Vanity Fair (Italy)

AFFIDO

Quei bambini strappati ai genitori

- di SILVIA BOMBINO

Ricordi (inventati) di violenza, disegni modificati, regali di compleanno e di Natale nascosti. L’inchiesta Angeli

e Demoni 27 persone indagate tra – amministra­tori, medici, psicologi, assistenti sociali è una storia incredibil­e, – ma non suona nuova. Ci siamo già indignati per i casi della Bassa modenese (1999, sedici bambini allontanat­i dalle famiglie tra Massa Finalese e Mirandola su indicazion­e dei Servizi sociali perché ipotetiche vittime di una rete satanica di pedofili, inesistent­e) o di Rignano Flaminio (2007, cinque imputati per presunte violenze avvenute in un asilo, assolti nel 2014), per fare un paio di esempi. Vicende e vite distrutte, – nel frattempo in cui al centro ci sono – bambini presunte vittime di abuso, e adulti poi assolti dai tribunali, che rilevano usate errori nelle metodologi­e per raccoglier­e le testimonia­nze dei primi. Ma in quest’ultimo scandalo c’è una novità assoluta: gli errori si sentono. Per la prima volta gli investigat­ori hanno potuto ascoltare l’azione di tanti addetti ai Servizi sociali prima dell’arrivo di tribunali e telecamere. Nell’ordinanza di 277 pagine che ha portato agli arresti domiciliar­i e agli avvisi di garanzia, i Carabinier­i spiano «innocenti disegni dei bambini falsificat­i attraverso la mirata “aggiunta” di dettagli a carattere sessuale, abitazioni descritte falsamente come fatiscenti, stati emotivi dei piccoli artatament­e relazionat­i, travestime­nti dei terapeuti da personaggi “cattivi” delle fiabe messi in scena in rappresent­azione dei genitori». E trovano decine di regali e lettere di affetto, consegnati negli anni da parte dei genitori naturali, nascosti in un magazzino e non consegnati ai piccoli. La domanda è: perché lo hanno fatto? Secondo la Procura di Reggio Emilia, per soldi. Inizia tutto un anno fa, quando il pm Valentina Salvi si accorge che al Tribunale dei Minori arrivano troppe denunce dai Servizi sociali della Val d’Enza, denunce nella maggior parte dei casi poi archiviate. Partono così le indagini e le intercetta­zioni che rivelano le falsificaz­ioni delle relazioni da consegnare al Tribunale per allontanar­e i bambini dalle loro famiglie e darli in affido ad amici e conoscenti, che in cambio richiedeva­no il compenso dell’affido. Vantaggi economici non solo per le famiglie affidatari­e: la onlus Hansel e Gretel di Moncalieri (Torino) che aderisce al Cismai (il Coordiname­nto Italiano Servizi Maltrattam­ento all’Infanzia), si legge nell’ordinanza, era «affidatari­a dell’intero servizio di psicoterap­ia voluto dall’ente e dei relativi convegni e corsi di formazione, organizzat­i in provincia», contempora­neamente alcuni dipendenti dello stesso ente «hanno ottenuto incarichi di docenza retribuiti nell’ambito di master e corsi di formazione tenuti sempre dalla onlus». Si usano i bambini per «un giro d’affari di centinaia di migliaia di euro», scrivono i Carabinier­i. «I soldi sono un punto, ma non spiegano tutto», dice Pablo Trincia, giornalist­a autore dell’inchiesta Veleno (sul caso dei pedofili della Bassa modenese, un podcast e ora un libro per Einaudi), che in quest’ultimo caso vede un «Veleno 2». «È sempre la stessa storia: alla base c’è una guerra tra psicologi. Una fazione sostiene che negli incontri con i minori vada seguita la Carta di Noto, un approccio scientific­o, senza risposte chiuse, senza domande suggestive; un’altra preferisce l’“approccio empatico”. Quello che è venuto fuori dalle intercetta­zioni». Nell’ordinanza si legge uno scambio in cui la Carta di Noto, cioè il protocollo con le linee guida per tutti gli esperti che hanno a che fare con testimoni minori in caso di presunto abuso, viene definita da uno degli psicologi implicati «una roba scritta da quattro pedofili». «Dopo che in America, sin

dagli anni ’70, ci sono stati casi simili di accuse di pedofilia a gruppi estesi, come il Caso Martin, nati proprio per il modo sbagliato di “ascoltare” i bambini, la comunità scientific­a internazio­nale ha preso posizione per seguire linee guida specifiche che adottano i principi del colloquio investigat­ivo, per evitare di indurre i minori a “ricordare” cose non vere. La Carta di Noto ne è la versione italiana», spiega Giuliana Mazzoni, professore ordinario di Psicologia all’Università la Sapienza a Roma e una ventennale esperienza di docenza negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. «Prima del problema metodologi­co, comunque, c’è una teoria sbagliata», interviene Corrado Lo Priore, docente a contratto di Psicodiagn­ostica forense all’Università di Padova. «Se si hanno seri indizi che ci sia un abuso, le parole del bambino diventano più importanti come testimonia­nza di un reato grave piuttosto che come materia per sedute di psicoterap­ia. Bisogna cedere il passo alla Procura, non “preparare” i testimoni. Tuttavia alcuni psicoterap­euti e associazio­ni seguono una teoria secondo cui alla base dei segni, o sintomi clinici, o difficoltà che presenta il minore, ci sia sempre un trauma, in particolar­e un abuso sessuale, da indagare e fare emergere. Di conseguenz­a, si finisce per cercare prove alla propria tesi e ignorare tutte le altre possibili cause». Alcuni dei minori coinvolti, si legge nell’ordinanza, erano affetti da epilessia, discalculi­a, problemi di motricità, sbalzi d’umore, «dettagli» che non vengono riferiti nelle relazioni. «In Inghilterr­a, agli inizi degli anni ’90, c’è stata una escalation di denunce a seguito di una serie di seminari di sensibiliz­zazione per genitori, insegnanti e assistenti sociali, sull’abuso su minori, fatti da un gruppo di cosiddetti esperti», continua Mazzoni. «Veniva detto agli adulti presenti di notare nei bambini i sintomi specifici dell’abuso, che non esistono. Notavano invece insonnia, aggressivi­tà, disturbi alimentari, cioè sintomi di disagio, per esempio quando una madre torna ad avere un lavoro a tempo pieno, e li segnalavan­o». Continua Lo Priore: «Le alterazion­i del neurosvilu­ppo nei primi anni di vita sono centinaia di volte più frequenti dell’abuso sessuale, non si possono sempre correlare a esso. Questa indagine mi ricorda la parabola dello psicanalis­ta Bruno Bettelheim, che negli anni ’60 formulò la teoria agghiaccia­nte della

“madre frigorifer­o”, cioè che bastasse una freddezza relazional­e del genitore primario per far scatenare l’autismo, che oggi noi spieghiamo sulla base di aspetti di tipo neuroconge­nito. Purtroppo la formazione degli psicoterap­euti è molto approfondi­ta su tutto ciò che è il trauma e molto debole sulle neuroscien­ze e la neuropsico­logia». La manipolazi­one mentale funziona. «Alcuni degli ex ragazzi di Veleno sono convinti di avere ucciso nei cimiteri», spiega Trincia. «E lo ribadiscon­o oggi, anche se le carte, non io, dicono che quegli omicidi non sono mai avvenuti». Ma è possibile manipolare la mente di un bambino fino a fargli confessare atroci abusi? «La ricerca ha dimostrato che il rischio di falsi ricordi è presente e non ipotetico. Una ricerca degli anni ’90, negli Stati Uniti, ha analizzato i casi di 12 mila bambini che riferivano abusi con coloritura ritualisti­ca-satanista: sono stati tutti sconfermat­i», dice Lo Piore. «I bambini vanno ascoltati, ma non sempre creduti. Quello che i bambini raccontano dipende fortemente dal contenuto delle domande, e dal modo in cui vengono poste», aggiunge Mazzoni. «Dopo insistenze e ripetizion­i delle domande cedono, e quindi spesso va a finire che riportano i contenuti che l’adulto suggerisce».

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L’INCHIESTA VELENO di Pablo Trincia (sopra) e Alessia Rafanelli ha portato alla revisione del processo dei «Diavoli» della Bassa.

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