JAIME LORENTE LÓPEZ
Mi chiamano Denver
La casa di carta è stato un tale successo che, in giro per il mondo, lo chiamano Denver, come il suo personaggio. Jaime Lorente López non ha paura di dire che la cosa gli dà fastidio. Perché è uno dei rari attori che parla in modo (anche troppo) trasparente
Gli tendo la mano, ma lui mi sorprende baciandomi su entrambe le guance. E mi spiazza ancora di più quando ci sediamo a parlare. A vederlo arrivare in jeans strappati e T-shirt, Jaime Lorente López sembra più giovane dei suoi 27 anni, eppure le sue parole hanno l’intensità di un uomo molto più maturo.
Quando gli chiedo se per strada lo chiamano Denver, il nome in codice del suo personaggio nella serie La casa di
carta, sulla sua faccia si manifesta un moto di fastidio interiore. «Sì, succede spessissimo. E, se devo essere onesto, non mi fa per niente piacere. Mi chiamo Jaime, sono un attore e Denver è il personaggio che interpreto. Non abbiamo quasi niente in comune e credo di essere parecchio più intelligente di lui». Sia chiaro, però, che non lo dice con spocchia. Lo dice perché lo pensa e perché, nonostante la notorietà internazionale raggiunta grazie alla serie che il 19 luglio riparte con la terza stagione su Netflix (e una quarta, nel frattempo, è già stata confermata), per fortuna Lorente parla ancora senza filtri. Nella sua raccolta di poesie, A proposito della tua bocca, pubblicata di recente in Spagna e anche in Italia, si è raccontato come di rado fanno gli attori, mettendo in versi le sue esperienze d’amore, di sesso e la sua visione (critica) del mondo.
Lei viene dal teatro, giusto?
«Sì e continuerò a farlo. Ho cominciato a recitare al liceo, mettevamo in scena parecchi spettacoli. Nessuno nella mia famiglia ha mai avuto a che fare con questo mondo, devo
ringraziare i professori che mi hanno fatto scoprire questa forma di espressione. La prima esperienza da professionista, invece, è stata con una compagnia di Murcia, la città dove sono nato e cresciuto. Ancora oggi, considero il palcoscenico la mia casa».
Il suo debutto in tv, invece, è avvenuto nel 2016, nella soap opera Il segreto. Nel cast c’era anche Álvaro Morte, il professore della Casa di carta.
«È stata una combinazione essere scelti entrambi. Ma è anche vero che tantissimi attori che sono partiti con le telenovelas sono passati al cinema o alle serie tv. Contrariamente a quanto si pensa, lavorare in una soap non è facile per niente. Si girano anche 12 scene al giorno, devi memorizzare tantissime pagine di copione, si procede a ritmi serrati. È una grande scuola di recitazione».
All’epoca, che effetto le faceva quando per strada la chiamavano Elías Mato?
«Non succedeva quasi mai. In compenso capitava che mi urlassero cose poco simpatiche, visto che il mio personaggio era il cattivo della situazione».
Su Netflix sta avendo successo anche con un’altra serie:
Élite è ambientata in un liceo privato e il suo personaggio, Nano, è un duro. Lei che tipo di studente era?
«Non ero indisciplinato, in classe mi comportavo bene. Però non studiavo, non m’importava nulla di quello che cercavano di insegnarmi. Ho sempre avuto un rapporto conflittuale con le istituzioni, l’autorità. E non sono per niente soddisfatto della società in cui viviamo».
Che cosa non le piace in particolare?
«Mi dà fastidio la falsa modestia di tante persone e, soprattutto, la mancanza di onestà. Non siamo più liberi di dire quello che pensiamo, perché c’è sempre qualcuno là fuori pronto a giudicare. Siamo tutti schiavi del politically correct e, se abbiamo un’idea che pensiamo possa disturbare qualcuno, ci autocensuriamo. Così si finisce tutti per dire le stesse cose, vaghe, moderate».
Ma lei riesce ancora a dire quello che pensa?
«Sempre. E, a volte, le reazioni sono pesanti».
Ricorda un episodio?
«Tempo fa, in un’intervista, ho raccontato che sui social ricevo un sacco di foto e video pornografici. Sia da parte di donne che di uomini. Ho detto che mi faceva sentire in qualche modo violato, stuprato. Da lì è partita tutta una polemica. Secondo molti avevo esagerato, nel senso che non avrei dovuto usare quei termini per rispetto nei confronti delle vere vittime di violenza sessuale. In quell’occasione mi sono reso conto di quanto la comunicazione nella nostra società sia diventata fragile».
Si è pentito?
«No. Non dobbiamo smettere di dire quello che pensiamo. Tutti dovremmo avere una visione critica della società ed è importante che chi, come me, fa l’attore ed è un personaggio pubblico trasmetta un messaggio».
I suoi versi, però, parlano soprattutto d’amore.
«Be’, perché ho cominciato a scriverli molti anni fa. E poi l’amore è il sentimento perfetto per la poesia. Perché più di tutti trascende la vita quotidiana».
Grazie alla Casa di carta ha conosciuto anche la sua compagna, l’attrice María Pedraza.
«Sì, ma non ci siamo messi insieme subito. E ora che siamo anche una coppia mi piacerebbe poter fare qualcos’altro insieme».
Che progetti ha per il futuro?
«Vorrei poter lavorare in America. I miei punti di riferimento come attori sono Brad Pitt, Leonardo DiCaprio. Ma il mio idolo in assoluto è Billy Crudup. L’ho visto a teatro in uno spettacolo e l’ho trovato pazzesco».
Ha mai pensato di scrivere un testo teatrale, una sceneggiatura?
«L’ho fatto. È un monologo, s’intitola Petricore, che è il nome dell’odore della terra dopo la pioggia».
E di che cosa parla?
«Niente di allegro, temo. Di suicidio». ➺ Tempo di lettura: 7 minuti IN TUTTO IL SERVIZIO: abiti, DIESEL.
Ha collaborato Anna Padozzi. Grooming Vicente Guijarro. Si ringrazia The Royal Family Films Production.
A scuola mi comportavo bene ma non studiavo. Ho sempre avuto un rapporto conflittuale con le istituzioni, l’autorità