JAMES PATTERSON
I segreti di uno scrittore
Comincia a lavorare alle 5 di mattina e va avanti fino a sera. Quanto ha scritto nemmeno lui lo sa (però sa quanto ha venduto: 375 milioni di copie). E mentre nel suo studio accumula progetti, guarda avanti. A un giorno in cui «torneremo a incidere le immagini sui muri»
Bastano i numeri per raccontare il successo di James Patterson: 375 milioni di copie vendute in tutto il mondo, quattro milioni in Italia, 59 volte primo nella classifica dei best seller del New York Times, 700 milioni guadagnati in dieci anni, centinaia di traduzioni dei suoi libri. Cifre impressionanti, che però lui ignora. «Quanti libri miei usciranno quest’anno? Non ne ho idea. Impossibile tenere il conto».
Siamo a Scarborough, nella Hudson Valley, a un’ora da Manhattan, nella casa che lui e la moglie abitano per i mesi estivi, alternandola a quella in Florida. Qui, nello studio con vista fiume, Patterson lavora dalle cinque del mattino fino alle 6.30, poi gioca a golf, pranza con la moglie, passeggia, e poi scrive ancora «fino alle sei o alle sette, tutti i giorni della settimana. Ma non mi sembra neanche di lavorare e poi, lavorando a più cose contemporaneamente, non ho mai il blocco».
Su un mobile lontano dalla scrivania sono messi in pile ordinate tutti i nuovi progetti. Una pila si chiama Kennedy. Un’altra Jeffrey Epstein, il miliardario accusato di pedofilia arrestato il 6 luglio. «Sarà una serie per Netflix basata su Filthy Rich, il libro che ho scritto su di lui (con John Connolly, ndr). Il presidente è scomparso (libro scritto con Bill Clinton, ndr) andrà su Showtime. Poi c’è un accordo con Imagine Films, la società di Ron Howard per una serie tratta dai libri per bambini. Insomma, mi tengo impegnato». Così impegnato che quando gli dico che dobbiamo parlare di Instinct, l’ultimo libro pubblicato in Italia per Longanesi, risponde: «Ah sì? E come lo intitoleranno?».
Il protagonista di Instinct è un signore di mezza età gay.
«Siccome ci sono molte persone in molti Paesi ancora a disagio con l’idea di un professore gay, mi divertiva l’idea di farne entrare uno – anzi due: lui e il marito – in casa loro e farglielo piacere. Dylan è un uomo molto intelligente, ex della Cia, ha un istinto incredibile, un po’ come Maigret, il detective francese».
Pensa sia il momento giusto per eroi gay?
«Parlo per il mio Paese: abbiamo un candidato democratico gay molto interessante (Pete Buttigieg, sindaco di South
Bend, ndr). Penso sia un’ottima cosa. Molti oggi pensano all’America come razzista e retrograda, ma non è così. Quanti Paesi hanno eletto un presidente nero? Quanti eleggeranno un gay? Noi lo abbiamo fatto, lo faremo ancora, sono sicuro ci sarà presto un altro presidente afroamericano, oppure un gay, oppure una donna».
Perché Hillary non ce l’ha fatta?
«L’ho detto a Bill e anche a Hillary stessa: per essere eletti bisogna essere bravi a comunicare in televisione. E lei non lo è mai stata. Reagan lo era, Bill anche. Hillary dal vivo è una persona divertente e calda, ma appena ha una camera puntata addosso cambia, si irrigidisce».
In questo Trump è bravissimo.
«Non credo neanche sia così razzista come lo dipingono, ma parliamo d’altro, non mi va di difenderlo».
Quali sono le caratteristiche che fanno interessante un personaggio letterario?
«La sua visione del mondo. È come quando incontri qualcuno nella vita reale e rimani affascinato da come vede le cose. Con Alex Cross, per esempio, volevo un afroamericano che non fosse uno stereotipo del maschio solo muscoli, volevo dargli un cervello. Sono cresciuto in una città con il 40% della popolazione nera, avevo amici e compagni di scuola neri. I miei nonni avevano un ristorante e la cuoca era una donna di colore che per un periodo si trasferì da noi con la sua famiglia, un gruppo di persone intelligenti e divertenti che cucinavano ottimo cibo e raccontavano storie fantastiche».
I lettori sono attratti più dai protagonisti o dalle storie?
«Si affezionano ai protagonisti. Ogni capitolo serve per muovere la trama in avanti e per accendere il proiettore nella nostra testa in modo che possiamo vedere e sentire ciò che il protagonista vede e sente. Sulle bozze in cima alla pagina scrivo sempre una frase: “Sii presente”. È per ricordare a me stesso di essere lì in mezzo alla scena, di provare quello che sta provando lui».
Quando scrive ha già in mente il film che seguirà?
«No, ma è vero che scrivo scene. Ogni storia è formata da 70, 90 scene. Anche la nostra vita è formata da una sequenza di scene. Quando scrivo un libro penso: quali sono le scene che raccontano questo anno nella vita del mio protagonista? La mia forza è l’immaginazione, essere in grado di immaginare scena dopo scena dopo scena».
Che cosa risponde a quelli che la considerano un marchio più che un artista?
«Si fottano. Io racconto storie. Per come la vedo io, quello che ho è una forte connessione con i lettori che si basa sul fatto che io so che loro compreranno il mio libro e loro sanno che facendolo si faranno trasportare da una storia pagina dopo pagina, che sia un giallo, una storia d’amore, una per bambini. Quello che faccio è fare in modo che i lettori continuino a girare le pagine. È essere un brand? Pazienza. E comunque ci vuole arte a creare tutti i personaggi che ho creato io, nessuno l’ha fatto, forse solo Stan Lee».
Forse siamo vittime dello stereotipo per cui l’artista deve essere un po’ pazzo.
«Io non sono pazzo, sono eccentrico e idiosincratico, quello sì. Non metto molto la testa sulle cose pratiche. Con nostro figlio Jack mi sono sempre preoccupato che fosse a proprio agio nell’avere un padre famoso, e che potesse crearsi una vita propria, trovare la sua strada. Alla fine, sentirsi a proprio agio con se stessi è la cosa più importante della vita».
Lei ha donato molti soldi a favore dell’istruzione.
«In Florida, al momento, la percentuale di bambini che legge a livello di laurea è del 43%. Lo Stato con la percentuale più alta è il Massachusetts: 62%. L’Università della Florida ha testato un programma di alfabetizzazione in dieci distretti ed è riuscita a far salire la percentuale all’80%. Significa salvare delle vite. Quando vado nelle carceri e vedo questi ragazzi che oggi sono ottimi lettori perché in carcere leggere è l’unica cosa che possono fare penso che se lo avessero fatto a scuola ora non si troverebbero dove sono».
È importante come si legge, se su carta, iPad o telefonino?
«No, basta leggere, anche su computer va bene. Tra l’altro ci sono dati che dicono che i giovani leggono più su carta che su computer, il problema è che nelle case non ci sono più libri perché i genitori non li comprano più».
Infatti le librerie spariscono.
«I negozi indipendenti resistono, ma io non sono contro le grandi catene, anzi. Vorrei che ci fossero più librerie di ogni genere. Quando ero piccolo io, i libri si trovavano anche in farmacia. In Svezia li vendono alle stazioni di servizio».
Pensa che tra cento anni i libri esisteranno ancora?
«Probabilmente no. Penso che nel futuro torneremo a incidere le immagini sui muri usando ossa e pietre. Torneremo indietro».
Sul suo sito c’è una sezione di recensioni cinematografiche. Le scrive lei?
«Sì, una volta erano anche più intelligenti, ora ho poco tempo».
Da che parte sta rispetto a Bohemian Rhapsody?
«Decente, ma non da Oscar».
Il Trono di Spade l’ha visto?
«Mai, mi ci dovrei mettere. Sono finalmente riuscito a vedere Breaking Bad: bello, ma non eccezionale. Invece mi piace molto Billions e Damian Lewis è un attore incredibile».
Le serie tv sono la nuova letteratura?
«Quelle belle sì, ma non sono molte. A me e a mia moglie piace anche Big Little Lies: diretto molto bene e con una grande colonna sonora. La prossima settimana ho un appuntamento con Nicole Kidman per parlare di un progetto. Potrebbe venire fuori qualcosa di divertente». Tempo di lettura: 8 minuti
In carcere i ragazzi sono ottimi lettori. Se avessero letto anche a scuola, oggi non si troverebbero lì