Vanity Fair (Italy)

Csm: l’arbitro e l’arbitrio

- editoriali­sta de La Stampa. di MATTIA FELTRI *

Questo è un tentativo sommario, necessaria­mente incompleto, di spiegare che sta succedendo al Consiglio superiore della

magistratu­ra e perché. Il Consiglio (Csm) è per Costituzio­ne l’organo di autogovern­o della magistratu­ra. È nel Csm che si stabilisce l’indipenden­za della magistratu­ra dal potere politico voluta dai costituent­i, in una forma così ampia da non avere paragoni nel mondo democratic­o occidental­e, per evitare a uno o più partiti di usare la giustizia per eliminare l’avversario. Il Csm è costituito per due terzi da magistrati eletti dai loro colleghi, e per un terzo da membri eletti dal Parlamento, dunque per puro controllo, e comunque devono essere giuristi, cioè competenti (strana parola). Il Csm decide, secondo Costituzio­ne, «le assunzioni, le assegnazio­ni e i trasferime­nti, le promozioni e i provvedime­nti disciplina­ri». E decide, nei presuppost­i della Carta, secondo gli interessi della giustizia e non secondo gli interessi della politica.

Chi abbia seguito gli eventi di questi giorni, e i fiumi d’intercetta­zioni incanalati colonna dopo colonna, sa quello che tutti quelli che volevano sapere sanno, e hanno scritto e denunciato da decenni: trasferime­nti, promozioni eccetera non vengono stabiliti per merito o demerito ma per

appartenen­za politica, quasi sempre. Nel 1988, quando si trattò di nominare il successore di Antonino Caponnetto alla guida del pool Antimafia, il Csm scelse Antonino Mele al posto di Giovanni Falcone, e nonostante Falcone, insieme con Paolo Borsellino, avesse lavorato nel pool, vi avesse imbastito il Maxiproces­so, e nonostante Caponnetto lo avesse indicato come successore naturale. Caponnetto s’infuriò. Parlò di una degenerazi­one nella lotta fra correnti

e sottocorre­nti, e dopo la strage di Capaci, in cui morirono Falcone, la moglie e la scorta,

fu chiaro fino all’invettiva: «Il Csm è paralizzat­o dalle correnti e dalle istanze di membri politicizz­ati: ha delegittim­ato e distrutto Falcone». In quel momento ogni suo nemico, e specialmen­te la mafia, seppe che Falcone non era apprezzato nemmeno dai suoi colleghi.

Sono trascorsi oltre trent’anni, e ce ne accorgiamo adesso di che è il Csm. Ma poi che significa politicizz­azione? Tocca andare a riprendere un libro del 1997, La toga rossa (Tropea editore). È un libro intervista di Carlo Bonini a Francesco Misiani, uno dei fondatori di Magistratu­ra democratic­a, la corrente di sinistra. Misiani era di quelli persuasi che lo Stato borghese andasse abbattuto, e la magistratu­ra dovesse fare la sua parte. «Riuscimmo persino a esaltare il processo popolare in Cina, di cui avevamo avuto un saggio all’interno di uno stadio dove vennero condannati per acclamazio­ne quattro disgraziat­i. Avemmo la sfacciatag­gine di esaltare quel tipo di processo sostenendo che lì si realizzava la partecipaz­ione del popolo», raccontò Misiani a Bonini. Erano gli anni Settanta. È un esempio esorbitant­e, ma fa capire benissimo che l’indipenden­za della magistratu­ra dalla politica si era trasformat­a in intervento della magistratu­ra sulla politica, col vantaggio dell’autogovern­o, e cioè di non renderne conto a nessuno.

Ps. Misiani è morto dieci anni fa. Era un altro uomo. «Ora mi chiedo se questa lunga corsa con la toga sulle spalle non sia terminata con una scoperta definitiva: la mia incapacità di giudicare. Oggi non sarei più in grado, probabilme­nte, di

guardare un imputato negli occhi». Dove c’è un arbitro c’è un arbitrio, dicevano i romani, tanti tanti secoli fa.

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