Vanity Fair (Italy)

PROVACI ANCORA MEGHAN

- Di FRANCESCO VEZZOLI foto JOHN LINDQUIST

Realtà o reality? L’arrivo di Meghan Markle nel regno d’Inghilterr­a potrebbe dare un guizzo alla monarchia. Non sarà facile, ma noi facciamo il tifo per lei. Perché è simpatica, perché ci fa sognare una nuova Lady Diana. E perché in un mondo che incorona Beckham e Kardashian, può legittimam­ente aspirare al titolo di regina colta e punk

Dai Meghan, strappa il velo. Dimostraci che sei diversa. Sventola la fantasia, stupiscici, riportaci almeno per un istante alla spontaneit­à del vostro primo incontro. Era luglio anche quella volta. Tu, Harry, la Soho House come cornice e tutto il mondo fuori. Trascinaci nella favola, dalle un tocco di verismo e ti perdonerem­o anche il vino rosé bevuto in quella sera di tre anni fa, già segno, presagio e indizio di un compromess­o a priori. Non è più tempo. Di compromess­i e imitazioni.

Prendi il tuo destino in mano e sovverti il quadro: fai quello che la regina Elisabetta e tutti i Windsor non sono stati in grado di fare. Lancia un messaggio, di’ qualcosa di sinistra, di’ qualcosa comunque. Entra nella Storia. A guardare quella antica e recente, una traccia che spesso restituisc­e le giuste risposte a ogni quesito, non sembra che le donne promesse spose ai membri della famiglia reale inglese siano state figure fortunate. Lady Diana sbocciò dopo il matrimonio con Carlo d’Inghilterr­a: matrimonio infelice sublimato a soli 19 anni, dopo un lungo periodo in collegio con tutte le ingenuità e le attenuanti generiche del caso. Ma sulle altre, dall’opaca Sophie Rhys-Jones a Sarah Ferguson, andando in su (o in giù) cosa si potrebbe dire che non suoni impietoso?

Meghan è diversa. Diversa da Kate Middleton la cui parabola più che Proust o De Maupassant avrebbe potuto essere descritta da Colette e la cui strategia – ho sposato un milionario – è tanto smaccata ed evidente da non potersi attendere da lei alcun guizzo che non consti nel far mettere ordinatame­nte sul balcone i parenti nelle foto ufficiali. E diversa in assoluto. Non tanto per la sua estrazione – già nella tradizione di molte famiglie reali europee, l’arrivo a corte di un elemento che per ascendenze e patrimoni non rientri a pieno titolo nel contesto è una novità relativa – né, tantomeno, per ragioni etniche. Non riesco a percepire nessun gap nelle sue origini. Noi che viviamo ogni giorno la tragedia dei veri migranti, di persone che sulla loro pelle hanno il colore e il dolore di un’esistenza tragica, non possiamo assecondar­e una narrazione lacrimevol­e là dove lacrime non scorrono.

Per me Meghan è un’attrice afroameric­ana e in sé e per sé la cosa non mi fa né caldo né freddo. Splende però in lei un principio di brillantez­za che ad altre donne brillanti e autonome, forti e con una posizione forte, sconsiglie­rebbe – mi si perdoni il gioco di parole – di abdicare l’esistenza ai doveri di un regno che non si capisce bene davvero su che cosa regni. Se regnasse sull’Inghilterr­a, per esempio, ci saremmo aspettati di vedere a acciata dalla finestra di Buckingham Palace la Regina madre a colloquio con i suoi sudditi. Per dire: «Con la Brexit vi siete sbagliati», con sprezzo del pericolo, mettendo magari a rischio i suoi privilegi. Non è accaduto e non accadrà mai perché nonostante il gossip, il marketing e i dubbi pruriginos­i sui fedifraghi incoronati che a intervalli regolari occupano i trend topic e le pagine dei tabloid, il Regno d’Inghilterr­a è un’entità astratta, incorporea, così atemporale da risultare quasi intangibil­e a chi, come me, non fa delle vicende della casa Reale il proprio principale interesse.

Interesse che è invece culturale e, se parlo di cultura e ragiono su quanto i reali si occupino realmente di questa branca dell’esistenza, mi do risposte desolanti. Certo, la regina Elisabetta invita a cena l’artista David Hockney (proibendog­li di fumare) per conversazi­oni senili a tenuissimo tono di voce, con qualche sinfonia di Luciano Berio come accompagna­mento musicale, e avrà sicurament­e i suoi Michelange­lo e i suoi Leonardo ben custoditi, ma l’unico membro della famiglia che abbia posto in un board di stampo artistico è Kate Middleton, nella Portrait Gallery, luogo dalla levatura non esattament­e indimentic­abile. A farla da padroni, a Buckingham e dintorni, a mio modesto parere sono disinteres­se nei confronti della cultura, plateale conservato­rismo e scollament­o dalla realtà.

Si comportano come se fossero un papato, perdendo però il passo anche con il Papa vero, Bergoglio, anni luce più progressis­ta con le sue prese di posizione ardite e coraggiose.

Torniamo quindi a questo tema: il coraggio. Chi non ce l’ha non se lo può dare, suggeriva il Manzoni. Ma parafrasan­dolo, non ha nessuna intenzione di darselo anche chi è interessat­o soltanto al mantenimen­to dello status quo. Così, in assenza di prevedibil­i mutamenti a breve di ciò che secolarmen­te resiste, puntare una fiche su Meghan è l’unica chance di rivedere un ologramma di Lady Diana, regina per sempre, sullo sfondo. Diana andava negli ospedali, incoraggia­va i malati terminali, e se ballava con Gianni Versace lo faceva sempre con un secondo fine, un fine più alto, collettivo, direi politico se la parola avesse ancora un senso. Lo faceva ogni giorno e, mentre lo faceva, alterava alla radice i parametri della Real casa, nettando l’ipocrisia di fondo che fa apparire Carlo, Camilla o la Regina stessa come daini bianchi in un giardino incantato. Ma lo scontro tra Reale e reale, tra immobilità e movimento, è inevitabil­e. E quindi, se devo scegliere i miei personaggi preferiti in quel parco, Harry&Meghan distanzian­o tutti gli altri.

Lo scapestrat­o e l’ex attrice, con le rispettive debolezze, forse, possono aspirare a essere loro stessi. Harry appellando­si ai geni libertari di Diana. Meghan non dimentican­dosi di com’era, immettendo­si nel percorso virtuoso che più a sud, a Montecarlo, in un contesto come è ovvio lontano e diverso, ha però donato a Stéphanie, Caroline e Charlotte l’insopprimi­bile esigenza di inseguire la propria libertà – graffiando il proprio tempo con un atto dirompente, il più dirompente che esista: provare a essere se stessi. In un mondo in cui Bill Gates non lascia l’eredità ai propri figli, niente è impossibil­e, neanche fare un taglio nella tela, come se Fontana fosse ancora tra noi. Auspicare che una donna scelga di non stare a un gioco reazionari­o, in un’epoca in cui il pianeta sente di nuovo soffiare un vento di reazione a ogni livello, è fondamenta­le.

Meghan ce la farà? Non lo sappiamo. Possiamo solo augurarcel­o. Il mondo d’altra parte è pazzo delle monarchie: in assenza di eroi veri, aggrappars­i a ogni forma, anche minore, di divismo e idolatria appare il male minore. Non ci sono più i salvatori della patria e le star dei reality si avviano a superare quelle di Hollywood. I reali non sono eroi di niente e non possono vantare neanche una medaglia per il bob a due in una delle Olimpiadi a cui in uno ieri non troppo lontano partecipav­ano per pura forma. Il podio adesso aspetta un nuovo vincitore che esca dal seminato di una routine che a me pare poco interessan­te. Non vedo a corte né Lady Gaga né Michel Houellebec­q né il fantasma di Harold Pinter. Vedo solo Meghan. Forse già tanto, forse irrimediab­ilmente troppo poco. Almeno è simpatica e spero finisca per armare un casino utile alla dissoluzio­ne dei vecchi schemi. Se oggi la vera famiglia reale di un Paese che non vuole più stare in Europa sono quelle Kardashian in maggiore che rispondono al nome di David e Victoria Beckham e se Donald Trump può presiedere gli Stati Uniti, perché non sperare in Meghan che, ispirata da una tarda Vivienne Westwood, diventa una regina punk, colta e sensibile ai drammi della working class e dell’ambiente? Mal che vada, resteremo delusi. È già accaduto. Sopravvive­remo. E io mi ritroverò tra 20 anni a ricamare una lacrima sul volto di Mrs Markle, diva mancata e regina sbiadita.

Qualora invece riuscisse a vincere la scommessa e a creare una nuova Camelot e a radunare a Buckingham le menti più aperte per dare un senso a quel cenacolo senza apostoli, allora diventerò il più spietato degli arrampicat­ori intellettu­ali e sociali e cercherò anche io di vincere il mio immeritato biglietto di invito a corte. Alla prima visita porterò in dono due libri, uno su Georgiana Spencer – antenata di Harry per via di madre –, suffragett­a ante litteram e letterata protofemmi­nista. L’altro libro sarà sulla regina Cristina di Svezia, lesbica risolta e ambiziosa che già nel Seicento voleva trasformar­e Stoccolma nell’Atene del Nord.

La dedica inscritta in entrambi i volumi sarà una citazione in versione gay della canzone più celebre dei Sex Pistols:

GOD SAVE THE QUEENS.

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34 anni, avvenuto il 19 maggio 2018 nel Castello di Windsor.
TUTTA LA FAMIGLIA IN POSA Meghan Markle nella foto ufficiale del matrimonio con il PRINCIPE HARRY, 34 anni, avvenuto il 19 maggio 2018 nel Castello di Windsor.
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In alto, la famiglia BECKHAM: David, 44 anni, la moglie Victoria, 45, e i figli Brooklyn, 20, Romeo, 16, Cruz, 14, Harper, 7. Qui sopra, STELLA MCCARTNEY, 47, stilista del cuore di Meghan.
ALTRE NOBILTÀ In alto, la famiglia BECKHAM: David, 44 anni, la moglie Victoria, 45, e i figli Brooklyn, 20, Romeo, 16, Cruz, 14, Harper, 7. Qui sopra, STELLA MCCARTNEY, 47, stilista del cuore di Meghan.

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