Vanity Fair (Italy)

L’ULTIMO BICCHIERE

Alcol e letteratur­a, una fatale ma fruttuosa attrazione reciproca. Come dimostrano sei maestri d’America

- Di LAURA PEZZINO

Un’arma (puntata contro cosa?). Uno stabilizza­tore (di quale eccessiva intensità?). Un sedativo (per quale ingestibil­e stress?).

Che cos’è l’alcol e cosa fa agli scrittori? Perché è un fatto: alcol e letteratur­a hanno un’attrazione fatale reciproca. Olivia Laing, che è una delle autrici inglesi da tenere d’occhio (suo è Città sola, interessan­te reportage narrativo da wanderer sulle sue camminate a New York), voleva capire perché gli scrittori bevono e, soprattutt­o, quell’alone lasciato dal bicchiere sulle loro pagine (per Fitzgerald, i racconti scritti da sobrio erano «tutti ragionati, non sentiti»). Il motivo? Tutto personale. Scrive Laing: «Son cresciuta io stessa in una famiglia di alcolisti. Tra gli otto e gli undici anni ho vissuto in una casa che era sotto il dominio dell’alcol».

Così ne ha scelti sei, tutti americani – Raymond Carver, John Cheever, Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, John Berryman e Tennessee Williams – ed è partita per una via crucis lungo le stazioni delle loro fasi alcoliche. Il risultato è un libro bellissimo, Viaggio a Echo Spring (Il Saggiatore, pagg. 320, € 24; trad. F. Mastruzzo e A. Pugliese), che usa la dipendenza per raccontarn­e le vite (straordina­riamente uguali alle nostre) e i libri (quelli, sì, rasentano il celestiale), in un’opera dove il tempo scorre come gin in un bicchiere, proprio come in un racconto di Cheever, il «mini Cechov dei sobborghi».

Destinazio­ne finale è Echo Spring, che non è un luogo fisico, ma il soprannome (preso dalla Gatta sul tetto che scotta di Williams) dato al mobiletto degli alcolici.

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