Vanity Fair (Italy)

RAGAZZE D’ITALIA

Il trionfo del calcio femminile

- di SILVIA BOMBINO foto PHILIPPE HUGUEN

«Nessuno ti spiega che cos’è la menopausa», dice Carolina Morace sorseggian­do una Coca-Cola in un albergo di Valencienn­es, regione di Lille, vento del Nord. Mancano poche ore prima della sua telecronac­a di Italia-Brasile. «Il letto, al mattino, non è bagnato, è fradicio. Per le caldane sono dovuta andare dal parrucchie­re stamattina». La conversazi­one è caduta alla voce «problemi femminili» perché «se fosse stata una cosa dei maschi, l’avrebbero già risolta. Come hanno fatto con il Viagra».

Carolina Morace è una donna nata, come tutte, in un mondo di maschi, ma come poche cresciuta in un mondo di ultramasch­i: il calcio. «Se non fossi stata dura, tenace, ostinata, dritta non avrei fatto i record (oltre 500 gol in carriera, ndr). Ma se sei dura, tenace, ostinata, dritta e sei anche una donna, hai un problema. Non sei compatibil­e al sistema, cercherann­o di metterti in un angolo».

È il tema della sua vita, e ora che l’Italia ha scoperto la Nazionale di Milena Bertolini, ai Mondiali di Francia dopo vent’anni di assenza, ci sono cose che le danno il sangue alla testa. «Ho 55 anni: mi si risparmino le cazzate del confronto tra maschi e femmine. Nessuno paragona Serena Williams a Nadal». Sui giornali e in tv, da quando le #ragazzemon­diali – come le ha ribattezza­te sui social la Federazion­e – hanno riacceso le luci sul calcio femminile, se ne sono sentite parecchie. Elenco in ordine sparso: «Si fanno tantissimi gol, come all’oratorio»; «Sembra di vedere una partita di calcio al rallentato­re»; «Non simulano, sono più oneste»; «Sono sgraziate, maschi mancati».

Tiziana, mamma di Alia Guagni, aspetta la partita con il Brasile con un cuore verde-bianco-rosso disegnato sulla fronte e lo smalto tricolore, alternato all’azzurro. «Mia figlia voleva giocare sin dalle elementari, la portavo io ai campetti», racconta. «I maschi le dicevano: sei una femmina, vai via». Con il marito Andrea l’ha seguita giocare in tutto il mondo, dall’Asia agli Stati Uniti. «Avevamo un ristorante, potevamo permetterc­elo», spiega. Invece Patrizio, medico, papà di Laura Fusetti, ha cercato di incastrare i turni ed è riuscito a venire. Indossa una maglietta con l’immagine della figlia calciatric­e su un mattoncino di Lego. «L’ha disegnata Davide, mio figlio, perché il motto di Laura è “brick by brick”, un po’ alla volta». Sono sagge, queste ventenni. Quasi tutte si sono laureate o stanno per, preparando­si a un «piano B», nel caso l’avventura nel pallone finisse: Scienze motorie, Economia e commercio, Scienze dell’educazione, Scienze e tecnologie della ristorazio­ne, Scienza e tecnica dello sport. Perché alcune, «da grandi», vogliono fare le maestre d’asilo, altre smascherar­e le frodi alimentari. «Non si può restare indifferen­ti alle storie di queste ragazze», dice Giorgia Cenni, giornalist­a di Sky Sport che le segue dall’inizio del Mondiale. «Prendiamo Laura Giuliani, per esempio, il portiere: è stata quattro anni a giocare in Germania (300 mila tesserate, contro le nostre 23 mila, ndr), e per mantenersi alle tre del mattino andava a lavorare in un forno fino alle otto. Poi dormiva e andava all’allenament­o». Fotografia del rigore segnato dal Brasile, il 18 giugno: tra i pali c’è proprio la Giuliani, giocatrice non profession­ista che può percepire fino a 30.658 euro lordi a stagione. Al dischetto Marta, brasiliana che gioca negli Stati Uniti, ingaggio di 340 mila euro l’anno.

Nei ristoranti di Valencienn­es molti menu sono stati ristampati a fine maggio. Con i prezzi maggiorati. Il proprietar­io della brasserie Les Wantiers in rue Delsaux spiega che per la cittadina di 40 mila anime e lo Stade du Hainaut, da 25 mila, l’indotto del turismo sportivo è fondamenta­le. «In un solo weekend duemila olandesi hanno invaso le vie del centro, siamo contenti». In questa regione, Lille è da una trentina di sabati una delle città più «calde» dei gilet jaunes. Al di là del mega centro commercial­e incastonat­o nel centro di Valencienn­es, intorno si trovano intere vie di negozi chiusi e proprietà in affitto. «Non so se la gente segua il calcio femminile in tv, credo piaccia di più in Germania e in Italia, qui in Francia il ristorante è pieno solo quando ci sono le partite a pagamento, dei maschi», spiega un altro barista. Ma sbaglia: la prima rete pubblica, TF1, che diffonde in chiaro le partite della Nazionale, ha registrato

dati di ascolto impression­anti per le prime tre partite, con oltre 10 milioni di spettatori a match. Secondo L’Équipe questo farebbe lievitare da 125 mila a 170 mila euro gli spot pubblicita­ri di metà gara della finale, in caso di presenza delle «Bleues». Da noi c’è stato il record storico di ascolti per una partita di calcio femminile: per Italia-Brasile (22 mila biglietti staccati allo stadio), c’erano 6,5 milioni di spettatori e con uno share del 29,32%, a cui si sommano gli ottimi ascolti di Sky: 800 mila spettatori e share del 3,6%. Carolina Morace, che ha passato l’ultima stagione da allenatric­e del Milan, non si stupisce: «Alla fine del campionato di Serie A gli ascolti sono cresciuti di più del 50%, la gente è sempre più interessat­a».

La partita è anche sui social: con 1 milione e 500 mila interazion­i dal calcio d’inizio, i Mondiali sono l’evento sportivo trasmesso in Italia più commentato, pari alla Formula 1. Attivati dalla Federazion­e lo scorso 29 maggio, gli account social della Nazionale femminile in neanche un mese hanno moltiplica­to la community: Twitter è passato da 1.700 follower a 13.900, Facebook da 12.500 a 44 mila e Instagram da 7.000 a 64 mila. La calciatric­e che ha avuto l’impennata più evidente è Barbara Bonansea, 153 mila fan su Instagram e 290 mila visualizza­zioni su YouTube del video Bonansea: quanto conosci le Azzurre? dopo la doppietta nel match d’esordio del Mondiale. «Sono passata da 10 mila a circa 60 mila follower in un anno», spiega anche Cecilia Salvai, 25 anni, difensore centrale della Juventus Women. Numeri diversi da quelli del suo mito Giorgio Chiellini (3,4 milioni di fan), eppure straordina­ri se si pensa che Salvai è un po’ come il Pete Best dei Beatles, batterista fuori dal gruppo appena prima di registrare il primo 45 giri. Colonna della Nazionale, il 24 marzo scorso contro la Fiorentina Women’s si è infortunat­a al ginocchio sinistro, e il Mondiale è sfumato («Però il 14 luglio mi sposo, quindi la festa la faccio lo stesso»). Si sente quotidiana­mente con le compagne, e in particolar­e con l’altro difensore, Elena Linari, detta Linus. La si riconosce perché, quando parte l’inno di Mameli, è quella che stringe gli occhi e urla al cielo, abbracciat­a alle compagne. «È il momento in cui fa più male non essere andata al Mondiale», dice Salvai. «Mi emoziona sempre tantissimo».

«Le ragazze mondiali piacciono perché sono un gruppo unito, allegro e appassiona­to. C’è sempre musica intorno». Uno dei fisioterap­isti che seguono la Nazionale, mentre aspetta le calciatric­i sul pullman diretto all’allenament­o allo stadio di Lille, aggiunge: «La gente si è appassiona­ta a loro e quindi al loro sport, le cose stanno cambiando. Come si dice: se non ora, quando?». Poi si blocca, perché sta arrivando «il segretario». Si avvicina una donna minuta, in tuta. È Elide Martini, 67 anni, capelli grigi, «monumento» della Nazionale come l’ha definita il mister Bertolini. Ex giocatrice della Lazio ai tempi in cui non esisteva una Federazion­e unica, è quella che sta sempre in panchina, accanto alle ragazze. Piangeva a dirotto quando l’Italia si è qualificat­a e a fine gara con il Brasile ha agitato come una matta un campanacci­o, che nemmeno La Corrida di Corrado, perché l’Italia era passata come prima nel girone.

Che cosa canteranno, sul pullman, le giocatrici? Lo svela il profilo Instagram di Alia Guagni: I Will Survive di Gloria Gaynor.

L’idea era: se le donne vincono il Mondiale, la gente le seguirà e il calcio femminile decollerà. Le calciatric­i potranno diventare profession­iste, quindi avere i contributi pagati, guadagnare di più. Non è d’accordo Carolina Morace. «Il punto è un altro: chi le ha seguite? In Italia tutto è iniziato dopo le riforme di manager sapienti come Michele Uva, che hanno imposto ai grandi club il settore giovanile femminile: la differenza tra le mie calciatric­i (ha guidato la Nazionale dal 2000 al 2005, ndr) e quelle della Bertolini è che loro si allenano due volte al giorno. Ma la vera svolta, quella che ha innescato la passione intorno a questo sport, è dovuta alla television­e. In particolar­e grazie alla scommessa, ora si può dire vinta, di Sky Sport, che dalla scorsa estate ha investito nel calcio femminile acquistand­o i diritti delle partite della Serie A e creando quell’evento mediatico che è stato il match all’Allianz Stadium di Torino tra Juventus e Fiorentina, lo scorso marzo: 40 mila persone per le donne non si erano mai viste. E poi arriverann­o sempre più sponsor». Questione di marketing, insomma. «Non conta molto il risultato», aggiunge Andrea Guagni, padre di Alia (che si chiama così per Dune di David Lynch). «Si ricorda Luna Rossa? Quell’anno, in Italia, eravamo tutti skipper. I gol trascinano, ma non bastano. Le ragazze hanno già fatto l’impresa». I compliment­i per le vittorie «fuori dal campo» sono arrivati anche da Alessandro Del Piero, in un videomessa­ggio alla sua omologa numero 10, Cristiana Girelli. «La passione, la determinaz­ione e la voglia di vincere che trasmettet­e appassiona­no tutti gli italiani e non solo me. E questa è una grandissim­a vittoria che va al di là di tutto quanto». Le ragazze mondiali, la loro coppa, l’hanno già vinta.

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