashian. Alla fine il modello è sempre uno

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