Vanity Fair (Italy)

U come Uno

- di ESHKOL NEVO ESHKOL NEVO è nato a Gerusalemm­e nel 1971. Nipote di Levi Eshkol, terzo primo ministro di Israele, dopo un’infanzia trascorsa tra Israele e gli Stati Uniti, ha completato gli studi di Psicologia a Tel Aviv. Allievo di Amos Oz, insegna scri

Abbiamo noleggiato una Fiat Uno rossa all’aeroporto di Roma. Me la ricordo benissimo, quell’automobile. La sensazione dei sedili. L’Arbre Magique appeso allo specchiett­o. Ero una ragazzina di tredici anni. Mio fratello ne aveva dieci. Ricordo che continuava a chiedere di fermarsi per fare la pipì e il papà ogni volta si fermava, ma gli si irrigidiva la mascella. Che fosse un segno? Non cercavo segni. Non sapevo di dover cercare segni. Ci spostavamo da un posto all’altro, per strade troppo strette, quasi sempre costeggiat­e da un precipizio. La notte, dormivamo in campeggio. Sempre in due tende diverse: una tenda per i genitori, e una per noi bambini. Papà e io montavamo le tende, la mamma e mio fratello preparavan­o la cena sul fornellett­o a gas.

Poi, una notte, siamo arrivati a un campeggio che si chiamava Uno. Come l’automobile. Ricordo di aver pensato che era buffo. Che in Italia tutte le cose si chiamavano Uno. Ma non ho detto niente perché tutti sembravano stanchi e di cattivo umore. Abbiamo montato le tende in fretta e furia e ci siamo infilati nei sacchi a pelo senza nemmeno mangiare. A metà della notte ha improvvisa­mente cominciato a piovere. Un diluvio. L’acqua filtrava attraverso i teli della tenda. Mio fratello si è svegliato e ha chiesto di passare nella tenda dei genitori. Gli ho risposto di piantarla di fare il cocco di mamma, avrebbe smesso di piovere in un attimo. Non ha smesso di piovere. Un minuto dopo il papà è arrivato a dirmi di prendere i sacchi a pelo e seguirlo. Ci siamo rinchiusi tutti e quattro nella Fiat Uno. Il papà ha detto: incredibil­e, una pioggia così ad agosto. E la mamma ha ribattuto, cosa c’è di incredibil­e, sei in Europa. Dopodiché lui ha attivato i tergicrist­alli e lei ha chiesto: perché attivi i tergicrist­alli? Non stiamo andando da nessuna parte. È calato il silenzio e mio fratello ha detto che voleva dormire. Cerchiamo di dormire tutti quanti, ha proposto la mamma. Copritevi con i sacchi a pelo.

Se adesso chiudo gli occhi, riesco a ricordare esattament­e l’odore che c’era nella Uno in quel momento. Un misto di sacchi a pelo bagnati, un po’ di fango, il profumo della mamma, l’odore di sudore del papà, l’odore dei sedili in pelle dell’auto e l’odore di limone dell’Arbre Magique. E qualcos’altro, un aroma sottile e amaro che allora ancora non sapevo riconoscer­e.

Hanno cominciato a parlare dopo molto tempo. Per lo meno un’ora. Dovevano essere convinti che mi fossi addormenta­ta.

Non è stata… una grande idea, partire per questo viaggio proprio quando noi – ha detto lei. È stata un’idea tua – ha detto lui. Volevo che gli restasse un ricordo, ho pensato che – ha detto lei. Lasciando di nuovo la frase a metà. Come se le mancasse la forza di finirla.

Il papà è rimasto in silenzio. E ha acceso la radio. Lasciatemi cantare / con la chitarra in mano. La canzone di quell’estate, che da allora mi rammenta sempre.

Spegni, per favore, ha chiesto la mamma dopo un minuto, con una voce sorprenden­temente morbida. Vorrei provare a dormire.

Allora lui ha spento e ciascuno dei due si è avvolto nel suo sacco a pelo e appoggiato al suo finestrino, il

più possibile distante dall’altro. La mattina dopo abbiamo ripiegato le tende e chiesto a un italiano di fotografar­ci vicino alla Uno. Ancora oggi ho la foto, tra gli album in solaio. Noi quattro ci sforziamo di sorridere. Dietro di noi, nuvole nere.

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