LIVING VIAGGI
Baku, città di vento e di fuoco
Fuoco, fuoco ovunque. E al centro Baku, «terra del vento», che gli incendi non li spegne bensì li fa divampare. Così come fa il Mar Caspio disteso davanti alla città e striato di petrolio, che di questa terra è la miccia e non l’agente inquinante, tanto da non scoraggiare i pescatori in bilico sui moli che al tramonto agganciano pesci neri ed esterrefatti nel sole che cala dietro la collina, innescando tutto. S’accende la Baku Crystal Hall, sala concerti costruita in mezzo all’acqua da godersi seduti sulla terrazza del Madrid Bar (National Flag Square, 0119) tra docks riconvertiti che sembra di stare a Copenaghen. S’illumina la Città Vecchia, duecento vicoli racchiusi tra le mura e mille famiglie che vivono in mezzo a minareti dell’XI secolo, palazzi medievali trasformati in gallerie d’arte contemporanea (Artim Project Space, Boyuk Gala 30), caravanserragli riconvertiti in locali: «Marco Polo ha certamente sostato qui», dice Suleyman, professore di Storia col negozio di tappeti al piano superiore del ristorante Mugan, ricavato in una stazione del 1200 per i viaggiatori della Via della Seta.
Il lungomare è un boulevard di sei chilometri ombreggiato dagli alberi, pieno di vita, di tabaccai, ragazze in ghingheri che si fanno infiniti selfie, gruppi di neolaureati che festeggiano, ciabattini, lustrascarpe, ferramenta improvvisati. Come in una fiera permanente, una porzione intera di
passeggiata è occupata da Darya Fish House (Namiq Quliyev), ristorante che serve unicamente
pescato del Caspio con trecento tavoli di legno sull’acqua, sessantacinque camerieri acrobati, un quintale e mezzo di prelibato pesce
kutum servito ogni sera. Tutto un saliscendi di piccole esistenze e architetture roboanti, dove prende i tagli di luce il cantiere di The Crescent, l’atteso grattacielo a forma di mezzaluna progettato dalla coreana Heerim Architects. O il nuovo Caspian Waterfront Mall, spazio eventi e centro commerciale in riva al mare ispirato alla Opera House di Sydney. Lo Yarat Contemporary Art Space e il club Pasifico, che apre alle tre del mattino e chiude alle sette, in cui si può entrare solo accoppiati. L’Heydar Aliyev Center progettato da Zaha Hadid e lo spettacolare Stone Chronicle Museum dedicato alle ottomila incisioni rupestri del villaggio di Gobustan, a 30 minuti dalla città, raggiungibile con un viaggio sassoso lungo un deserto punteggiato da laghetti di petrolio e vulcani di fango, trasportati su vecchie Lada che fanno rumore di trattore mentre le rondini giocano con l’auto lanciata nel nulla, come farebbero dei delfini con la scia di una barca. Baku è una città popolare, dove si parla turco e si ragiona europeo, con un Islam laico e un presidenzialismo autoritario che tutti
sembrano tollerare come male minore: «Lascia il portafoglio sul tavolo, e dopo un’ora lo ritroverai lì», dice Goran, titolare di Pitacok, chiosco su strada dove il tè nero coltivato nella zona di Lankaran viene bollito nei samovar, grandi teiere a carbonella diffuse in tutto il Caucaso.
Gli ultraricchi, se ci sono, non si vedono. Secondo un understatement sovietico che suggerisce di «non spendere i soldi nel luogo dove si guadagnano». Nei fine settimana d’estate i milionari del petrolio organizzano feste nelle dacie private. Mentre nei resort eleganti sul Caspio si paga l’ingresso e si balla sotto il sole del mezzogiorno, fumando shisha intorno a piscine costruite a un passo dalla spiaggia. Gli indirizzi più in voga? Mambo Beach, Sea Breeze e Amburan.
La capitale dellA’ zerbaijan, «la terra delle fiamme», è un anfiteatro sull’acqua dominato dalle Flame Towers, tre lingue di vetrocemento che appena cala la notte s’illuminano di videoproiezioni, alternando ai colori della bandiera azera vampate rosse sparate lungo tutta la loro altezza. Una torre è destinata a uffici. L’altra diventerà presto una struttura residenziale ad affitti brevi per uomini d’affari. Mentre la terza ospita il Fairmont
Baku Flame Towers, uno degli alberghi più
spettacolari al mondo, 318 camere e miniappartamenti (la torre residenziale sarà gestita sempre da Fairmont; accorhotels.com) dove soggiornare è un po’ come stare in una torre d’avvistamento, in un avamposto protetto. La grandezza minima delle camere è di 50 metri quadrati. La piscina è sospesa al centro delle bocche di fuoco, sotto un sole ubriaco di rimbalzi e riflessi nel vetro. E per chi prenota una delle suite è compreso l’ingresso alla vip lounge al ventitreesimo piano, con cena inclusa e check-in privilegiato: «Illuminarle costa 60 mila dollari al mese», racconta Mathieu Greppo, il direttore dell’hotel. Un progetto da 300 milioni di dollari che ricorda l’antico culto per le fiamme perpetue creato da Zoroastro, che in India, Iran e Azerbaijan ha avuto nei secoli il suo epicentro: a mezzora d’auto da qui, nel villaggio di Yanar Dag, il gas naturale brucia ininterrottamente da settemila anni, circondato da un anfiteatro dedicato ai visitatori. Per raggiungerlo s’attraversa la penisola di Absheron, dove migliaia di pompe fanno su e giù con la testa per estrarre l’oro nero. Baku è in fiamme. E il pozzo che la alimenta non sembra destinato a estinguersi presto.