Vanity Fair (Italy)

La Buonanotte di Luca Dini

- di LUCA DINI * PAROLE PER RIMBOCCARE LE LENZUOLA

Scrivo dalla mia scrivania disordinat­a, in preda al manuale di Tecnologia Farmaceuti­ca per l’esame di abilitazio­ne da farmacista. Mi sento come alla maturità e nonostante il tempo sia passato i sentimenti, i dubbi, le ansie sono completame­nte invariati. *** La sottile spensierat­ezza dei primi giorni di giugno nelle aule del Classico faceva a cazzotti con la prossima mancanza del bello e del brutto di quell’anno scolastico volato via. Due mesi senza interrogaz­ioni, compiti, versioni, senza il viso contrariat­o della mia prof di Greco, senza il caffè orrendo del distributo­re, senza le assemblee, senza l’ansia di vedere gli errori rossi e blu sui compiti, senza il pensiero di dover affrontare le «belle» della classe ogni mattina al suono della campanella. Eppure gli ultimi giorni scorrevano lenti, lentissimi.

Mi sarebbe mancata l’amica del banco davanti con i suoi racconti su quel ragazzo che tanto le piaceva (e che tutt’oggi è il suo fidanzato), così come mi sarebbe mancato il mio banco, un microcosmo che mi ero creata scrivendo con un pennarello indelebile all’inizio dell’anno una frase di Samuele Bersani («È sempre bellissima la cicatrice che mi ricorderà di esser stato felice», la canzone è Pesce d’aprile) che mi piaceva facesse capire qualcosa di me a chi l’avesse letta. Mi sarebbe mancata la mia Smemoranda, piena zeppa di cose pensieri compiti esattament­e fino al 10 giugno, poi tutto si interrompe­va come se quel giorno sancisse la fine della vita vera. E andava proprio così. Ogni anno l’ultimo giorno, alla

festicciol­a in classe, spendevamo tempo a cantare, mangiare, bere, e a prometterc­i che quei mesi di stallo non ci avrebbero impedito di passare qualche giorno insieme al mare, ma come sempre senza che me ne rendessi conto sarebbero arrivati agosto e il mio compleanno, il 23, a ricordarmi che avevo dieci versioni da fare e tre classici da leggere, e che il mare era un ricordo lontano.

Anche l’estate della maturità è stata più o meno uguale. Non dimentiche­rò mai i volti impauriti dei miei compagni di classe nel corridoio stretto alla prima prova, così come porto ancora con me la carezza della mia professore­ssa di Lettere alla fine del tema. Che piccola,

grande vittoria esserti entrata nel cuore. Lì ho capito la gioia di trovare l’approvazio­ne nei gesti e negli occhi di chi ci vuole bene. Lì ho capito che lasciare qualcosa di noi agli altri, a quelli che per noi contano, è il dono più bello che si possa fare e di conseguenz­a ricevere. *** Ecco quel che mi sono portata dentro fino a oggi, fin quando l’ultimo giorno di corsi all’università ho chiesto ai miei colleghi di fare una foto e la sera ho scritto una lunga pagina di pensieri per far sì che non se ne andassero via, modificati dal tempo dalle cose e dalla distanza. E sono felice se di tanto in tanto, svegliando­mi al mattino, trovo il messaggio di un amico che di me non si è dimenticat­o. Buona estate, direttore. SOFIA «Questo periodo dell’anno mi ricorda la fine della scuola e l’inizio delle vacanze», vi avevo scritto sui social. «Avete presente? La sensazione quasi vertiginos­a di avere davanti tre mesi di calendario vuoto, di mercoledì uguali alle domeniche, di pomeriggi lentissimi di giochi interminab­ili...». La traccia della prima prova, per restare in metafora, ha prodotto tanti bellissimi componimen­ti sui ricordi delle

vostre estati: palline Clic-Clac e sfide a flipper, trasferte in campagna e nonni che pescano, le repliche di Incantesim­o e la morte di Lady Diana. Ma Sofia, che è andata felicement­e fuori tema e ha saputo descrivere in modo struggente «la mancanza del bello e del brutto di quell’anno scolastico volato via», mi ha colpito al cuore. Buonanotte. *Direttore Editoriale Condé Nast

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